Secondo l’Unicef, nel mondo, “1 adolescente su 7 tra i 10 e i 19 anni convive con un disturbo mentale diagnosticato. In Italia, nel 2019, si stimava che il 16,6% dei ragazzi e delle ragazze fra i 10 e i 19 anni, circa 956.000, soffrissero di problemi di salute mentale“.

Un altro studio del Gemelli e dell’Unicef, su pre-adolescenti e adolescenti italiani dopo la pandemia da Covid, sembra ancor più allarmante.

Ecco perché nelle scuole è sempre più pressante la domanda di assistenza psicologica e sui media si parla spesso di disagio giovanile e diffusi stati di ansia.

Il dottor Carlo Bellieni, sul “Sussidiario.net”, sostiene che lo “sportello psicologico” non è la bacchetta magica che risolve tutti i problemi, anche perché – a suo avviso – è la nostra società ad essere “psicopatogena”.

Cioè “crea essa stessa il problema. Lo crea perché crea illusioni, allucinazioni. Illude di avere a portata di mano la felicità e invece la allontana. Illude regalando il miraggio magico che facendo quelle poche cose si ottenga il sogno ambito. È il cuore nero della pubblicità. E il cuore nero della moda: dare illusioni che quando si realizzano lasciano con la sete”. Così “illusi di fortune a buon mercato, una fetta di mondo non trova più padri (al massimo trova padroni), e ha perso il desiderio”.

È una spiegazione possibile. Ma molto resta da capire. Le statistiche sul disagio psicologico per il lockdown o altre ansie collettive dicono anche altro. Che ci sta succedendo? Da dove viene questa nostra fragilità?Certo, ci sono tanti problemi sociali anche oggi, ma noi (giovani e adulti) viviamo in condizioni del tutto privilegiate rispetto alle generazioni precedenti.

I nostri padri e i nostri nonni hanno subìto due guerre mondiali (che sono un po’ peggio di due mesi di lockdown), hanno sopportato miseria, fatica e fame (che sono un po’ più pesanti dei messaggi della pubblicità e della moda), eppure hanno costruito – con il loro lavoro, i loro sacrifici e la loro intelligenza – l’Italia del miracolo economico di cui ancora godiamo e per la prima volta hanno permesso ai loro figli di studiare e crescere socialmente e culturalmente.

Cos’è che ci manca oggi? Cos’è che è andato perduto, dagli anni Sessanta in poi, nell’Italia che ha conquistato la prosperità e si è laicizzata, emancipata, disinibita e modernizzata?

Christopher Lasch, nel suo memorabile “La cultura del narcisismo”, segnalava già nel 1979 che non c’è più l’“ordine borghese”, né “la famiglia autoritaria”, né “la morale sessuale repressiva” e che l’“uomo economico” è stato sostituito dall’“uomo psicologico, il prodotto finale dell’individualismo borghese”.

È “il nuovo narcisista, perseguitato dall’ansia e non dalla colpa”, che “libero dalle superstizioni del passato mette in dubbio persino la realtà della sua stessa esistenza”. Egli “vuole trovare un senso alla sua vita”.

Più avanti scrive: “Il clima contemporaneo è terapeutico, non religioso. La gente oggi non aspira alla salvazione personale, e tanto meno al ritorno a una primitiva età dell’oro, ma alla sensazione, alla illusione momentanea di benessere personale, di salute fisica e di tranquillità psichica”.

Già al ’68, aggiunge, molti “aderirono per ragioni personali più che politiche… una forma di terapia. L’attività politica radicale riempì il vuoto di molte vite, dando loro un significato e uno scopo”.
In pratica, abbiamo smesso di desiderare la salvezza per accontentarci del benessere e il risultato è che siamo sempre più ansiosi e infelici.

 

Antonio Socci

Da “Libero”, 18 novembre 2023

(Nella foto una scultura di Igor Mitoraj)

 

 

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