Romano Prodi dunque ha promesso all’Italia “la felicità”.
Ci crede e ne è entusiasta Roberto Cotroneo sull’Unità.
La promessa arriva proprio nelle ore in cui, su “Grazia”, è uscita una commovente confessione (privata) di infelicità e solitudine di Emma Bonino. La vedremo, ma prima bisogna chiedersi come Prodi pensa di dare tonnellate di felicità a tutti. Per decreto legge? O farà una commissione? O incaricherà Rosy Bindi, Pecoraro Scanio, Caruso e Diliberto?
Ha promesso la felicità che è come garantire – dal 10 aprile – il Paradiso in terra.
Non si sarà sbilanciato un po’ troppo? Non riesce neanche a spiegare dove troverà le risorse per diminuire di 5 punti il cuneo fiscale sul lavoro dipendente e si lancia in questa mirabolante promessa. Peraltro non richiesta.
Agli italiani basterebbe molto meno: un po’ di buona amministrazione, strade e treni più veloci, fisco meno oppressivo, mondo islamico meno minaccioso e più libertà dalle burocrazie (anche europee).

Ma Prodi se ne infischia di queste aspettative.
Sul fisco paventa nuove mazzate, di modernizzazione (com’è la Tav) non parla per non irritare Verdi e comunisti e le burocrazie saranno moltiplicate, con le spese (come emerge dal programma dell’Unione).

Però ci promette la felicità. Attenzione, non il diritto alla “ricerca della felicità” (“pursuit of happiness”) come afferma la Dichiarazione d’indipendenza americana. Ma la felicità tout court, come se fosse “organizzata” dallo Stato. E questo è il mito marxista.
“Non è per la felicità che si fanno le rivoluzioni?”, diceva Pasolini. Verissimo. Anche gli sciamannati che a Milano sono andati a bruciare negozi e auto vogliono fare la rivoluzione e darci la felicità.
Dio ci scampi. Abbiamo già dato.
Il Novecento è stato pieno di rivoluzionari (veri) che volevano costruire il Paradiso in terra e si sono messi a tagliare la testa alla gente edificando lugubri inferni.
Il popolo di sinistra prima si aspettava la felicità da Lenin e Stalin, oggi da un ex democristiano, specialista in piastrelle di Sassuolo, che ha collezionato poltrone (e defenestrazioni).
Promettere, nientemeno, la felicità è l’esatto opposto, secondo Joseph Ratzinger, di quanto dovrebbe fare un politico (vedremo le sue parole). Ma questa è la deriva illusionistica prodiana.
E’ come se avesse dichiarato di saper camminare sulle acque e di poter cambiare l’acqua in vino.
Eppure nessuno l’ha preso a pernacchie, nessuno sembra aver colto il senso ridicolo e demagogico di queste parole. A Prodi si fa passare tutto.

Cinque anni fa irrisero e spernacchiarono Berlusconi perché promise un milione di nuovi posti di lavoro che pure erano un obiettivo terreno, perfettamente raggiungibile e in effetti il governo l’ha conseguito.
Lo definirono per questo un venditore di tappeti, un imbonitore, un ciarlatano. Berlusconi il fare da venditore ce l’ha, ma quell’obiettivo era realistico e l’ha realizzato. Bisogna dargliene atto.
Ma nessuno ha irriso la trovata demagogica di Prodi: la felicità. Invece di promettere, seriamente e concretamente, di portare il fisco a livelli decenti, una seria politica energetica (col nucleare) che ci sottragga alla dittatura degli sceicchi e aiuti la competitività, invece di impegnarsi a sostenere le famiglie per evitare il suicidio demografico, Prodi ci promette “la felicità”.

