Ho visto lo spot delle patatine e francamente non mi ha scandalizzato. Non è un capolavoro, può essere ritenuto sciocco, fuori luogo, ma non mi pare grave.

Eppure ieri Avvenire informava: “Una chiara offesa alle convinzioni religiose delle persone. Con un provvedimento d’urgenza, il Comitato di controllo dell’Istituto dell’autodisciplina pubblicitaria ha bloccato la diffusione dei contestati spot di Amica chips in cui le ostie consacrate venivano sostituite dalle patatine”.

Da cattolico praticante, consapevole dell’infinito tesoro che è l’eucaristia, mi stupisco: se queste sono le battaglie cattoliche andranno poco lontano.

Con tutto quello che circola nel mondo, stracciarsi le vesti per uno spot così è come dover mangiare ogni giorno del fango e protestare perché ci si trova un capello.

Fra l’altro si potrebbe anche interpretare quello spot come una banale conferma di quanto è ancora forte e radicato, nell’immaginario del Paese, il costume cattolico, con i suoi riti e i suoi codici.

Si dirà che è ingiusto usare ciò che c’è di più sacro per i cristiani al fine di pubblicizzare e vendere un prodotto come le patatine che non c’entrano nulla con la fede. È vero.

Ma ricordo che spesso la pubblicità ha usato immagini e temi cristiani. Inoltre la polemica scoppiata ha avuto casomai l’effetto di amplificare la campagna pubblicitaria di questo prodotto (secondo me con grande soddisfazione di Amica chips).

Sia chiaro, rispetto la sensibilità dei cattolici che si sono sinceramente sentiti feriti da quelle immagini, ma credo che la reazione sia dovuta soprattutto al senso di frustrazione e di accerchiamento che vivono.

Forse è proprio questo l’aspetto su cui riflettere. Perché i cattolici tendono a ripetere automaticamente l’autodifesa di tutte le “minoranze” che si sentono discriminate o irrise, che ormai – nel mondo politically correct – sono un’infinità?

Prima di “reagire” a fatti esterni, bisognerebbe avere una chiara consapevolezza di sé. Per esempio, in un recente sondaggio realizzato, per il mensile Il Timone, dall’istituto di ricerca Euromedia Research, è emerso che – fra coloro che frequentano la messa – alla domanda “che cos’è per lei l’eucaristia?”, solo il 32,2 per cento ha dato la risposta corretta per la dottrina della Chiesa.

Stiamo parlando delle risposte date da cattolici praticanti. Non è più preoccupante dello spot delle patatine? Perché non si riflette su questo o su certe “fantasiose” celebrazioni liturgiche?

In molti si sono buttati sullo spot perché è più facile scagliarsi sul pericolo esterno. Fra i tanti indignati il più curioso è stato Marco Tarquinio. A dire il vero, quando era direttore di Avvenire, incappò lui stesso in polemiche con i lettori del quotidiano dei vescovi, indignati perché aveva pubblicato alcune vignette che non furono apprezzate su Gesù (e temi religiosi) di Sergio Staino (storico disegnatore – e pure direttore – dell’Unità).

Ma Tarquinio deve averlo dimenticato. Così oggi, che non è più direttore di Avvenire, ma si dice che possa candidarsi nel Pd alle europee, per attirare i voti cattolici sul Pd, ha indossato la mimetica da difensore dei cattolici e ha tuonato contro lo spot: “A me ha dato fastidio vederlo personalmente, mi ha toccato in maniera dura. Come per un ebreo vedere i rotoli della Torah usati come birilli in uno spot o per un musulmano vedere la ‘pietra sacra’ della Ka ba trasformata in un paracarri”.

È sicuro Tarquinio di questo parallelismo? Speriamo che non si infastidiscano ebrei, musulmani e cattolici.

Comunque se nell’animo suo arde questo sacro zelo per l’Eucaristia forse da direttore di Avvenire avrebbe potuto – per fare un solo esempio – suscitare un dibattito nella comunità ecclesiale sulla desolante e dilagante scelta clericale (da decenni) di “sfrattare” il tabernacolo dall’altare delle chiese e relegarlo in un angolino o addirittura in un’altra stanzetta come se Cristo eucaristico fosse un estraneo nell’edificio sacro. Per capire basterebbe ricordare l’importanza che ebbe quel tabernacolo in chiesa, davanti al quale i fedeli andavano a pregare, nella conversione di Edith Stein.

Un’ultima considerazione: è vero che c’è un clima ideologico spesso ostile ai cristiani, ma evitiamo il vittimismo. Viviamo in tempi di suscettibilità universale in cui chiunque si sente offeso e chiede riparazione per qualunque cosa, anche minima. Così rischiamo di relativizzare – nella lamentazione generale – il dramma di coloro che sono veramente offesi e feriti, che devono essere difesi e protetti da tutti.

Qua in Italia, per i cattolici, non è così. Anche perché ripetiamo sempre – giustamente – che la nostra gente è intrisa di cristianesimo. Piuttosto – cari fratelli cattolici – dovremmo serenamente ed energicamente testimoniare Cristo con la vita, con i gesti, le opere e con le parole (come chiede di fare il Papa nella Dignitas infinita), portandolo nel cuore e nello splendore degli occhi.

Sentirsi attaccati per uno spot – mentre nel mondo accade di tutto – è sproporzionato. Anche perché nel mondo purtroppo ci sono persecuzioni vere contro i cristiani.

Nei giorni scorsi ho appreso da Filippo Di Giacomo (sul Venerdì) che “nella Libia sunnita sei persone sono state condannate a morte perché convertite al cristianesimo e altre dodici sono sotto processo e con ogni probabilità rischiano lo stesso destino”.

Si potrebbero citare molti altri casi. Ogni anno sono tantissimi i martiri. I loro corpi colpiti e sanguinanti hanno molto a che fare con l’eucaristia. Ma chi si occupa di loro? Quanto ce ne ricordiamo nelle parrocchie e nelle diocesi? Poco o nulla. Non sono forse più importanti delle battaglie sulle patatine?

 

Antonio Socci

 

Da “Libero”, 11 aprile 2024

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