DISCRIMINAZIONE? SI, CONTRO GLI ITALIANI, CITTADINI DI SERIE B IN PATRIA…
Non ci vuole molto a capire lo scopo del “reddito d’inclusione” appena varato dal governo Gentiloni. Gli italiani sono ormai “scafati”, infatti sui social circola questo semplice promemoria:
ad aprile 2014 viene approvato il Bonus degli 80 euro e – guarda caso – a maggio c’erano le elezioni europee;
a novembre 2016 arriva il Bonus Giovani di 500 euro e – per una strana coincidenza – il 4 dicembre successivo c’era il referendum costituzionale di Renzi;
oggi si vara il “reddito d’inclusione” che inizierà a gennaio 2018 e – curiosamente – a febbraio 2018 ci saranno le elezioni.
Insomma è campagna elettorale. Il Pd continua con la politica delle mance pre-elettorali, fatta però con i soldi dei cittadini. Paga sempre Pantalone.
Il lancio del “reddito d’inclusione” dovrebbe servire anche ad attutire l’indignazione degli italiani per l’annunciata legge sullo “Ius soli”, un’altra “sòla” voluta per mettere il cappello sui voti degli stranieri diventati cittadini italiani.
Questa almeno è la “percezione” degli italiani. Me lo ha fatto capire una lettrice, una brava signora che tira avanti con fatica dovendo mantenere la famiglia.
Mi scrive: “Sarebbe interessante far notare ai nostri contatori di bufale… che il reddito di inclusione, se venisse equiparato al costo giornaliero di un immigrato, dovrebbe essere di 1050 euro mensili. Sono 12.600 euro l’anno. A me farebbero comodo. Che dice? Italiani cittadini di serie B”.
La signora, che pure è una donna educata e anche colta, non sa trattenere l’indignazione: “il reddito di inclusione è una grandissima presa per il culo degli italiani… giusto le briciole per far passare lo ius sola ed evitare la guerra civile. Ma siamo già in piena guerra civile. Non se ne accorge nessuno?”.
In effetti – se ci si riflette – il ragionamento della signora è sensato.
Proviamo a mettere in fila alcune cifre partendo da quelle complessive: per il “reddito di inclusione”, di cui in realtà usufruirà solo un terzo delle famiglie che hanno un reddito inferiore alla soglia di povertà, è stanziato quest’anno 1 miliardo e 700 milioni di euro.
Mentre – secondo il Documento Programmatico di bilancio presentato nell’aprile scorso – il governo ritiene che nel 2017 le spese per il soccorso e l’accoglienza dei migranti possono salire fino 4,6 miliardi di euro, che sarebbe un miliardo in più rispetto a quanto si è speso nel 2016 (da “Il Sole 24 ore”, 17 aprile 2017).
Dunque – se la matematica non è un’opinione – il governo spende, per gli stranieri che accoglie e mantiene, quasi tre volte più di quanto spende per le famiglie italiane più povere.
E i soldi che lo Stato spende per i migranti vengono anche dalle tasse pagate dagli italiani più indigenti.
Il calcolo personale fatto dalla mia lettrice è plausibile: il costo del migrante è di 35 euro al giorno per un adulto, 45 euro per i minorenni che effettivamente fanno 1050 euro mensili per un adulto e 1350 per un minore (è il costo del mantenimento del migrante, non uno stipendio di 35 euro, anche se c’è compreso il cosiddetto “pocket money” per le sue spese quotidiane).
Mentre al povero italiano vanno 190 euro mensili, al massimo per 18 mesi. La differenza tra 1050 euro mensili e 190 euro mensili è alquanto vistosa ed è difficile che la gente non se ne accorga. E’ chiaro che se c’è una discriminazione è contro gli italiani.
Va pure detto che in realtà i costi complessivi dell’emigrazione, per l’Italia, non sono neanche quantificabili completamente, perché si dovrebbero considerare molti altri aspetti, ma resta il fatto che le spese per i migranti dello Stato italiano sono molto alte, assai di più di quanto spenda per il cosiddetto “reddito di inclusione” dei nostri indigenti.
Dunque gli italiani sono davvero cittadini di serie B in casa loro. Le menti illuminate della Sinistra dicono che è aberrante mettere in contrapposizione i poveri (cioè gli italiani poveri con i poveri migranti) e aggiungono – assurdamente – che così si fomenta il razzismo.
Ma la concorrenza è nei fatti perché la coperta è sempre quella: se la si tira da una parte si scopre quell’altra.
Lo fa capire efficacemente Milena Gabanelli che non è certo una leghista: “Le anime belle parlano di frontiere aperte, ignorando che la frontiera aperta significa fine del sistema del welfare. E’ questo che vogliamo?”.
La Sinistra si rifiuta sempre di fare i conti con la realtà. Preferisce vivere nel mondo dell’ideologia, che fa rima con ipocrisia e con demagogia.
In quel mondo si fa beneficienza con i soldi degli altri e per sentirsi buoni e illuminati si predica accoglienza, ma si spediscono i migranti nella “disperata periferia romana” del Tiburtino III e non a Capalbio o al quartiere Prati (trattando poi da xenofoba o razzista la “plebe” dei quartieri popolari che deve convivere con situazioni pesantissime).
Va anche detto che l’assistenzialismo del “reddito d’inclusione” (peraltro esiguo) non risolve la povertà.
Lo Stato deve affrontarla anzitutto facilitando chi crea lavoro e ricchezza.
Si devono fare scelte di politica economica che sostengano il nostro sistema produttivo cosicché si abbia la possibilità di mantenersi col proprio lavoro, che è anche la cosa che ciascuno dignitosamente chiede (e che, peraltro, sta scritta nell’articolo 1 della Costituzione).
Ma più del crollo del reddito degli italiani, il Pd si preoccupa del crollo dei suoi voti.
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Antonio Socci
Da “Libero”, 1 settembre
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