Il libro È bello lasciarsi andare tra le braccia del figlio di Dio (edito dalla LEV a cura di Massimo Borghesi) – appena uscito – raccoglie e propone, per volere di Papa Francesco, le omelie di don Giacomo Tantardini. Qui sotto la prefazione del Pontefice al volume (tratta da Vatican News) e poi un mio articolo, uscito su “Libero”, che spiega il significato storico di questo volume.

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IL CRISTIANESIMO NON E’ UN CODICE DI REGOLE, DON GIACOMO CI MOSTRA L’ESSENZA DELLA VITA CRISTIANA

 

di Papa Francesco

 

Questo libro raccoglie le omelie di don Giacomo Tantardini, sacerdote di origini lombarde che con grande passione svolse il suo apostolato quasi per intero nella Città Eterna. Nel corso degli anni le sue omelie hanno nutrito spiritualmente migliaia di giovani e non più giovani che affollavano il sabato sera la basilica di San Lorenzo fuori le Mura. Nessuno si distraeva, quando predicava: ogni parola restava nel cuore e illuminava la vita.

È in questa chiesa paleocristiana, dove sono venerate le reliquie del santo diacono Lorenzo, che anche io conobbi don Giacomo. Come ho già avuto modo di ricordare sul mensile 30 Giorni in occasione della sua morte, nel 2012, l’ultima immagine che conservo di lui è «durante la cerimonia delle cresime a San Lorenzo fuori le Mura, con le mani giunte, gli occhi aperti e stupiti, sorridente e serio allo stesso tempo» (Il mio amico don Giacomo, 30 Giorni, n. 5, 2012). Era già gravemente malato, pregammo per la sua salute… e lui ringraziò con un gesto che era di speranza di guarire e, allo stesso tempo, di affidamento.

La decisione di pubblicare i testi delle sue omelie (dal 2007 al 2012) non è solo un omaggio alla memoria di questo sacerdote, che fu un vivace figlio spirituale di don Luigi Giussani. Leggere e meditare le sue prediche farà bene alla nostra anima anche oggi, perché esse ci comunicano l’essenza originale della vita cristiana.

C’è sempre bisogno nella Chiesa di recuperare l’essenziale. Per troppo tempo abbiamo ridotto il cristianesimo a un codice di regole o a uno sforzo volontaristico, ma ogni moralismo alla fine ci lascia addosso un senso di fallimento e di tristezza.

Nelle meditazioni di don Giacomo grande protagonista è sempre la Grazia, perché lui era consapevole, avendolo sperimentato, che l’iniziativa di Dio sempre previene e anticipa ogni nostra intenzione, accendendo un desiderio di bene per noi e per il nostro prossimo, specialmente quello più in difficoltà. Alla parola “Grazia” don Giacomo accompagna sempre un’altra parola, che la rende concreta: “attrattiva”, perché il Signore ci attira sempre con il fascino della sua umanità.

Uno degli episodi evangelici più ricorrenti nelle omelie di don Giacomo è la conversione di Zaccheo: un “traditore del popolo”, il cui imprevisto cambiamento nasce quando, arrampicatosi per curiosità su quell’albero, incrocia lo sguardo di Gesù: «Zaccheo scende di corsa pieno di gioia… questo sguardo è puro riflesso di essere guardati; questo è l’unico sguardo che non è impotente, questo è l’unico sguardo che è pieno di gioia, questo è l’unico sguardo che l’uomo non possiede, perché è solo essere guardati» (Omelia del 3 novembre 2007).

Ecco perché la preghiera diventa la dimensione più importante della vita. «Chi prega si salva» è un motto di sant’Alfonso Maria de’ Liguori che non a caso don Giacomo amava molto. Non è una fuga devozionale da un mondo “cattivo”, la preghiera. È domandare, dal profondo di sé, ciò che dà senso e possibilità di gioia alla vita. È domandare che Lui stesso venga ad abitare la nostra vita: «Si spera dicendo: “Vieni”. Il bambino non spera astrattamente nella mamma, il bambino spera che la mamma sia vicina a lui, così la speranza cristiana, la speranza cristiana si esprime nella domanda, si esprime dicendo: “Vieni, vieni”» (Omelia del 1° dicembre 2007).

È un linguaggio semplice, quello di don Giacomo, ma si sente in queste pagine la densità delle sue letture, dal pensiero teologico del prediletto sant’Agostino alla prosa poetica di Charles Péguy, fino alla “piccola via” di santa Teresa del Bambino Gesù: «Quando sono caritatevole è solo Gesù che agisce in me» è la sua la citazione preferita.

