Cosa direbbe don Giussani dopo i fatti degli ultimi tempi? Come aiuterebbe tutta la Chiesa a comprendere il momento presente e il suo compito? A me piacerebbe ascoltare. Perché non parlarne, con libertà e cordialità?

C’è un certo disorientamento – dopo il referendum – non solo tra chi ha perso disastrosamente. Ma anche tra chi ha vinto. Ci è piovuta tra le mani una vittoria imprevista e sorprendente, soprattutto nelle dimensioni, che sinceramente sono molto superiori allo sforzo che siamo riusciti a mettere in campo. Per questo il cardinal Ruini per primo si è affrettato a evitare ogni tono trionfalistico perché sappiamo bene che la vittoria al referendum – sebbene eccezionale nelle dimensioni – non significa affatto che l’Italia è diventata ardentemente e maggioritariamente cattolica.
Tuttavia cosa significa questo evento? Sono pochi quelli che ci aiutano a capire. Certamente ha fatto emergere una clamorosa scollatura fra le élite – che si autorappresentano sui giornali e in tv – e la gente comune, la “gente-gente”, come la chiamava don Giussani. L’establishment è stato sfiduciato, ma non vuole prenderne atto e continua a usare il potere che ha (mediatico, economico, politico) senza fare riflessioni autocritiche. E sempre in un orizzonte antricristiano. Per i suoi evidenti e diversi progetti di potere e di dominio ideologico.
Credo che qui si delinei un primo compito. Noi dovremmo far capire, ai pochi interlocutori disposti ad un confronto serio con i cristiani, la necessità, sottolineata da don Giussani commentando la tragedia di Nassirija e le splendide parole di una delle giovani vedove, di una vera educazione del popolo rispettosa della sua storia e della sua tradizione umana e cristiana. Perché il popolo è migliore delle sue élite e della devastante pseudo-cultura che viene quotidianamente bombardata nelle case.
In secondo luogo è necessario chiedersi come si riparte. Come rinasce il cristianesimo? Abbiamo potuto vedere in giro per l’Italia una gran fame e sete di un significato per vivere, un grande e rinnovato interesse per chi – più o meno poveramente – parlava di Gesù e della bellezza della vita cristiana. Abbiamo potuto vedere tante persone semplici sinceramente piene di fede, nelle parrocchie in piccoli e grandi gruppi, o anche nei santuari, nei pellerginaggi. E’ un sommovimento, non organizzato, dell’umano di cui è inevitabile stupirsi e commuoversi.
Io non credo che si possa ricominciare a “fare il cristianesimo” senza accorgersi innanzitutto di un Altro che sta “facendo il Cristianesimo”, senza vedere in tutti questi piccoli e grandi segni la Presenza viva di Cristo. Segni che non rimandano innanzitutto ad associazioni o organizzazioni ecclesiali, ma a persone. La cui vita, la cui speranza è stata ridestata, magari dopo circostanze dolorose o per incontri imprevisti, dentro un destino misterioso e buono.
A me ha colpito una sua pagina di don Giussani che viene dai primi anni della sua storia (Appunti di metodo cristiano, 1964). Scriveva:

“Il Cristianesimo non nasce come frutto di una nostra cultura o come scoperta della nostra intelligenza: il Cristianesimo non si comunica al mondo come frutto della modernità o della efficacia delle nostre iniziative. Il Cristianesimo nasce e si diffonde nel mondo per la presenza della ‘potenza di Dio’. Questa potenza di Dio si rivela in fatti, avvenimenti, che costituiscono una realtà nuova dentro il mondo, una realtà viva, in movimento, e quindi una storia eccezionale e imprevedibile dentro la storia degli uomini e delle cose.
La realtà cristiana è il mistero di Dio che è entrato nel mondo come una storia umana. E’ solo la potenza di Dio che dovunque inizia, diffonde, conduce avanti il Cristianesimo, negli individui e nelle società”.

Presentando queste pagine Il Sabato le sottolineava così, anni fa:

“Assoluta gratuità ed insieme irrimediabile storicità della salvezza cristiana. Questi i due punti di forza dell’intuizione cattolica di don Giussani.
Senza la percezione di quella originaria gratuità non ci sarebbe pace e quindi costruttività, ma solo moralistico e vuoto darsi da fare. Senza riconoscimento dell’umanissima storicità di quel mistero di grazia non ci sarebbe salvezza reale dell’umano e quindi comunicatività, ma solo soffocante spiritualismo, inguaribile astrattezza.
Ovvero le due gravi malattie di cui soffre il cattolicesimo attuale: la riduzione secolarista – un’etica civile un po’ più esigente delle altre – e la riduzione religiosa – una particolare ‘tecnica’ di preghiera, meditazione, lettura di testi sacri”.

Non so dire, sinceramente se questa chiave di lettura della pagina di Giussani sia giusta o se sia solo superata dai tempi o se sia ancora attuale. Ma so che dovremmo parlarne. A cominciare dalla realtà che è nata da don Giussani, da sempre uno dei punti di maggiore consapevolezza e lucidità dentro la Chiesa italiana. Perché non parlarne, con libertà e cordialità?

La lettera di Giancarlo Cesana al Corriere ha iniziato una riflessione che sarebbe bello continuare.

Fonte: AntonioSocci.it

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