1) Lettera aperta a Giuliano Ferrara: ora non presentare la lista
2) e la Bellezza dov’è ?

LETTERA APERTA A GIULIANO FERRARA

Caro Giuliano,
dopo averti dato il mio appoggio, dalle colonne del Corriere della sera, voglio darti ora un consiglio, anch’esso non richiesto: annuncia di non presentare più la tua lista perché hai già vinto la battaglia. Puoi cestinare questo invito all’istante. Ma ti prego almeno di ascoltare e rifletterci. Sai che ho applaudito con entusiasmo la tua (la nostra) bella battaglia culturale e morale contro il flagello del XX secolo, perché non è più possibile che la nostra generazione spazzi via un miliardo di vittime innocenti (50 milioni all’anno) facendo finta di nulla, volgendo la faccia dall’altra parte come se si trattasse di bazzecole (se non temiamo il giudizio di Dio, dovremmo almeno temere quello dei posteri, dei nostri pronipoti, che potranno avere vergogna o orrore di noi). Intelligente e generosissima è stata anche la tua idea della lista “pro life” per evitare che la campagna elettorale facesse sparire il dibattito sulla moratoria per la vita. Di fatto sei riuscito in un’operazione temeraria e splendida: imporre finalmente al centro del vaniloquio politico e mediatico un dramma vero, che gronda lacrime e sangue.

Il risultato l’hai raggiunto. Splendidamente. La tua vittoria, anche personale, l’hai conseguita. Infatti oggi tutti – da Destra a Sinistra – ripetono di volere “la piena attuazione della legge 194” (anche nelle parti dov’è prevista la tutela della maternità e l’aiuto alle donne in difficoltà). Che poi è esattamente quello che vuoi tu. In effetti – qualora tu presentassi la lista – sarebbe assurdo che tu non chiedessi di cancellare o cambiare la 194: in Parlamento si va per questo, per modificare o fare le leggi. Siccome tu non dici e non vuoi questo, chiedere una rappresentanza parlamentare per volere ciò che vogliono tutti (la piena applicazione della 194) non avrebbe senso.

Ci può essere un altro obiettivo prezioso: fare il ministro della Salute. Non so se tu davvero lo voglia, non so quanto sia una provocazione, ma di certo è un obiettivo raggiungibile e sarebbe molto utile per dare davvero piena attuazione alla legge. Però tu sai bene che – a questo punto – è più facile ottenere questo incarico (dai tuoi amici di centrodestra) ritirando la lista. Presentarla probabilmente sarebbe controproducente, farebbe saltare la cosa.

Tu potresti fare questo discorso chiaro: “signori, ho le firme per presentare le mie liste e i miei candidati. Quindi non cambio idea facendo come la volpe all’uva. Potevo benissimo presentare tutte le liste. Se ora invece non lo faccio più, è perché sono già riuscito nel mio obiettivo di farvi aprire gli occhi su questa tragedia e di farvi prendere un impegno politico a tutela della maternità, della civiltà e del nostro futuro. Inoltre presentare adesso la lista sarebbe controproducente: non solo per l’eventuale incarico di ministro della Salute, con il quale voglio personalmente lavorare per questa riscossa della vita, ma anche perché il risultato della lista (nel migliore dei casi l’1per cento, ma diciamo pure il 4 per cento) potrebbe essere strumentalizzato da chi, all’indomani del voto, indicherà in quella piccola cifra il totale di coloro che sono contrari all’aborto. Così non è, ovviamente. Il popolo della vita è molto più vasto del risultato elettorale di una lista monotematica. Per evitare equivoci a questo punto non la presenterò. Come dicevamo nel 2005, in occasione del referendum sulla legge 40, “sulla vita non si vota”. Io voglio evitare – ora che ho vinto la battaglia – di regalare alla cultura abortista un argomento formidabile. Sarebbe del tutto controproducente. Rischierei di fare un grave danno alla causa della vita che invece voglio sostenere. Anzi, visto il consenso trasversale che la nostra battaglia ha guadagnato, trasformeremo la nostra iniziativa in una lobby di candiddati e parlamentari, di tutti gli schieramenti, disposti a sottoscrivere la nostra moratoria e a battersi per essa in parlamento”.