Ma va là, con quell’aspetto triste? Come gli viene in mente di rappresentare lui la felicità?
Qui c’è proprio un errore teologico.
Infatti un cattolico sa che la “felicità” è Dio. Nientemeno che Dio. Sant’Agostino dice, rivolto al Creatore: “Hai fatto il nostro cuore inquieto finché non riposi in Te”.
Significa che tutte le creature trovano in natura il loro appagamento, ma l’uomo no, sarà sempre insoddisfatto, sempre inappagato perché il suo desiderio di felicità è infinito, è fatto per l’infinito, cioè per Dio.
Dunque l’uomo non può aspettarsi la felicità dalla politica. Dal potere.
E il politico che promette la felicità è pericoloso.
L’imbroglio delle “grandi parole” è esattamente il rischio che un certo Joseph Ratzinger indicò in un memorabile discorso ai politici tedeschi: “la morale politica consiste precisamente nella resistenza alla seduzione delle grandi parole con cui ci si fa gioco dell’umanità dell’uomo e delle sue possibilità”.

Aspettarsi la felicità dalla politica è stato l’orrendo abbaglio del Novecento, del secolo delle ideologie.
Il “perfettismo” e l’utopia, come insegna il pensiero liberale, sono pericolosissimi. Perché la politica, come ogni realizzazione umana, è, per sua natura, imperfetta e comunque non è tutto per l’uomo.

Diceva ancora Ratzinger: “Lo Stato non è la totalità dell’esistenza umana e non abbraccia tutta la speranza umana…. Questo alleggerisce il peso all’uomo politico e gli apre la strada a una politica razionale”.
Il rischio – aggiungeva l’attuale pontefice – è “il mito dello stato divino”. Da cui viene la “politica della schiavitù, politica mitologica”.
Ma il cristianesimo già duemila anni fa “ha distrutto il mito dello stato divino, il mito dello stato-paradiso e della società senza dominio o potere.
Al suo posto ha invece collocato il realismo della ragione”.
Anche oggi, spiegava Ratzinger, i cristiani devono “liberare l’uomo dall’irrazionalità dei miti politici che sono il vero rischio del nostro tempo. Essere sobri e attuare ciò che è possibile e non reclamare con il cuore in fiamme l’impossibile”.
Nel centrosinistra c’è un’altra componente che – come quella marxista – ha preteso di far coincidere politica e felicità: i radicali.
Che l’utilitarismo individualista elevato a programma politico rappresenti la felicità sociale è assai dubbio perché – diceva Leopardi – “umilmente domando se la felicità dei popoli si può dare senza la felicità degli individui”.
E la felicità individuale è cosa ben più grande, misteriosa e seria del programma della Rosa nel pugno.
Colpisce l’intervista che il simbolo della politica radicale, Emma Bonino, ha appena rilasciata a “Grazia”, un’intervista molto sincera e drammatica.
Confesso che ho trovato commovente la confessione della Bonino, ma è indiscutibile che si tratta di una struggente confessione di infelicità. C’è il dolore della solitudine (“piango, moltissimo, da sola. Su questo divano. Mi appallottolo qui e piango”), c’è il dolore dell’aborto giovanile (“solitudine, umiliazione, rabbia e un gran bisogno che tutto finisse subito”), il desiderio poi di un figlio che non è arrivato neanche con la fecondazione artificiale, la gioia delle due bambine avute in affido per quattro mesi e poi tornate dai genitori (“rimanere sola è stato un dolore immenso. All’improvviso più nessuno mi faceva sentire indispendabile, buona”), il dolore di “quando Roberto mi ha lasciata” (“mi umiliava l’idea che mi avesse lasciata per una ragazzina di 24 anni”) e poi la morte della madre (“di colpo ho capito di non essere più di nessuno. Non sono stata mai moglie, mai madre. Sono sempre stata solo una figlia e adesso…”).
In pratica un grande struggente inno ai valori tradizionali (l’amore fra uomo e donna che dura per sempre, i figli, la famiglia, i genitori), cioè proprio quei valori contro cui la Rosa nel pugno combatte (e al suo seguito l’Unione).
Ho incontrato di recente la Bonino.
Mi ha colpito la sua dolcezza, il suo dolore.
E’ diversa da molti anni fa e dai suoi compagni radicali. Questa intervista la rivela. C’è una umanità concreta che smentisce la politica radicale. Forse questo conflitto si manifesta nel rapporto con Pannella (“a volte lo sento troppo distante. E ho bisogno di allontanarlo”).
La felicità non viene dalla politica.

Fonte: © Libero – 19 marzo 2006

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