Il miracolo che lunedì 30 settembre farà proclamare santo Giovanni Paolo II colpisce per l’enormità di quella guarigione improvvisa (a quella signora non era stata data alcuna speranza).

Insieme con Wojtyla papa Francesco canonizzerà Giovanni XXIII. E’ una decisione che dà un segnale di unità portando finalmente la Chiesa fuori dalle vecchie polemiche attorno al Concilio che hanno caratterizzato la seconda metà del XX secolo.

Con buona pace sia di quegli ambienti conservatori che oggi storcono il naso perché papa Giovanni viene canonizzato senza il miracolo prescritto dalle norme.

Sia degli sfegatati tifosi di Giovanni XXIII che – da decenni – cercano di farne un rivoluzionario e  contrapporlo a tutti gli altri papi della Chiesa.

 

IL VERO RONCALLI

 

Montini – che fu il prezioso riferimento ecclesiale di Giovanni XXIII e poi, da papa, sarà colui che compirà il Concilio – capì l’operazione strumentale che si stava allestendo attorno alla fresca memoria di Roncalli.

Per questo si oppose a tutti i tifosi che, con enfatizzazioni esagerate, pretendevano di far canonizzare il “papa buono” per acclamazione alla fine del Concilio.

Paolo VI decise invece di percorrere le vie canoniche e aspettando il 1967 introdusse contemporaneamente le cause di beatificazione di Roncalli e di Pio XII, sempre per far capire che non si poteva contrapporre papa Giovanni ai predecessori.

Del resto che questo fosse esattamente l’animo di papa Giovanni è certissimo.

Basti ricordare che egli aveva per il suo predecessore, Pacelli, una devozione e una stima tanto alta che nel suo primo radiomessaggio, il 23 dicembre 1958, rivolto al mondo, esaltò il suo “grande Pontificato” e fece una sorta di canonizzazione informale di questo “Padre e Pontefice nostro, che amiamo già contemplare come associato nelle regioni celesti ai Santi di Dio”.

Poi ne ripercorse lungamente la missione di Vicario di Cristo lungo tutto il suo radiomessaggio.

Non solo. Prendiamo l’altra “bestia nera” della vulgata progressista: Pio IX.

Roncalli era così devoto del “famigerato” papa del “Sillabo” (quello che si oppose all’unità italiana fatta per mano militare dai Savoia), che voleva in tutti i modi canonizzarlo alla fine del Concilio. Il suo stesso pellegrinaggio a Loreto voleva essere un omaggio a Pio IX e un segno di riconciliazione dell’Italia: “io penso sempre a Pio IX di santa e gloriosa memoria” scriveva nel “Giornale dell’anima”. “Imitandolo nei suoi sacrifici, vorrei essere degno di celebrarne la canonizzazione”.

Nel famoso discorso dell’8 dicembre 1960 papa Giovanni disse: “Dalla contemplazione della figura mite e forte di Pio IX, prendiamo ispirazione per inoltrarci di buon passo nella grande impresa del concilio Vaticano II, che ci sta innanzi”.

 

RONCALLI ANTIMODERNISTA

 

Del resto è il Roncalli che nel “Giornale dell’anima” aveva scritto:Gesù benedetto si è compiaciuto darmi, in questi Eserci­zi, lume speciale per comprendere anche più vivamente la necessi­tà di mantener integro e purissimo il mio ‘sensus fidei’ e il mio ‘sentire cum Ecclesia’ (ES 352-370), facendomi anche apparire, sotto una luce più splendida, la sapienza, l’opportunità e la bellez­za dei provvedimenti pontifici intesi a salvaguardare specialmente il clero dall’infezione degli errori moderni (cosiddetti modernisti­ci), che in un modo subdolo e affascinante tentano di demolire i fondamenti della dottrina cattolica”.

E’ dunque del tutto fuori strada chi pretende di contrapporre Giovanni XXIII ai predecessori o chi ritiene che volesse mutare il credo cattolico sempre proclamato dalla Chiesa. Così come sono fuori strada quanti vedono queste stesse caratteristiche in papa Francesco. Per Roncalli, come oggi per Bergoglio, la fede della Chiesa era la verità, punto e basta.

