Nel Pd ci sono vedovi inconsolabili del governo Conte 2 e sospettano un complotto dietro la sua caduta: “Conte non è caduto per i suoi errori o ritardi (che in parte ci sono stati) ma per una convergenza di interessi nazionali e internazionali che non lo ritenevano sufficientemente disponibile ad assecondarli e dunque, per loro, inaffidabile”, si legge nel manifesto correntizio di Goffredo Bettini, ideologo di Zingaretti.

Il quale Bettini poi ha ribadito: “Non voglio usare la parola complotto, ma per la caduta del governo presieduto da Giuseppe Conte si è mosso qualcosa di più grande di Matteo Renzi”.

Bettini dimentica che, però, la stessa nascita del governo Conte 2 fu propiziata da due pesanti interventi internazionali: il clamoroso, tweet di Trump a favore di “Giuseppi” (“spero che resti primo ministro”) e la telefonata della Merkel quando stava per saltare la trattativa (“il governo va fatto a ogni costo per fermare i sovranisti”).

Dunque è una meritoria “interdipendenza” e va elogiata quando porta il Pd al potere, ma diventa un’oscura congiura quando va in senso contrario? No. Il mondo non gira attorno alle poltrone del Pd.

Cambiati gli equilibri internazionali, sostituito Trump da Biden, indebolita la leadership della Merkel nella Ue (che ha fallito sui vaccini), sconvolto il mondo dalla pandemia (di fronte alla quale i risultati del Conte 2 sono stati disastrosi) e ribaltati tutti i dogmi di politica economica della Ue(spazzati via quei parametri voluti dalla Germania che sembravano sacri e intoccabili), il governo giallorosso – che oltretutto è sempre stato minoranza nel Paese – è apparso come un relitto del passato. Da sostituire per il bene dell’Italia e della comunità internazionale.

E’ chiaro che il passaggio da un esecutivo insignificante – a livello internazionale – come quello giallorosso, a un governo guidato da Mario Draghi, personalità di grande autorevolezza mondiale (unico ad aver saputo cambiare certi paradigmi economici della Ue, quando fu governatore della Bce) è un cambiamento geopolitico: significa che per gli equilibri internazionali non è più ammissibile un’Italia vassalla della Germania e irrilevante nella Ue e perfino nel Mediterraneo, ma c’è bisogno di un’Italia che torna protagonista.

Non a caso pochi giorni fa il “New York Times” titolava un suo commento su Draghi che “sta facendo dell’Italia una protagonista del potere in Europa… come non lo era da decenni”.

Il suo arrivo poi coincide con il tramonto della Merkel (che lascerà a settembre), con i problemi di Macron che l’anno prossimo dovrà affrontare elezioni difficilissime e con la perdita di autorevolezza della Von der Leyen e della Commissione europea nella gestione dei vaccini.

Un “vuoto di leadership in Europa” che Draghi – secondo il New York Times – ha già mostrato di saper colmare proprio guidando la Ue nella correzione di rotta sulla questione dei vaccini, dopo i disastri fatti con i contratti di acquisto di questo inverno.

Ma quali sono i nuovi equilibri internazionali  di cui parliamo? Qual è il nuovo assetto mondiale in cui si inserisce il governo Draghi? E cosa ci si aspetta dall’Italia?

Nell’ultimo numero di “Limes”, un ottimo analista come Dario Fabbri, mette in fila i compiti che aspettano Draghi (che definisce “quasi organico all’attuale amministrazione bideniana”): concordare con i tedeschi il Recovery Fund nonostante i passati scontri Draghi-Germania sul Qe, mostrare alla Casa Bianca che, a parte il Recovery (sostanzialmente garantito dalla Germania), l’Italia “non vuole ulteriori lacci geopolitici” con Berlino. Poi Draghi dovrà “ignorare le lusinghe di Cina e Russia, calorosamente accolte dai precedenti governi Conte, per recuperarci come affidabili agli occhi degli americani”.

Quindi “dovrà avvicinare Macron per blandire eventuali ritorni punitivi dell’austerità tedesca” e “dovrà separare l’Italia dalla sinofilia di Francesco senza provocare risentimento Oltretevere”.

Fabbri ritiene impossibile che Draghi ce la faccia, anche perché “dipendenza economica da Berlino e securitaria da Washington si mostreranno inconciliabili nella congiuntura attuale, ci esporranno al fuoco di entrambi”. In sostanza “non possiamo stare sia con gli Stati Uniti che con la Germania, perché seguono traiettorie conflittuali”.

Poi Fabbri fa altre considerazioni importanti sulle debolezze interne italiane (come la questione demografica). Sottolineando pure la complessità della partita energetica in aree come la Libia.

Ha ragione a ripetere che il mito dell’uomo solo al comando è destinato alla delusione e al fallimento. Draghi non ce la può fare così. Non è un nuovo messia. E’ tutto il Paese, con le sue forze, che deve guadagnarsi il riscatto morale, economico e culturale, invece di aggirarsi col cappello in mano sulla scena internazionale.

Proprio per questo Draghi ha voluto una coalizione di unità nazionale per il suo governo. Perché è il primo a sapere che le sfide che l’Italia ha di fronte si possono affrontare solo se tutto il Paese si sente coinvolto in questa grande ricostruzione.

Inoltre sa bene che Lega e Forza Italia rappresentano in modo speciale le forze produttive del Paese, le più dinamiche. Sa che non hanno le gabbie ideologiche della Sinistra e hanno un forte senso patriottico.

Sa inoltre che la Lega ha sviluppato un pensiero economico critico, rispetto alla Ue del rigore tedesco, che le permette sintonizzarsi con i nuovi orientamenti economici che si stanno affermando: basti pensare ai colossali stimoli fiscali deliberati da Washington.

Un osservatore rileva che “secondo alcuni commentatori, gli Usa sono sostanzialmente passati a un regime MMT”, che significa Modern Monetary Theory, espressione con cui oggi viene ridefinita quella che è la scuola di pensiero post-keynesiana, che ben conoscono gli economisti della Lega. E, guarda caso, chi ha evocato, nel settembre 2019, la MMT? Proprio Draghi, ancora governatore della Bce.

In sostanza, si rende necessario un radicale cambio di politiche economiche: in sintonia con i tempi nuovi non si trova la Sinistra italiana, ma chi ha sempre criticato il mercantilismo tedesco, l’ossessione teutonica dell’inflazione e del debito pubblico (imposta a tutta l’Eurozona, con effetti devastanti) e la delocalizzazione della produzione industriale in Cina, diventata “fabbrica del mondo” e oggi pericolosa potenza planetaria.

Trump è passato, ma le sue politiche si sono dimostrate vincenti e restano. Bisogna riportare le produzioni e l’occupazione in Occidente, bisogna aiutare lo sviluppo con la leva pubblica.

Se dunque Draghi significa voltare pagina rispetto alla Ue deflazionista e mercantilista, trova proprio nella Lega il maggior punto di forza del suo governo.

 

Antonio Socci

 

Da “Libero”, 19 aprile 2021