La Guida Suprema dell’Iran, Alì Khamenei, su twitter, tuona tranquillamente: “Israele è un cancro maligno che deve essere rimosso e debellato: è possibile e accadrà”.

E’ un tweet che sta lì da tempo, nessuno ritiene di cancellarlo, tanto meno viene cancellata da Twitter la Guida Suprema che pure in questi mesi ha tuonato contro gli stati musulmani che “scendono a compromessi con il regime sionista usurpatore” (si riferisce agli “Accordi di Abramo” stipulati grazie a Trump fra Israele e alcuni stati arabi).

In compenso Twitter ha “imbavagliato” Trump che continua a ripetere che ci sono state enormi irregolarità nel voto del 3 novembre.

Su Twitter cinguettano tutti, solo Trump è stato cancellato. C’è per esempio Maduro, che domina in Venezuela e può twittare esaltando il suo regime e attaccando gli oppositori.

“Mentre Twitter bannava il presidente degli Stati Uniti”, ha scritto Giulio Meotti, l’ambasciata cinese negli Stati Uniti presentava la tragedia demografica degli Uiguri “come una loro ‘scelta riproduttiva’. Il fantastico mondo della libertà digitale”.

Si assiste a un fenomeno incredibile di doppiopesismo: si censurano le idee non gradite di un leader democratico e si lasciano fare proclami di Capi illiberali come quelli che abbiamo letto.

Ma c’è di più: c’è la pretesa di farlo in nome del Bene. Così – osserva ancora Meottihanno creato un meccanismo geniale e infernale: censura in nome della libertà, esclusione in nome dell’inclusione, discriminazione in nome della lotta alla discriminazione, odio in nome della lotta all’odio, intolleranza in nome della tolleranza”.

E’ un fenomeno che, pure in Italia, si era già osservato nella politica e nel dibattito sui media. L’Impero del Bene – come io stesso avevo scritto in un mio libro (se posso citarmi) – è un mondo alla rovescia dove le parole hanno divorziato dalle cose:

“si ‘censura’ in nome della Tolleranza, si odia in nome dell’Amore Universale, si demonizza in nome della Filantropia, si mette al rogo (mediatico) in nome della Fraternità, si diffondono balle mentre si lotta contro le fake news, si imbavaglia in nome della Libertà, si discrimina in nome dell’Uguaglianza, si scomunica in nome dell’Apertura mentale, si mette all’Indice in nome del Dialogo”

C’è un romanzo distopico di Joseph Roth che indica proprio in questo cortocircuito del linguaggio il regno dell’Anticristo (metafora della menzogna universale): “Non riconosciamo più, oramai da molto tempo, l’essenza e l’aspetto delle cose che ci accadono” scrive Roth. E prosegue:

“Similmente a coloro che sono fisicamente ciechi abbiamo soltanto nomi per tutte le cose di questo mondo, che più non vediamo: nomi! […] Il cieco non distingue le une dalle altre. Noi, i ciechi, non le distinguiamo. Alle cose autentiche diamo nomi falsi. […] Poiché siamo divenuti ciechi, utilizziamo erroneamente nomi e denominazioni. Chiamiamo grande il piccolo, il piccolo grande; il nero bianco e il bianco nero; l’ombra luce e la luce ombra. […] Nomi e denominazioni perdono dunque contenuto e significato. È peggio che al tempo della costruzione della torre di Babele. […] Oggi tutti parlano la stessa, falsa lingua, e tutte le cose hanno le stesse ma false denominazioni”.

Roth è famoso per “La cripta dei cappuccini”, “Giobbe” e “La leggenda del santo bevitore”. Nato nel 1894 nell’impero austroungarico – nella cui cultura si riconosceva – è morto a Parigi nel 1939 dove era andato per sfuggire alle persecuzioni naziste essendo d’origine ebraica.

Scrisse “L’Anticristo” nel 1934, tuttavia questo romanzo distopico non coglie solo la menzogna dei totalitarismi di quegli anni, ma pure quella possibile nel mondo libero. E’ un singolare affresco visionario.  Il finale sorprende.

Il protagonista, che “lotta contro l’Anticristo”, riceve la visita di un frate che viene da Roma e lavora presso il Papa: “Una volta” gli racconta “vidi al posto del Santo Padre, sulla sedia di Pietro, un altro… Proprio un altro!”.

Allora il protagonista interroga il frate sul Papa e l’Anticristo e il religioso riprende a raccontare: “un giorno vidi che il Santo Padre si era addormentato, solo per poche ore. Ma in quel tempo però un altro si mise sul suo trono sublime. E proprio in quelle ore vennero i delegati di alcuni Paesi pagani”.

Il frate racconta l’arrivo del delegato dell’Urss, poi di quello della Germania e i loro erano progetti di violenza e di dominio per i quali chiedevano l’appoggio della Chiesa.

Poi venne la terza delegazione: “Noi veniamo da Hollywood, alcuni lo pronunciano ‘furore dell’inferno’, Hölle-Wut, ma Tu, Santo Padre, non crederci! Noi non vogliamo più conquistare il mondo, infatti l’abbiamo già conquistato. Noi siamo il Paese delle ombre”.

L’allusione è al cinema e ai media in generale. Questo delegato e i suoi “si impegnano a diffondere l’ombra del Redentore su tutti gli schermi del mondo. A regola d’arte truccheremo i Tuoi veri cardinali e i Tuoi veri sacerdoti, affinché essi diventino delle vere ombre”. In questo modo “diffonderemo la vera fede in tutto il mondo, rappresentata da vere ombre. Perché il mondo di oggi consiste di vere ombre”. Così “il Santo Padre annuì. E stipulò un concordato” con loro.

Non svelerò il finale davvero sorprendente. Ma c’è in esso il presentimento che tutti possiamo essere false immagini nel menzognero regno “delle ombre”. E che tutti finiamo a recitare una parte nel teatro dell’Anticristo, anche chi gli si oppone. Roth lascia così aperta la drammaitca domanda: come sottrarsi alla menzogna universale?

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Antonio Socci

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Da “Libero”, 11 gennaio 2021