Potresti anche chiedere, caro Giuliano, che questi candidati, una volta eletti, si impegnassero con un tot mensile a sostegno dei centri di aiuto alla vita a cui devolvere anche una sottoscrizione di chi avrebbe voluto sostenere la lista. Ricordo che sono i “centri di aiuti alla vita” del Movimento per la vita e della Cartias che in questi ultimi 30 anni hanno aiutato circa 80 mila donne in difficoltà permettendo a 80 mila bambini di nascere e vivere. Devolvere anche una piccola parte dei soldi che sarebbero stati spesi per la campagna elettorale a questi benemeriti centri, fatti da volontari e poveri di mezzi, certamente salverebbe più vite di quante ne salva una lista elettorale. D’altra parte la Chiesa stessa – che non ha mai rinunciato a dire la verità sull’aborto e a raggiungere l’obiettivo “zero aborti” – sa che la strada per arrivarci è innanzitutto questa dell’aiuto alla vita e alle donne. Non è la politica che risolverà questo dramma, ma un lungo sommovimento delle coscienze. Come quello che – dopo la venuta di Gesù, Figlio di Dio – portò, con il tempo, alla sparizione della schiavitù dalla terra.

E’ un realismo faticoso, ma umile e autentico. Significa – per dirla alla maniera del tuo amico Sofri – capire che c’è un nodo da sciogliere con pazienza e non un chiodo da piantare con un colpo spettacolare. E’ ciò che, in politica, oppone il riformismo al massimalismo. E’ la pazienza del lavoro quotidiano. Perché la performance spettacolare non risolve il problema e talora rischia di aggravarlo. La “bella morte” è un mito della cultura nichilista, come la provocazione dannunziana.

Per tanti di noi, anni fa, fu illuminante il discorso che l’allora cardinale Ratzinger tenne ad alcuni politici cattolici del suo Paese. Era un elogio del compromesso, contro integralismi e fanatismi. “Il primo servizio che la fede fa alla politica” disse Ratzinger “è dunque la liberazione dell’uomo dall’irrazionalità dei miti politici, che sono il vero rischio del nostro tempo. Essere sobri ed attuare ciò che è possibile e non reclamare con il cuore in fiamme l’impossibile, è sempre stato difficile; la voce della ragione non è mai così forte come il grido irrazionale. Il grido che reclama le grandi cose ha la vibrazione del moralismo; limitarsi al possibile sembra invece una rinuncia alla passione morale, sembra il pragmatismo dei meschini. Ma la verità è che la morale politica” concludeva Ratzinger “consiste precisamente nella resistenza alla seduzione delle grandi parole con cui ci si fa gioco dell’umanità dell’uomo e delle sue possibilità. Non è morale il moralismo dell’avventura, che intende realizzare da sé le cose di Dio. Lo è invece la lealtà che accetta le misure dell’uomo e compie, entro queste misure, l’opera dell’uomo. Non l’assenza di ogni compromesso, ma il compromesso stesso è la vera morale dell’attività politica”.

La tua intelligenza e la tua generosità, caro Giuliano, hanno già conseguito una vittoria straordinaria. Tanti di noi ti sono e ti saranno grati, fra i laici come fra i credenti, se vorrai continuare insieme a noi questa bella avventura (hai potuto constatare quanto il popolo cattolico ti circondi di affetto e stima). Adesso prendi la decisione giusta e avrai fatto un autentico capolavoro.

Antonio Socci

(da “Libero”, 26 febbraio 2008)

E LA BELLEZZA DOV’ E’ ?