Sono molte le omelie che toccano il cuore. La più commovente è sicuramente l’ultima, datata sabato 31 marzo 2012 a pochi giorni dalla sua scomparsa, la quale si conclude con una semplice frase, pronunciata a fatica – si legge nel libro – con un filo di voce: «Com’è bello lasciarsi andare tra le braccia del Figlio di Dio». C’era tutta la sua vita e la sua predicazione in quelle dieci parole consegnate ai suoi amici e a tutti noi.

 

(Da Vatican News)

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L’AMICO ITALIANO CHE APRI’ LA STRADA A PAPA FRANCESCO

 

di Antonio Socci

 

Parlando con la giornalista Franca Giansoldati, un giorno di luglio del 2014, Francesco, il Papa venuto da lontano di cui ancora poco si sapeva, raccontò un dettaglio che avrebbe dovuto incuriosire: rivelò che non conosceva Roma, eccetto Santa Maria Maggiore “e poi San Lorenzo fuori le Mura, dove sono andato per delle cresime quando c’era don Giacomo Tantardini”.

In effetti sembra proprio che l’amicizia più significativa che l’arcivescovo di Buenos Aires aveva a Roma – prima di diventare Papa – fosse quella con don Giacomo.

Ma com’era nata la cordiale frequentazione e la sintonia spirituale fra il card. Bergoglio e il sacerdote che era stato l’anima più geniale e creativa di Comunione e Liberazione, colui che nei roventi anni Settanta aveva affascinato e portato alla fede cristiana migliaia di studenti universitari romani e di giovani delle borgate; colui che negli anni Ottanta era stato la vulcanica mente del “Sabato” – l’unico giornale cattolico che abbia fatto breccia nel dibattito pubblico – e poi quel don Giacomo che era stato l’anima del mensile “30 Giorni”, la rivista internazionale sulla Chiesa (diretta da Giulio Andreotti)?

Nessun giornalista aveva approfondito. Eppure don Giacomo, sebbene molto schivo e lontano dal palcoscenico dei media, era ben noto agli addetti ai lavori. Era sempre stato molto legato a don Giussani e per anni fu protagonista della storia di CL.

Questo libro fa capire finalmente la sua amicizia con il card. Bergoglio e soprattutto la sintonia. Non a caso “30 Giorni”, ricorda Massimo Borghesi, “era l’unica rivista o quasi che in Italia dava voce” al porporato argentino: “sono sette i suoi interventi e vanno dal 2007 al 2012”.

Quando un tumore portò via don Giacomo, ancora giovane, il 19 aprile 2012, il card. Angelo Sodano (già Segretario di Stato di Giovanni Paolo II e Benedetto XVI e nel 2012 Decano del Collegio Cardinalizio), celebrando le esequie, iniziò così la sua omelia: “Oggi, in particolare, vogliamo elevare a Dio un inno di gratitudine per il dono che ha fatto alla sua santa Chiesa con la vita e le opere di questo grande sacerdote”.

In effetti, spiega Borghesi, Tantardini è stato “un protagonista del cattolicesimo italiano (…) e, tramite ‘30Giorni’, di quello internazionale”.

Carismatico, solare, profondo e semplice fu stimato da diversi Papi, ma “la storia del rapporto tra don Giacomo e ‘30Giorni’ con il cardinal Bergoglio” osserva ancora Borghesi “non si è conclusa con la morte del sacerdote brianzolo innamorato di Roma. Tanti motivi che ‘30Giorni’ ha posto al centro dell’attenzione ecclesiale, dagli anni ’90 alla sua chiusura (…) sono oggi presenti nel pontificato e nei documenti di Papa Francesco. Bergoglio non ha dimenticato il suo amico di San Lorenzo. Ne ha serbato la memoria più autentica affidando molte sue intuizioni alla Chiesa universale”.

Infatti è stato lo stesso Pontefice a chiedere che le omelie “romane” di don Giacomo fossero pubblicate integralmente dalla Libreria Editrice Vaticana (il volume esce oggi con la prefazione del Papa).

Così Francesco manifesta il suo affetto e la sua stima per don Giacomo, ma indica pure – come nota Borghesi – “l’utilità di una raccolta che può valere come modello di un’autentica omiletica ecclesiale in accordo con le indicazioni che Francesco stesso ha offerto, in proposito, in pagine essenziali della Evangelii gaudium”.

Del resto proprio nei giorni scorsi il Papa è tornato a criticare certe interminabili omelie che “fanno addormentare”. Al contrario, quelle di don Giacomo svegliano il cuore e sono più che omelie. Sono una ventata di aria fresca. Esse, scrive il papa, “comunicano l’essenza originale della vita cristiana” perché “c’è sempre bisogno nella Chiesa di recuperare l’essenziale”.

 

Da “Libero”, 21 giugno 2024