In una celebre scena del film Le ali della libertà, ambientato nel carcere di Shawshank, il protagonista Andy Dufresne elude la sorveglianza delle guardie, entra nella direzione e accende il grammofono: tramite gli altoparlanti fa ascoltare a tutti i detenuti un sublime duetto contenuto nell’opera di Mozart Le nozze di Figaro.

L’effetto è straordinario. I prigionieri, abituati a vivere in quel luogo di disperazione e violenza, d’improvviso appaiono incantati dalla meraviglia di quella musica e di quelle voci.

Il protagonista, in seguito, racconterà così quel momento:

“Ancora oggi non so cosa dicessero quelle due donne che cantavano, e a dire la verità non lo voglio sapere: ci sono cose che non devono essere spiegate. Mi piace pensare che l’argomento fosse una cosa così bella da non poter essere espressa con delle semplici parole. Quelle voci si libravano nell’aria a un’altezza che nessuno di noi aveva mai osato sognare. Era come se un uccello meraviglioso fosse volato via dalla grande gabbia in cui eravamo, facendola dissolvere nell’aria. E per un brevissimo istante tutti gli uomini di Shawshank si sentirono liberi (cosa che fece alquanto incazzare il direttore)”.

Il detenuto “colpevole”, dopo due settimane di cella di punizione, torna fra i suoi compagni di pena e spiega che in quel “buco” non era solo perché “c’era il signor Mozart a tenermi compagnia”, infatti “ce l’avevo qui e qui” (cioè la testa e il cuore). Poi aggiunge: “questo è il bello della musica: nessuno può portartela via”.

Un suo compagno allora gli chiede: “Qui dentro che senso ha?”. E lui risponde: “È proprio qui dentro che ha senso. Serve per non dimenticare. Per non dimenticare che ci sono posti a questo mondo che non sono fatti di pietra e che c’è qualcosa dentro di te, che nessuno ti può toccare, né togliere, se tu non vuoi”. “Ma di che parli?”, ribatte l’amico. E lui: “Di speranza”.

È una delle più belle descrizioni dell’effetto della musica sull’animo umano. Ed è verissima. Ricordo un amico di gioventù che, avendo frequentato il conservatorio, per mantenersi all’Università insegnava educazione musicale in una scuola media gestita dalle suore. Gli fu affidata una classe che secondo la preside era molto turbolenta e ingestibile. Enorme fu la meraviglia di lei quando, un giorno, andò a controllare e trovò la classe incantata ad ascoltare le arie delle opere liriche (la Tosca, la Madama Butterfly, la Bohème…) di cui il mio amico aveva spiegato la trama.

In questi giorni di grandi disquisizioni mediatiche sulla condizione giovanile, sullo smarrimento di questa generazione, penso all’enorme potenzialità educativa e creativa che la musica, insegnata bene nelle scuole, potrebbe avere.

Penso alle parole di un grande violinista come Uto Ughi che si sta spendendo molto per questo. Egli ripete continuamente che la musica ci consegna la grande tradizione da cui veniamo e ricorda Gustav Mahler il quale diceva che la tradizione non è il culto delle ceneri, ma la custodia del fuoco.

Perfino Emil Cioran ha scritto: “L’estasi musicale raggiunge l’estasi mistica. La musica è nata dal rimpianto del paradiso, è il linguaggio della trascendenza e questo spiega la complicità che essa sa creare tra gli esseri. È l’assoluto colto nel tempo”. Con essa “entri in contatto con qualcosa di essenziale che ti colma, una sorta di grazia (…). È perduto chi non ha più lacrime per la musica, il dono delle lacrime, questo supremo favore di Dio allo spirito, che trionfa sull’inaridimento dell’anima”.

Antonio Socci

Da “Libero”, 19 ottobre 2024

(Nella foto: la scena del film “Le ali della libertà” di cui si parla nell’articolo)