“Continua ad affiorare dall’oscuro mare dell’oblio l’imponente opera di padre Pavel A. Florenskij, oggi riscoperto in gran parte d’Europa come uno dei maggiori pensatori del XX secolo”.

Così scriveva, nel 2011, Natalino Valentini. Tuttavia – aggiungeva – nonostante il “crescente interesse”, anche in Italia, “tranne poche eccezioni, la cultura (filosofica, scientifica, estetica, linguistica, teologica…) stenta a misurarsi con questo gigante del pensiero umano”.

Finalmente un segnale interessante arriva oggi da un pensatore come Massimo Cacciari, che, per la sua ultima opera filosofica, ha scelto un titolo, Metafisica concreta (Adelphi), che è già di per sé un omaggio a Florenskij. Infatti, a pagina 410, spiega: “Metafisica concreta, così doveva intitolarsi l’opera summa di Florenskij (Agli spartiacque del pensiero. Lineamenti di una metafisica concreta)”.

Questo richiamo è un attestato di stima. Com’è noto lo stesso termine “metafisica” è stato messo al bando dalla filosofia moderna. Hegel diceva che è una parola “davanti alla quale ognuno, più o meno, si affretta a fuggire come davanti a un appestato”.

Oggi Cacciari la recupera con Florenskij che aveva un approccio germinato dal suo amore, dalla sua passione – anche scientifica – per la realtà concreta e dalla sua fede cristiana.

In una delle sue lettere ai figli scriveva: “Il positivismo mi disgustava, ma non meno mi disgustava la metafisica astratta. Io volevo vedere l’anima, ma volevo vederla incarnata. Qualcuno vorrà chiamarlo materialismo. Non si tratta, però di materialismo, ma della necessità del concreto o simbolismo”.

Non a caso fu proprio lui il primo a intuire la stupefacente somiglianza fra la cosmologia del Paradiso dantesco e la cosmologia novecentesca che è derivata dalla nuova fisica di Einstein (questo suo scritto fu forse una delle cause dell’arresto che lo portò al martirio perché il regime comunista non poteva tollerare né il pensiero cristiano di Dante, né il pensiero scientifico di Einstein).

Cacciari – che ha attraversato le varie correnti e i fallimenti della filosofia moderna, da Marx a Nietzsche e Heidegger e oltre – coltiva da anni un forte interesse per la teologia cristiana e ha scritto cose molto interessanti, sia pure, spesso, in un orizzonte gnosticheggiante.

La sua scoperta di Florenskij gli spalanca un orizzonte straordinario. Perché, al di là delle definizioni celebrative (Florenskij è stato chiamato “il Pascal russo” e “il Leonardo da Vinci russo”), nessun pensatore ha avuto o ha la vastità di conoscenze e competenze di quel gigante: “filosofo della scienza, fisico, matematico, ingegnere elettrotecnico, epistemologo, ma anche filosofo, teologo e pedagogo, teorico dell’arte e di filosofia del linguaggio, studioso di estetica, di simbologia e di semiotica” (Valentini).

Infatti in una delle sue lettere ai figli dal lager comunista delle isole Solovki (verso il circolo polare artico), riassume così la sua opera: “ho contemplato il mondo come un insieme (celoe), come un quadro e una realtà compatta, ma a ogni tappa della mia vita da un determinato punto di vista”.

Per lui tutto riportava all’unica verità, cioè a Cristo. Anche la matematica. La vita di Florenskij è il simbolo del suo pensiero.

Dopo la rivoluzione comunista avrebbe potuto rifugiarsi all’estero, vista la fine che facevano i religiosi (lui era un pope ortodosso), ma decise di restare accanto alla sua gente (come oggi Navalny). Fu fucilato. È anche un martire cristiano.

 

Antonio Socci

 

Da “Libero”, 9 febbraio 2024

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