Papa Giovanni, infatti, nel radiomessaggio natalizio del 1960  tuonava contro chi – per apparire “moderno” – sfigura o tace la verità: “La verità ci rende liberi; essa nobilita chi la professa apertamente e senza rispetti umani. Perché dunque aver timore di onorarla e farla rispettare? Perché scendere ad accomodamenti con la propria coscienza, accettando compromessi stridenti con la vita e la pratica cristiana, quando invece solo chi ha la verità dovrebbe essere convinto di avere con sé la luce, che dissipa ogni tenebra, e la forza trascinatrice che può trasformare il mondo? Non è colpevole soltanto chi deliberatamente sfigura la verità, ma lo è altrettanto chi, per timore di non apparire completo e moderno, la tradisce con l’ambiguità del suo atteggiamento”.

Sono parole che potevano essere sottoscritte da Pio XII e da qualunque altro pontefice precedente. A proposito di Pacelli anche la sua causa è giunta a destinazione con la proclamazione delle “virtù eroiche”. Pare che, per la proclamazione degli altari, vi sia solo un problema di opportunità.

 

PIO XII, RONCALLI E ISRAELE

 

Non si vogliono cioè rinfocolare le polemiche sui presunti suoi “silenzi” relativi alla shoah. In sede storica però è ormai appurato l’eroismo del Papa che arrivò a patrocinare tentativi di colpo di stato contro Hitler.

Quello che Pio XII – con la sua Chiesa – fece per salvare la vita a tanti ebrei braccati e minacciati di sterminio non ha eguali.

Pacelli – che considerava Hitler posseduto da Satana e che fece  ripetuti esorcismi a distanza dal Vaticano – aveva già firmato una lettera da dimissioni nel caso in cui fosse stato sequestrato dai nazisti (che in effetti progettavano di deportarlo).

Tutta la Chiesa di Pio XII era stata mobilitata, da Roma al mondo, per salvare gli ebrei braccati dallo sterminio. E la dimostra proprio la vita di Roncalli che, da Nunzio del papa a Istanbul (e poi a Parigi), si prodigò in modo straordinario per la salvezza di tanti ebrei. Il Gran Rabbino Herzog – che più volte fece pervenire i suoi ringraziamenti a Pio XII – scrisse anche a Roncalli per questo.

C’è una lettera dello stesso Roncalli – scritta dalla nunziatura di Istanbul alla Santa Sede – in cui si coglie la perfetta intesa fra il Papa e le nunziature per la protezione degli ebrei e addirittura si scopre che sull’eventuale fondazione dello stato d’Israele, Pio XII era più avanti di Roncalli, il quale nutriva qualche perplessità.

Scriveva infatti Roncalli quel 4 settembre 1943 alla Segreteria di Stato vaticana: “Faccio seguito al mio devoto rapporto n. 4332 in data 20 agosto u.s. trasmettendo altre domande che mi vengono sottoposte a favore di israeliti. La seconda di queste intende ad ottenere l’intervento della Santa Sede perché sia facilitata l’uscita di numerosi ebrei dal territorio italiano (…). Confesso” aggiungeva Roncalli “che questo convogliare, proprio la Santa Sede, gli ebrei verso la Palestina, quasi alla ricostruzione del regno ebraico, incominciando dal farli uscire d’Italia, mi suscita qualche incertezza nello spirito. Che ciò facciano i loro connazionali ed i loro amici politici lo si comprende. Ma non mi pare di buon gusto che proprio l’esercizio semplice ed elevato della carità della Santa Sede possa offrire l’occasione o la parvenza a che si riconosca in esso una tal quale cooperazione, almeno iniziale e indiretta, alla realizzazione del sogno messianico. Tutto questo però non è forse che uno scrupolo mio personale che basta aver confessato perché sia disperso. Tanto e tanto è ben certo che la ricostruzione del regno di Giuda e di Israele non è che un’utopia”.

Invece Israele nacque di lì a poco. Roncalli in questo non ebbe capacità di previsione politica. Ma ebbe quella carità eroica per cui oggi è ricordato anche dal mondo ebraico con riconoscenza. Sia lui che Wojtyla del resto hanno creduto fortemente nel dialogo ebraico-cristiano.

A questo proposito negli ultimi tempi si è tornati a parlare delle origini ebraiche della madre di Karol Wojtyla. Secondo un blog tenuto da un certo Aron ben Gilad, mamma Emilia, che di cognome faceva Kaczorowska, proveniva da una famiglia di origini ebraiche di Litvak. Come che stiano le genealogie sono due santi che anche il mondo ammira.

 

Antonio Socci

 

Da “Libero”, 29 settembre 2013

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