Ieri Massimo D’Alema ha bombardato il centrosinistra che ha governato finora: “io ho visto governanti che hanno passato anni a baciare la pantofola della Merkel e adesso sono passati alla pantofola di Macron”.

Poi, in questa intervista alla “Stampa”, ha rincarato la dose: si è accorto che i francesi – oggi protagonisti di un grande shopping in Italia – hanno con noi un atteggiamento “coloniale”.

Perciò critica “la fragilità della classe dirigente italiana” e riconosce che “gran parte dei principali asset nazionali stanno finendo nelle mani di capitale straniero, soprattutto francese, ma non solo”.

Mentre la “reciprocità” ha aggiunto “non c’è” perché “a noi non è consentito andare a fare shopping in casa d’altri”.

Dunque siamo sottomessi agli stranieri? Dice il lìder Massimo: “non è una novità che una parte della classe dirigente sia subalterna allo straniero” .

Parole pesanti e drammatiche. Ma lui, D’Alema, non è stato in questi anni all’opposizione. Certo, ha una questione personale con Renzi, ma non risulta che si sia schierato contro questi governi del centrosinistra.

Non si è mai visto in questi anni un D’Alema “sovranista” che abbia fatto dell’indipendenza del Paese e della nostra sovranità nazionale la sua battaglia politica.

Infatti D’Alema oggi non contesta le vere cause storiche della nostra “subalternità allo straniero”, cioè la fondamentale cessione di sovranità, che ci ha messo alla mercé di tutti, quella dell’euro e dell’Unione europea.

E’ così che siamo diventati sudditi. Un meccanismo che stritola lo stato nazionale e lo stato sociale, insieme con la nostra indipendenza e il nostro futuro come nazione.

Era presidente del Consiglio proprio D’Alema nel 1999 quando l’economista Paul Krugman – poi Premio Nobel – ci avvertiva: “Adottando l’euro, l’Italia si è ridotta allo stato di una nazione del Terzo Mondo che deve prendere in prestito una moneta straniera con tutti i danni che ciò implica”.

Ma non risulta che a Palazzo Chigi si siano allarmati per l’annunciato disastro. Anzi il centrosinistra dagli anni novanta ha fatto dell’Euro e dell’Unione Europea una sorta di “religione civile”, con dogmi indiscutibili, sebbene tutti smentiti dalla dura realtà dei fatti.

ALLA LUCE DEL SOLE

Non a caso D’Alema nella stessa intervista di ieri resta sempre nell’orizzonte di questa UE e dell’euro.

Eppure D’Alema sa bene come stanno le cose. E, per esempio, in una intervista televisiva del luglio 2015 sulla crisi greca, dimostrò di conoscere perfettamente il meccanismo perverso che stritola i paesi più deboli. Lo illustrò pubblicamente così:

“Moneta unica, ma differenti livelli di competitività e forza economica. In Germania il costo del denaro è bassissimo, anzi, addirittura con interesse negativo. Quindi le banche tedesche raccolgono denaro dai risparmiatori tedeschi, che per loro ha un costo quasi nullo, comprano i titoli della Grecia, che paga il 15 per cento di tassi d’interesse, perché paese a rischio, e guadagnano una montagna di soldi. Da un paese povero come la Grecia enormi risorse si trasferiscono verso un paese ricco come la Germania. E il paese povero si impoverisce sempre più, mentre il paese ricco si avvantaggia sempre di più”.

Una spiegazione chiara che già dovrebbe far riflettere criticamente. Ma poi, quando il paese povero, con la gente alla canna del gas, non è più in grado di pagare cosa succede? Dovrebbero rimetterci le banche che hanno lucrato fin lì enormi profitti? Invece no.

“Quando il paese povero non è più in grado di pagare i debiti” spiegava sarcastico D’Alema “arrivano gli aiuti europei. Noi [europei] abbiamo dato alla Grecia 250 miliardi di euro, ma non per le pensioni dei greci, ma per pagare gli interessi alle banche tedesche e francesi (e – molto parzialmente – italiane): 220 miliardi dei 250 miliardi di aiuti sono andati direttamente alle banche tedesche, francesi e italiane [in minima parte]: i prestatori. Questo meccanismo non può reggere a lungo”.

Sembrerebbe una stroncatura drastica. Invece D’Alema non ne ha mai tratto le conseguenze: mai a Sinistra si è messa in discussione questa Unione europea, l’euro e i trattati.