C’è qualcuno – fra i partiti che si azzuffano alle elezioni per poi spartirsi la torta del potere – che metterà al primo punto del suo programma la Bellezza, la difesa della Bellezza, il diritto alla Bellezza in questa Italia che fu (e dolentemente sarebbe ancora) la patria della Bellezza? E c’è qualcuno che se ne ricorderà soprattutto a Roma che è la città della Bellezza? Sicuramente no. Eppure la Bellezza non è un lusso, è il pane dei poveri, la loro unica ricchezza. La Bellezza non è fatta di lustrini e veline, povere ombre effimere di un teatro di cannibali (il volto di Madre Teresa era bellissimo e quello di Karol Wojtyla più bello di qualunque attorucolo hollywoodiano). La Bellezza dà senso alla vita. Ammoniva Dostoevskij nei “Demoni” (che è il suo romanzo più politico, quello dove profetizza l’orrore che l’ideologia provocherà nel Novecento): “Sappiate che l’umanità può fare a meno degli Inglesi, che può fare a meno della Germania, che niente è più facile per lei che fare a meno dei Russi, che per vivere non ha bisogno né di scienza né di pane, ma che soltanto la bellezza le è indispensabile, perché senza bellezza non ci sarà più niente da fare in questo mondo”.

Non c’è nessuno che abbia il senso tragico del momento che viviamo. Nessuno che si alzi di un centimetro sopra gli avvenimenti e ne sappia leggere la logica (suicida), il punto di approdo e di crollo. Non solo nella “classe dirigente” (si fa per dire) italiana. La tecnocrazia europea è assai peggiore. Eppure la gente lo sente, avverte che abbiamo perduto l’essenziale. Vorrei sentir dire a qualcuno le parole di Robert Kennedy: “Il dramma della gioventù americana è che sa tutto eccetto una cosa. E questa cosa è l’essenziale”. Continuerà a ignorarlo e ad affossarsi, la nostra gioventù, se – per esempio – le università saranno sempre nelle mani di minoranze fanatiche che inalberano cartelli dove sta scritto: “Non vogliamo padri” (come è accaduto all’Università di Roma per impedire l’arrivo del Papa).

A volte mi viene in mente un’invettiva dell’autore del “Piccolo principe” che dice brandelli di verità: “Odio la mia epoca con tutte le mie forze. In essa l’uomo muore di sete e non esiste al mondo un problema più grande di questo: dare agli uomini un senso spirituale, un’inquietudine spirituale. Non si può vivere di frigoriferi, di bilanci e di politica. Non si può! Non si può vivere senza poesia, senza colore, senza amore. Lavorando unicamente per acquistare dei beni materiali finiremo con il fabbricarci una vera e propria prigione”.

Un inferno. Popolato di demoni e beni di consumo. Di monnezza e di palline da golf perdute. Di vecchi abbarbicati al potere e di giovani incapaci della più piccola nobiltà d’animo. Di assatanati del sesso. Di incapaci di rispettare i deboli. Di ragazze ridotte a cose da possedere anche a costo di violentarle. Di figli ridotti a prodotti da “fabbricare” a proprio gusto o da scartare ed eliminare se “difettosi”. Di una cultura che esalta solo e sempre la brama di possesso, il potere e il denaro (e soprattutto la loro esibizione), mentre la vita reale della metà delle famiglie italiane sta sprofondando letteralmente nella povertà. E se ne approfitta per produrre parole parole parole…

Giorni fa vedevo un programma d’informazione in tv che da anni fa la stessa puntata: non parla che delle bollette e delle buste paga, della finanziaria e della rata del mutuo. Da mesi e da anni. Oltretutto un parlare del tutto vano perché la gente, sempre più impoverita, non si sente dire la verità, non si sente dire “per colpa di chi”. E ora non riesce più neanche ad acquistare le medicine per curarsi. Nessuno ha il coraggio di dire la verità e nessuno la difende.

