PARLA FALCONE  

La separazione delle carriere di giudici e Pm, su cui è stato indetto un referendum approvato dalla Corte Costituzionale, rappresenta un attacco all’ordine giudiziario? O è una riforma salutare?

Cosa ne pensava – per esempio – Giovanni Falcone che della magistratura è un simbolo prezioso?

Si può leggere la sua opinione, al di sopra di ogni sospetto, nel volume “Interventi e proposte (1982-1992)”, pubblicato nel 1994 da Sansoni editore con la Fondazione Giovanni e Francesca Falcone.

All’interno di un capitolo dedicato a “Il pubblico ministero nel nuovo processo penale”, il magistrato scriveva: “comincia a farsi strada faticosamente la consapevolezza che la regolamentazione delle funzioni e della stessa carriera dei magistrati del pubblico ministero non può più essere identica a quella dei magistrati giudicanti, diverse essendo le funzioni e, quindi, le attitudini, l’habitus mentale, le capacità professionali richieste per l’espletamento di compiti così diversi (…). Su questa direttrice bisogna muoversi, accantonando lo spauracchio della dipendenza del pubblico ministero dall’esecutivo e della discrezionalità dell’azione penale, che viene puntualmente sbandierato tutte le volte in cui si parla di differenziazione delle carriere. Disconoscere la specificità delle funzioni requirenti, rispetto a quelle giudicanti, nell’antistorico tentativo di continuare a considerare la magistratura unitariamente, equivale paradossalmente a garantire meno la stessa indipendenza ed autonomia della magistratura.

 

E’ LA STAMPA, BELLEZZA

A 30 anni da Tangentopoli, Goffredo Buccini ha pubblicato “Il tempo delle mani pulite” (Laterza). Su “7” del Corriere della sera ha ricordato quei giorni, accennando pure alla sera di primavera in cui, al ristorante Gambarotta, “nasce il pool dei cronisti” che “reggerà bene il primo anno” dice “ma, certo, ci toglierà  qualcosa; avendo quasi tutti la stessa formazione da sinistra studentesca, quasi tutti abbiamo gli stessi pregiudizi: il nostro Craxi ‘ideale’ assomiglia molto a quello delle caricature di Forattini, gli imprenditori a caratteristi della Piovra. Siamo decisi a salvare il mondo per via giornalistica. Poiché l’inchiesta sembrava regalarci proprio la verità che abbiamo già in testa, quasi nessuno di noi sente il bisogno di guardarla anche da qualche altra angolazione: il bene di qua e il male di là, è manicheismo giovanile”.

Più avanti aggiunge: “Così, un po’, tradiamo i lettori o, almeno, impediamo alla parte più moderata di essi di avere un punto di vista completo, distante dalle fazioni”.

Solo “un po’”… Ma questo accadeva 30 anni fa. Invece oggi non c’è più una stampa uniforme che usa gli occhiali del pregiudizio ideologico (più o meno di una sola provenienza). Acqua passata. Oggi non più. Vero?

 

L’ITALIETTA

Nel libro di Stefano Passigli “Elogio della Prima repubblica” (La Nave di Teseo) si legge che un tempo lo spread spaventava la Germania, non l’Italia: “dal 1957 al 1974 era il bund tedesco a richiedere rispetto al decennale italiano uno spread giunto nel 1966 a 300 basic points.

Quella era l’Italia del “miracolo economico” peraltro con un debito pubblico ideale. Eravamo diventati una potenza industriale ed eravamo in strepitosa crescita.

Ora siamo in declino da 20 anni. Eppure da 20 anni sulla stampa si leggono le caricature dell’Italietta e della liretta della prima Repubblica, a lode e gloria dell’euro e dell’Unione europea che dovevano portarci nella terra promessa dove scorrono latte e miele. Riflessioni autocritiche?

 

Antonio Socci

 

Da “Libero”, 18 febbraio 2022

 

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