Contro questa guerra (dis)umanitaria
“La violenza non instaura il regno dell’umanesimo. E’ al contrario uno strumento preferito dall’anticristo – per quanto possa essere motivata in chiave religioso-idealistica. Non serve all’umanesimo, bensì alla disumanità”.
E’ un pesantissimo giudizio di Benedetto XVI ed essendo contenuto nel libro appena uscito, “Gesù di Nazaret”, diventa inevitabile associarlo alla cosiddetta “guerra umanitaria” appena scatenata – a suon di bombe – contro la Libia di Gheddafi.
Anche perché è sempre più chiaro che questo Papa parla direttamente tramite il suo insegnamento e non attraverso la diplomazia vaticana (che peraltro è sempre più assente e lo è stata anche in questa circostanza).
Il giudizio del libro del Pontefice va accostato infatti alle specifiche parole sulla Libia pronunciate da Benedetto XVI nell’Angelus del 20 marzo: “chiedo a Dio che un orizzonte di pace e di concordia sorga al più presto sulla Libia e sull’intera regione nord africana”.
Poi ha aggiunto: “rivolgo un pressante appello a quanti hanno responsabilità politiche e militari, perché abbiano a cuore, anzitutto, l’incolumità e la sicurezza dei cittadini e garantiscano l’accesso ai soccorsi umanitari. Alla popolazione desidero assicurare la mia commossa vicinanza”.
Questo appello va letto con le dichiarazioni del vescovo di Tripoli contro i bombardamenti sulla città scatenati dai “volenterosi” senza prima tentare nessuna mediazione. Monsignor Martinelli con saggezza ha auspicato, attraverso le organizzazioni internazionali, trattative politiche che sostituiscano l’uso delle armi.
Naturalmente non bisogna confondere la posizione della Chiesa, espressa da papa Ratzinger e da monsignor Martinelli, con l’ideologia del pacifismo assoluto.
Infatti si sa che il pensiero cattolico ha elaborato da tempo la dottrina della “guerra giusta”, che legittima – in certi particolarissimi casi – l’uso della forza. Per autodifesa o per la difesa di inermi.
Ma Benedetto XVI, coerentemente con tutto il magistero dei papi del Novecento, tende a restringere sempre più la casistica della “guerra giusta”.
Anche perché la storia recente dimostra quanto scivolosa e ambigua sia la categoria di “guerra umanitaria”, che spesso copre interessi inconfessati e inconfessabili.
Come accade peraltro nel caso della “guerra libica”, dove sono in tanti ad aver mestato nel torbido, magari fomentando le rivolte per poi poter intervenire militarmente e mettere le mani sul petrolio libico.
Inoltre, anche se ci sono casi in cui la dottrina cattolica ammette l’uso della forza, per la Chiesa tale uso della forza deve essere assolutamente proporzionato alle necessità e deve rigorosamente puntare a ottenere il massimo risultato col minimo danno.
Ovvero: non è legittimo – con la scusa della guerra in difesa di inermi – scatenare distruzioni e massacri peggiori di quelli che si pretendeva di evitare.
Questo è anche il motivo per cui non è lecito scatenare guerre a destra e a manca contro tutti i regimi che calpestano i diritti umani: il rimedio finirebbe per essere peggiore del male. L’esperienza storica dimostra che è attraverso la politica, gli accordi, i trattati, la cooperazione, il dialogo che si può ottenere anche un’evoluzione dei regimi dittatoriali.
E la storia del Novecento dimostra che è possibile uscire dalle tirannie (di destra come di sinistra) senza stragi, guerre e spargimento di sangue. Questa, per la Chiesa, è la strada da percorrere.
Colpisce che papa Ratzinger ancora una volta evochi la figura dell’anticristo, come ha già fatto molte volte nel suo pontificato (pure nelle encicliche), associandola all’inganno ideologico dei “nobili ideali”.
L’idea che l’anticristo si ammanti di apparenze idealistiche o umanitarie per scatenare, in realtà, il male è un pensiero ricorrente di papa Ratzinger ed è anche un’antica premonizione della tradizione cristiana.
Anzi, uno dei pericoli che papa Ratzinger denuncia con più vigore è la copertura “religiosa” che da più parti si è tentati di dare alla violenza.
Infatti il brano del libro del Papa, letto per esteso, va molto al di là del caso attuale della guerra libica e – in un certo senso – è ancora più esplosivo.
Il primo bersaglio sono le cosiddette “teologie della rivoluzione” (che ben prima e ben più della “teologia della liberazione” considerarono Gesù come un “rivoluzionario politico”).
Secondo Benedetto XVI queste teorie assimilano Gesù agli zeloti del suo tempo, ovvero a quel partito fondamentalista che strumentalizzava l’attesa messianica di Israele per fomentare un’avventuristica rivolta armata all’occupazione romana: alla fine ci riuscirono (con dei messia fasulli) e i romani massacrarono il popolo ebraico, lo dispersero e distrussero Gerusalemme e il Tempio.
Dunque certe teologie politiche rivoluzionarie degli anni Sessanta pretendevano di far passare Gesù per uno zelota, un rivoluzionario, che per questa sua rivolta politico-sociale sarebbe stato ucciso.
Oggi – scrive il Papa – “si è calmata l’onda delle teologie della rivoluzione che, in base ad un Gesù interpretato come zelota, avevano cercato di legittimare la violenza come mezzo per instaurare un mondo migliore – il ‘Regno’.
I risultati terribili di una violenza motivata religiosamente stanno in modo troppo drastico davanti agli occhi di tutti noi. La violenza non instaura il regno di Dio, il regno dell’umanesimo.
E’, al contrario, uno strumento preferito dall’anticristo – per quanto possa essere motivata in chiave religioso-idealistica. Non serve all’umanesimo, bensì alla disumanità”.
Il Papa afferma dunque che Gesù era all’opposto di tutto questo: “il sovvertimento violento, l’uccisione di altri nel nome di Dio non corrispondeva al suo modo di essere”. Egli sarà infatti “il re della pace”.
Ratzinger mostra che è proprio la vittima, il Crocifisso (con i crocifissi) a cambiare la condizione umana e il mondo con l’amore. E non i crocifissori con la forza e con la violenza.
Questo passo del libro del Papa torna dunque sul tema dell’ “esplosivo” discorso di Ratisbona, sul possibile legame fra religione e violenza, ma sottolineando che vale per tutti perché tutti – non solo i musulmani – possono essere tentati di giustificare la violenza con motivazioni religiose. Perfino i cristiani lo hanno fatto.
Fra gli spunti nuovi c’è l’evocazione, in questo contesto, pure della cultura umanistica e umanitaria.
Perché anche in nome dell’umanesimo, in nome di nobili ideali o della causa umanitaria si può giustificare la violenza. Ma è egualmente arbitrario e, afferma il Papa, “non serve all’umanesimo. Bensì alla disumanità”.
Una riflessione per tutti i tempi. Ma che, nel caso specifico, a mio avviso, boccia la “guerra libica” così come è esplosa e si è svolta finora.
Antonio Socci
Da “Libero”, 26 marzo 2011