Sergio Mattarella è una persona mite e garbata, con uno spiccato senso delle istituzioni. Sono pregi importanti e dovrebbero aiutare in particolare chi si trova a fare il presidente della Repubblica, quindi a rappresentare l’Italia (non la Germania o la Francia e nemmeno l’Europa, ma l’Italia) e tutti gli italiani (la nazione intera e non questa o quella fazione).

Ci permettiamo dunque di dirci sorpresi per certi suoi silenzi: ci saremmo aspettati, per esempio, che di fronte alle dichiarazioni (anche volgari) contro l’Italia di una serie di esponenti europei o di governi stranieri, il Presidente difendesse il nostro Paese e le sue istituzioni.

Non mi pare che lo abbia fatto e, anzi, ha esternato, pure lui in polemica col nostro governo, su materie che sono squisitamente politiche, quindi opinabili.

Ma è utile che il presidente della Repubblica entri – per esempio – nella contesa sulla questione europea che è al centro del dibattito fra i partiti ed è proprio il tema della campagna elettorale nelle prossime consultazioni europee di maggio? Non si rischia così di trascinare il Quirinale nell’agone elettorale?

IL BILANCIO EUROPEO

Il Presidente, intervenendo venerdì all’incontro dei Capi di Stato a Riga, ha dichiarato addirittura che “non bisogna mercanteggiare sui bilanci UE”, aggiungendo “non è attraverso il calcolo contabile che si definisce il vantaggio” portato dalla UE.

I giornali vi hanno colto un’aperta polemica con il governo italiano. Infatti il quirinalista del Corriere della sera, Marzio Breda, ha scritto: “è trasparente il riferimento al braccio di ferro sulle quote da versare inaugurato dai nostri due vicepremier con Bruxelles per ottenere più flessibilità”.

E’ utile che il presidente della Repubblica italiana delegittimi così – in tempo reale, in un vertice internazionale – l’azione del governo italiano che in Europa sta cercando di difendere gli interessi economici e politici del nostro Paese?

E poi – quanto al merito – perché il nostro governo non dovrebbe “mercanteggiare”? Perché non dovrebbe agire “sul piano del dare e avere”? Cosa vanno a fare i ministri alle riunioni con gli altri paesi? A suonare l’Inno alla gioia con l’allegro Juncker? A giocare a briscola?

Gli altri paesi europei sono lì e – come ben sappiamo – difendono ferocemente i loro interessi nazionali. I nostri ministri invece dovrebbero infischiarsene degli interessi degli italiani?

FINITA L’ERA PD

In effetti i governi degli ultimi anni sono apparsi agli occhi degli italiani come succubi delle altre potenze europee e l’Italia è sempre stata pesantemente penalizzata dalle politiche della UE. Proprio per questo gli elettori hanno mandato a casa il PD con una sonora batosta e ora chiedono di essere meglio rappresentati e difesi dal nuovo governo.

Del resto i ministri hanno giurato proprio nelle mani di Mattarella con questa formula: “Giuro di essere fedele alla Repubblica, di osservarne lealmente la Costituzione e le leggi e di esercitare le mie funzioni nell’interesse esclusivo della Nazione”.

Agire “nell’interesse esclusivo della Nazione” è il dovere dei ministri. Soprattutto oggi che dobbiamo recuperare anni di sudditanza e subalternità agli interessi altrui: si pensi al tema dell’emigrazione

Gli italiani si aspettano dal governo che difenda i nostri interessi nazionali e dovere dei media è dare voce al disagio e alla rabbia dei cittadini per permettere alle istituzioni (Quirinale compreso) di ascoltare meglio il Paese.

ALLARME SOVRANISMO?

E’ giusto e comprensibile che Mattarella si richiami all’ideale europeista, ma dopo Maastricht c’è la UE. E’ altra cosa rispetto alla Cee e i “benefici dell’integrazione” europea per l’Italia in realtà sono dure cifre di disastri.

Il presidente ha messo in guardia dal clima di contrapposizione e dal “nazionalismo” che porta alle “guerre”. Sarebbe giusto se si fosse riferito all’arroganza dei paesi egemoni nella UE. Ma il quirinalista del Corriere spiega: “il presidente della Repubblica ha in mente l’attivismo degli eurocritici più o meno radicali”.

Ma perché Mattarella dovrebbe ingaggiare battaglia con gli eurocritici? E’ del tutto legittimo essere eurocritici (lo è ormai una parte rilevante del Paese) e il Quirinale dovrebbe rappresentare anche loro, come simbolo dell’unità nazionale.

Il popolo italiano vuole tornare ad essere sovrano in casa propria. Qualche mese fa Mattarella affermò: “il sovranismo è inattuabile”. Ma il “sovranismo” è semplicemente la nostra Costituzione.

Lo ha ricordato nei giorni scorsi uno storico delle dottrine politiche come Carlo Galli che è stato addirittura parlamentare PD: “La sovranità è un concetto talmente democratico che è richiamato nel primo articolo della nostra Costituzione. Oggi, invece, chiunque contesti la mondializzazione viene considerato un fascista”.

ALLARMISMO E GUERRE

La Presidenza della Repubblica dovrebbe star fuori da questo dibattito politico e tranquillizzare il mondo sulla saldezza della nostra democrazia e sull’affidabilità dell’Italia, esigendo rispetto per il nostro Paese. Non lanciare l’allarme sul presunto nazionalismo degli eurocritici che porta alle guerre e ai bombardamenti.

Quali guerre e quali bombardamenti? Non risulta che Salvini abbia mai dichiarato guerre o mandato bombardieri. Invece fu il governo D’Alema che nel 1999 coinvolse l’Italia nell’intervento militare contro la Serbia partecipando al bombardamento di Belgrado (la prima capitale europea bombardata dopo la seconda guerra mondiale). Il vicepresidente del Consiglio di D’Alema era Sergio Mattarella.

Quell’evento bellico deve essere stato dimenticato. Come molti altri.

70 ANNI DI GUERRE

Oggi si ripete che da 70 anni i paesi europei non conoscono più la guerra. Sottinteso: prima che arrivassero i sovranisti come Salvini si viveva in un paradiso terrestre e ora si rischiano conflitti.

Ma è una fake news. Oltre alle citate guerre che, con molte migliaia di morti, hanno smembrato la ex Jugoslavia, negli anni Novanta (e l’Europa non ha certo giocato un ruolo pacificatore), c’è la recentissima guerra alla Libia del 2011, fortemente voluta da Inghilterra e Francia. Una guerra sciagurata che ha trasformato quel Paese in una polveriera e ha spalancato la strada all’emigrazione di massa.

E’ curioso che Emmanuel Macron, in un tweet del 30 agosto, abbia scritto: “Viviamo da 70 anni in un miracolo: non c’è più la guerra in Europa”.

Ha dimenticato soltanto dieci anni di guerra in Jugoslavia e l’Ucraina. Ma anche le guerre che i paesi europei hanno fatto fuori dall’Europa, come la Libia appunto, e soprattutto la guerra della Francia in Algeria (1954-1962).

C’è poi il conflitto dell’Olanda in Indonesia, che coinvolse pure la Gran Bretagna (1945-1949), la guerra delle Falkland fra Gran Bretagna e Argentina (1982), le due guerre “mondiali” all’Iraq (1991 e 2003) e quella all’Afghanistan (2001).

E ci sarebbe da riflettere sui paesi europei e tutte le sanguinose guerre africane, dal Congo al Ruanda, fino alla recentissima guerra in Siria.

Settant’anni di pace?

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Antonio Socci

Da “Libero”, 16 settembre 2018

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