Ma mi chiedo se la vita e il destino di un popolo sia tutto e solo lì, nelle bollette. Oltretutto questo popolo non fa più figli, perché fare figli significa essere condannati alla povertà; perciò fra venti anni il popolo italiano sarà vicino all’estinzione. Senza speranza. Dicono certi sondaggi che quello italiano è un popolo triste e senza speranza. Nel dopoguerra eravamo molto più poveri, addirittura fra le macerie, un paese in ginocchio. Ma avevamo una grande risorsa che ha fatto “il miracolo”. Qual era? Cosa abbiamo perduto? Perché nessuno sa dirlo? Beh, lo dirò io: la fede cristriana. Questo abbiamo perso. Cioè l’amore alla vita. “L’umanità è giunta a un punto vergognoso! Non siamo liberi da noi stessi. Io parlo perché tutti capiate che la vita è semplice e che per salvarvi, salvare voi stessi e salvare i vostri figli, la vostra discendenza, il vostro futuro, dovete ritornare al punto dove vi siete persi, dove avete imboccato la via sbagliata! Bisogna tornare al punto di prima, in-quel-punto dove voi avete imboccato la strada sbagliata”.

E’ il “folle di Dio”, Domenico, nel film “Nostalghia” di Andrej Tarkovskij, che grida queste parole, poco prima di sacrificare se stesso sopra la statua del Marco Aurelio in Campidoglio. Ma in quale punto abbiamo “imboccato la via sbagliata”? A quale crocevia ci siamo smarriti? Sfogliando un libro di antiche icone russe, Alexander, il protagonista del “Sacrificio” (il successivo e ultimo film di Tarkovskij), si dice colpito da quelle splendide tavole per la “saggezza e spiritualità (…) profonda e virginale nello stesso tempo. Incredibile come una preghiera”. Ma aggiunge, con sconcerto: “tutto questo è andato perduto. Non siamo più neppure capaci di pregare”.

Due sequenze con le quali Tarkovskij ci dice che si sono perdute (o abbandonate) al tempo stesso la Bellezza e la Fede. Che poi sono la stessa cosa. Pavel Edvokimov scrive: “Ciò che è bello è la presenza di Dio fra gli uomini”. Un cataclisma si è dunque consumato agli esordi del Novecento. Preparato da qualche secolo. Si è preteso di cancellare – anche al prezzo di stragi e persecuzioni bestiali – la presenza di Dio fra gli uomini.

Così si è cancellato l’uomo. E si è cancellata anche la bellezza. Infatti non c’è più bellezza, neanche nelle chiese. Non c’è più la forma umana. E non c’è più neanche lo stupore per la realtà creata. Un filosofo straordinario come Wittgenstein diceva: “E ora descriverò l’esperienza di meravigliarsi per l’esistenza del mondo, dicendo: è l’esperienza di vedere il mondo come un miracolo”. Non è più così. I “miracoli” sono stati aboliti innanzitutto dai teologi che si scagliano contro i santi e pretendono di legare le mani alla bontà di Dio. Ebbe modo di prevedere questa china quel grande che era Franz Kafka quando notò: “Non ci sono più miracoli, ma solo istruzioni per l’uso”. Ci sono solo norme, regole, vademecum, anche nella Chiesa che pure è il luogo dei miracoli, che pure sarebbe cielo e terra nuova, dove i miracoli veramente accadono. Dice Tarkovskij: “non si è più capaci di ammettere, neppure per ipotesi, il miracolo”. Perduto il significato siamo precipitati tutti – uomini, popoli e cose create – nell’assurdo e quindi anche nel brutto. L’arte si è disumanizzata e ha celebrato la distruzione del “personaggio uomo” e della realtà creata. Sono diventate “opere d’arte” gli orinatoi e la “merda d’artista”. Così “l’abolizione della bellezza è la fine dell’intelligibilità del mondo” (F. Schuon). Ma è anche la fine del mondo.

Antonio Socci
(da “Libero”, 24 febbraio 2008)