Eppure, oggi, non basta dire che l’Italia è “subalterna allo straniero” e prostrata. Bisogna dire perché si è ridotta così. Se non si ripensano l’euro e la Ue non si uscirà mai dalla sudditanza e si andrà verso il baratro.

Del resto lo stesso Matteo Renzi – il 3 agosto 2017, quando non era più premier – riconosceva (come riporta un tweet del TgLa7): “Ue: abbiamo sbagliato a non difendere i nostri interessi nazionali”.

Un’ammissione stupefacente. Che però – anch’essa – non è stata seguita da revisioni autocritiche. Anzi.

SEMPRE PEGGIO

A capo del governo è andato quel Paolo Gentiloni che il 2 agosto 2012 – con un altro eloquente tweet – esponeva il suo pensiero perfettamente allineato alla de-sovranizzazione che già subiamo: “Dobbiamo cedere sovranità a un’Europa unita e democratica”.

Già allora Gentiloni voleva cedere anche l’ultimo rimasuglio di sovranità nazionale. Invece di proporre e di fare l’esatto contrario.

L’Europa ci porta alla morte. Abbiamo perso un terzo del manifatturiero e oltre il 25 per cento della produzione industriale. Bisogna uscire dall’eurozona. Altrimenti diventeremo un Paese deindustrializzato e del Terzo mondo come Romania e Bulgaria. È una lotta contro il tempo”. Sono parole di Luciano Barra Caracciolo, magistrato presidente di sezione del Consiglio di Stato e autore del libro “Euro e (o?) democrazia costituzionale. La convivenza impossibile tra Costituzione e Trattati europei”.

Ma Gentiloni è sulla strada opposta. E l’inconsistenza politica del suo esecutivo aggrava la nostra sudditanza portandoci a fare figuracce come la recente perdita beffarda dell’Agenzia del farmaco da parte di Milano.

Proprio a causa della sua irrilevanza internazionale il governo ha preso sberle su sberle (e le ha fatte prendere all’Italia). Per esempio continuiamo a subire le sanzioni alla Russia, “una misura autolesionistica” (D’Alema) che ha danneggiato solo la nostra economia.

Anche ripercorrendo solo le ultime settimane si susseguono le umiliazioni. Nei giorni scorsi a Bruxelles ci hanno ulteriormente punito sulle quote della pesca, con il nostro governo che latitava.

Al vertice col gruppo di Visegrad e con la Ue sul ricollocamento dei migranti Gentiloni si è di nuovo sentito rispondere picche. E l’Italia è rimasta con la patata bollente in mano.

Ma per capire quanto (poco) conti oggi l’Italia basta leggere un titolo di “Repubblica” di sabato: “Nasce l’asse Merkel-Macron per rifondare l’Eurozona”.

Sottotitolo: “ ‘Entro marzo soluzione comune sulla riforma’. L’Italia resta fuori dal tavolo ma spera in Schulz. In ballo c’è la gestione di conti pubblici e banche”.

Capito? Decidono lorsignori. L’Italia resta sempre e solo il pollo da spennare. Germania e Francia la fanno da padrone. “Saranno loro” spiega Repubblica “a tracciare la strada per la nuova governance della moneta unica rilanciando l’asse franco-tedesco”.

E a che titolo? In forza di quale trattato? L’Italia, lasciata fuori dalla porta come la servitù, si è ben guardata dall’obiettare qualcosa ai padroni della Ue. Anzi Gentiloni – quello che voleva ancor di più “cedere sovranità” all’’Europa – subisce (e fa subire all’Italia) l’ennesima umiliazione. Di cui presto pagheremo conti economici (e sociali) salatissimi, come è già accaduto in questi anni.

Infine ci mancava solo il “geniale” emendamento governativo alla manovra che prospetta la possibilità per i ministeri di vendere a stati stranieri il patrimonio del demanio pubblico italiano. Siamo a questo punto. Giorgia Meloni ha tuonato: “Colpo di coda del governo dei nemici dell’Italia”.

E dire che il centrosinistra si era presentato alle elezioni del 2013 sotto il nome “Italia bene comune”. Alla fine l’esecutivo ha fatto retromarcia, ma di questo passo, un giorno, si arriverà a vendere agli stranieri pure la Fontana di Trevi come Totò.

.

Antonio Socci

Da “Libero”, 18 dicembre 2017

,

Facebook: “Antonio Socci pagina ufficiale”

Twitter: @AntonioSocci1

Print Friendly, PDF & Email