UNA VOCE DAL MONDO EBRAICO: “LA CIVILTA’ OCCIDENTALE E’ SULL’ORLO DI UN CROLLO”. PERCHE’…
Un mio libro del 2018 – quindi molto prima della guerra fra Israele a Hamas, scoppiata il 7 ottobre 2023 – aveva un capitolo intitolato: “L’allarme del mondo ebraico”.
Iniziava così (scusate l’autocitazione): “Dopo gli attentati jihadisti di Barcellona e Cambrils dell’agosto 2017, che hanno causato 14 morti e 130 feriti, il rabbino di Barcellona Meir Bar-Henha ha invitato la comunità ebraica ad andarsene via, riparando in Israele”.
Riferendosi alla Spagna e all’Europa disse: “Questo posto è perduto. Meglio andarsene via subito prima che sia troppo tardi”.
Gli attentati, secondo Bar-Henha, evidenziavano “la presenza di una comunità musulmana radicalizzata. Una volta che queste persone vivono tra di noi, è davvero difficile liberarsene. Diventeranno sempre più forti. L’Europa è persa’”.
Fiamma Nirenstein rilanciò le parole del rabbino affermando che per gli ebrei il clima in tutta l’Europa si era fatto molto pesante. A causa dell’immigrazione musulmana, ma anche per un’ostilità ideologica europea.
Questo clima fa capire le premesse storiche dell’allarme lanciato dal direttore Mario Sechi nell’editoriale su Libero del 24 luglio. Oggi, dopo gli orrori del 7 ottobre e la guerra ad Hamas, come guardiamo a Israele e al nostro occidente? C’è anzitutto da riflettere su di noi e sul nostro futuro.
Un contributo prezioso, per capire il problema, è stato quello di Jonathan Sacks, rabbino capo del Regno Unito dal 1991 al 2013. La sua analisi lucida e profonda è ciò che manca alla gerarchia della Chiesa da Bergoglio in poi.
Quando ricevette il Premio Templeton, nel giugno 2016, Sacks espresse questa sua preoccupazione: “Il futuro dell’Occidente, l’unica forma che ha aperto la strada alla libertà negli ultimi quattro secoli, è a rischio. La civiltà occidentale è sull’orlo di un crollo”.
Il professor Sacks parlò, fra l’altro, della “caduta del tasso di natalità” che “potrebbe significare la fine dell’Occidente. […] La civiltà occidentale è sull’orlo di un crollo come quello di Roma antica perché la generazione moderna non vuole assumersi la responsabilità di allevare i figli”, cosa che, disse Sacks, “ha portato a livelli senza precedenti di immigrazione”.
Osservò poi che l’immigrazione di massa non può essere la soluzione al nostro disastro demografico e spiegò che tale crollo derivava da un crollo spirituale e religioso: “Gli storici contemporanei non sono riusciti a trovare un solo esempio di una società che è diventata secolarizzata e ha mantenuto il suo tasso di natalità nei secoli successivi”.
È questa “perdita di energia che ha sancito il declino e la caduta di ogni altro impero della storia. Gli storici contemporanei dell’antica Grecia e dell’antica Roma hanno visto le loro civiltà iniziare il declino e la caduta con il crollo della natalità”.
Ecco la sua lezione: all’origine della nostra crisi c’è un crollo spirituale, di “passione morale”, e una rottura con il passato e il futuro. Tutto questo non è colpa degli attuali giovani, ma della cultura e della mentalità che è dilagata dopo il ‘68.
Sacks aggiunse: “Senza memoria, non vi è identità. E senza identità, siamo solo polvere sulla superficie dell’infinito”.
Così non è più possibile neanche l’integrazione degli immigrati “perché quando una cultura perde la memoria perde l’identità e quando una cultura perde l’identità non c’è niente in cui far integrare le persone”.
La conclusione di Sacks è drammatica: “Un giorno i nostri discendenti si guarderanno indietro chiedendosi: com ha fatto l’Occidente a perdere ciò che l’ha reso grande?”
Antonio Socci
Da “Libero”, 26 luglio 2025