Ieri Ilario Lombardo, sulla “Stampa”, ha ricostruito i retroscena di un possibile governo guidato da Mario Draghi. Parla di telefonate all’ex Governatore della Bce dal Quirinale e da politici come Matteo Renzi e cita due novità: una disponibilità di Draghi e una disponibilità della Lega ad un appoggio esterno, perché questa sarebbe la condizione che il banchiere avrebbe posto per avere una maggioranza abbastanza solida.

Se questo scenario è vero (e lo si deve anche al filo di comunicazione tenuto in questi mesi da Giancarlo Giorgetti per la Lega), bisogna riconoscere che Draghi dà prova di realismo e di intelligenza politica: tiene infatti presente che la Lega è il partito di maggioranza relativa (alle europee ha preso il 34% dei voti) e non si governa senza il consenso del Paese, dove Matteo Salvini è un leader politico dal larghissimo seguito.

Inoltre la Lega è connessa in modo speciale a quel Nord produttivo che è la locomotiva economica del Paese e anche questo è decisivo per chi deve ricostruire un’Italia devastata.

Un tale approccio – già di per sé – rappresenterebbe un salto di qualità nella politica italiana che finora è stata dilaniata dagli odi ideologici delle tifoserie, fomentati soprattutto dal settarismo della Sinistra. Inizierebbe una stagione nuova in cui si mettono al primo posto gli interessi della nazione, non quelli della fazione.

Significativa sarebbe la disponibilità di Salvini, perché – certo – sarebbe una decisione sofferta, in quanto il governo giallorosso lascia un Paese disastrato come dopo una guerra perduta. La Lega potrebbe benissimo rispondere, a chi chiede il suo appoggio, che non intende assumersi il peso gravoso dei danni altrui, con la crisi sociale esplosiva che avremo in questo 2021.

Ma la logica del “tanto peggio, tanto meglio” non è mai stata quella di Salvini e della Lega che, fra l’altro, sente forte la sofferenza del mondo produttivo del Nord, il quale chiede di essere rappresentato dove si decide.

Naturalmente nessuno può chiedere a Salvini di appoggiare un governo che fa l’esatto opposto di quanto propone la Lega. Sarebbe assurdo. Ma chi mai ha detto che Draghi farebbe una riedizione del governo Monti?

I migliori economisti spiegano che sono le stesse condizioni economiche generali ad escluderlo. Infatti nel 2011 l’Italia aveva un forte deficit della bilancia dei pagamenti e Monti ha sostanzialmente “massacrato” l’economia per riuscire a ridurre le importazioni.

Oggi i conti con l’estero vanno benissimo e abbiamo il problema opposto, quello di alimentare la domanda interna e sostenere i conti delle famiglie. Proprio questo sarebbe il terreno d’incontro possibile con la Lega (e con il Centrodestra).

Ci sono premesse storiche e anche i segnali che dall’ex Governatore sono arrivati e che pochi hanno saputo davvero decifrare. Li elenco in sintesi.

Anzitutto l’azione di Draghi come Governatore della Bce. Tutti riconoscono che la sua operazione “Quantitative Easing” ha “salvato” la baracca, ma pochi si rendono conto o riconoscono che per farlo Draghi ha “aggirato” e “forzato” i Trattati europei che, per volontà tedesca, impediscono alla Banca centrale di finanziare il fabbisogno dei singoli Stati.

Draghi è dunque l’unico che abbia dimostrato con i fatti l’assurdità di quelle regole e che, con l’applauso generale, abbia messo con le spalle al muro la Germania (vedi il “rimpallo” fra la Corte Costituzionale, il Parlamento e la Bundesbank).

Ancora da Governatore, nel 2019, Draghi è arrivato a manifestare interesse per le “nuove idee a proposito della politica monetaria” citando, fra le altre, la MMT (ma non solo).

Va poi ricordato il suo articolo sul “Financial Times” del 25 marzo scorso, dove – a differenza dei burocrati di Bruxelles – ha saputo cogliere subito il punto: siamo di fronte a una tragedia biblica ed è essenziale sostenere i nostri popoli e il sistema facendo debito pubblico per sostenere il lavoro e le famiglie con l’intervento degli Stati e scongiurare un ciclo irreversibile di povertà.

C’è stata infine la sua conferenza al Meeting di Rimini (agosto 2020) dove ha criticato “l’inadeguatezza” di alcuni assetti europei, ha spazzato via il dogma che vede il debito pubblico come il diavolo e ha spiegato che c’è un “debito buono” che è indispensabile (peraltro ha citato il Recovery Fund fra gli strumenti operativi, ma mai il Mes).

Questo è un ottimo terreno d’incontro con le idee di politica economica del partito di Salvini, in particolare proprio con quella “dottrina Bagnai” (dal nome del responsabile economico della Lega) che finora ha suscitato lo scandalo di tanti dilettanti allo sbaraglio dell’europeismo da comizio, che di Bagnai non hanno letto nemmeno una pagina, anche se lo temono perché è un autentico fuoriclasse (come lo è pure Borghi).

I suoi brillanti interventi in Senato sono, per la raffinatezza della sua cultura, al più alto livello: il professor Bagnai è l’unico italiano citato nell’elenco dei 100 economisti più influenti al mondo, stilato dalla rivista economica americana “Richtopia” (è a un onorevolissimo 21° posto).

C’è la curiosità storica della tesi di laurea di Draghi, nel 1970, con Federico Caffè, dove – come ha ricordato sorridendo – sosteneva “che la moneta unica era una follia, una cosa assolutamente da non fare”.

Ma a parte la storia, Draghi e Bagnai sono due veri economisti e sulle basi sopra citate, dell’ex Governatore, possono intendersi come pochi altri. Le premesse per raccogliere la sfida da parte della Lega ci sono tutte. Per Salvini ciò implicherebbe anche una decisiva e sacrosanta legittimazione internazionale.

 

Antonio Socci

 

Da “Libero”, 1 febbraio 2021

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