Ci sono giornali e intellettuali che strattonano la Chiesa esigendo la condanna del peccatore. Si rassegnino: Berlusconi è corazzato da quel Gigante che attraversa le pagine dei Vangeli e che è la Misericordia fatta carne. Non è “protetto dai preti” (per qualche losco interesse), ma da Gesù stesso (come ciascuno di noi peccatori).

E i preti devono essere loro stessi il volto di Gesù che attende e perdona il peccatore.
Chi è stato, nella nostra generazione, l’immagine più perfetta di questo Salvatore che spalanca le braccia a fiumi di peccatori in cerca di perdono?
Padre Pio. Icona di Cristo perfino nella carne (perché quei segni dei chiodi indicano che Gesù inchiodò alla croce la giustizia di Dio e fece vincere la “follia” della sua sconfinata misericordia).
Per questo l’idea di andare a San Giovanni Rotondo da padre Pio è la migliore: non so se Berlusconi ci ha pensato davvero, ma è, in assoluto, il posto del mondo dove più è atteso. E’ casa sua e casa mia. La Chiesa è, ad immagine di Maria, “refugium peccatorum”.

E’ il paradosso che si riflette poeticamente nei più grandi scrittori cristiani. Non a caso “la creazione più alta in cui si incarna, nei romanzi di Dostoevskij, la santità è paradossalmente una prostituta”, nota don Barsotti. Cioè Sonja di “Delitto e castigo”. Non il santo monaco Zosima, ma Sonja.

Il fariseo pretende sempre di accusare di incoerenza i peccatori che si affidano a Dio. Ma non si crede in Gesù Salvatore perché noi siamo perfetti, si crede perché lui è perfetto. Tanto più si ha il diritto di gettarsi fra le braccia del Salvatore quanto più noi siamo dei disgraziati.
Un personaggio della “Sposa bella” di Bruce Marshall, uno che mostra di apprezzare la bellezza femminile e si dice cattolico, risponde al moralista che lo contesta: “E’ proprio qui che ti sbagli… Quasi tutti pensano che i loro peccati li abbiano privati del diritto di credere. Ma questo equivarrebbe a dire che la rivelazione cristiana è vera in maniera inversamente proporzionale ai propri vizi.
Nel Medioevo, la gente era cristiana anche nel peccato: il timore di essere accusata di incoerenza non la faceva cadere nell’errore di credere nella propria virtù”.

Credere nella propria virtù, pronti a lapidare il peccatore, è quanto c’è di più anticristiano, mentre le ferite del peccato facilmente diventano le feritoie attraverso cui Dio, che non si rassegna a perdere nessuno dei suoi figli, ci raggiunge con il suo abbraccio.

Così Charles Péguy, un grande convertito del Novecento, memore delle pagine evangeliche sul pubblicano e il fariseo (e delle polemiche di Paolo e Agostino sulla Legge), scrive queste pagine provocatorie: “Le persone morali non si lasciano bagnare dalla grazia. Ciò che si chiama la morale è una crosta che rende l’uomo impermeabile alla grazia. Si spiega così il fatto che la grazia operi sui più grandi criminali e risollevi i più miserabili peccatori”.

Infatti sul Calvario si convertì il “ladrone” (un brigante), mentre scribi e farisei, osservanti di tutti i 600 precetti della Legge, additavano Gesù come un maledetto da Dio.
“E’ per questo” prosegue Péguy “che niente è più contrario a ciò che si chiama … la religione, come ciò che si chiama la morale. E niente è così idiota che confondere così insieme la morale e la religione”.

Attenzione, Péguy – col suo linguaggio poetico – non sta facendo l’elogio dell’immoralità. Ma condanna l’ideologia della morale, cioè il giacobinismo, il moralismo farisaico e la pretesa di salvarsi da sé. Non è che Gesù fosse indifferente al peccato che anzi gli faceva una tristezza infinita. Ne aveva orrore, ma si struggeva di compassione per i peccatori. Era venuto per loro. Letteralmente.
Nel Vangelo Gesù mostra una pietà infinita per i più miserabili peccatori, li perdona sempre, li risolleva sempre (li considera i più poveri), mentre sfodera parole di fuoco solo contro i “giusti”, i rigoristi, i moralisti e gli “onesti” del suo tempo.
I peccatori umiliati (resi umili dalla propria scandalosa debolezza) si salvano, dice una sua parabola, mentre i “giusti”, insuperbiti dalla loro presunta rettitudine, no.

Scrive don Divo Barsotti: “è il tuo peccato che lo chiama; nulla più efficacemente della tua miseria lo attrae, purché tu gliela doni… In un istante i tuoi peccati sono distrutti, non sono più. Egli solo è”.
Per Gesù l’unico peccato che non si può perdonare è quello contro lo Spirito Santo, cioè quello dell’ideologia o dell’opposizione lucida e teorizzata contro Dio. Il peccato del pensiero oggi dominante che si erge deliberatamente contro Dio. Com’è stato, nel recente passato, il comunismo. Perciò Pio XI nella Divini Redemptoris (citata dal Concilio) proclamava: “Il comunismo è intrinsecamente perverso e non si può ammettere in nessun campo la collaborazione con esso”.

Gilbert K. Chesterton in una pagina memorabile fa dire a un suo personaggio (evidente simbolo della Chiesa): “Noi sosteniamo che i delinquenti più pericolosi sono proprio quelli dotati di cultura, che il furfante più temibile è il filosofo moderno assolutamente privo di principi. Al suo confronto, bigami e tagliaborse sono esseri essenzialmente morali e il mio cuore palpita per loro. Essi non rinnegano il vero ideale dell’uomo, lo cercano in modo sbagliato, ecco tutto”.

Invece i “filosofi”, gli ideologi pretendono di teorizzare e trasformare il Male in Bene e viceversa.
Da duemila anni, la Chiesa è – per volontà del suo Maestro e Signore – la casa del peccatori, l’abbraccio del loro Padre misericordioso. Tutto nella Chiesa è fatto per i peccatori. Le grandi Cattedrali e il sublime gregoriano, le immense tele di Caravaggio e l’Agnus Dei di Mozart, la grandiosa teologia di Tommaso d’Aquino e il Giudizio universale di Michelangelo.
Quello che c’è di più sacro sulla terra, cioè i sacramenti, sono fatti per i peccatori. Sono per loro. Infatti sono i gesti fisici (legati sempre a segni fisici) della presenza di Gesù che abbraccia, risolleva, cura, medica, consola, rafforza, chiama. Il Concilio ripete che la Chiesa è il primo, grande sacramento della salvezza. La Chiesa è la casa dei peccatori perché gli esseri umani sono i figli del Re. Anche quando sono in catene (nel peccato) sono i figli del Re, possono invocarlo e vengono da lui soccorsi. E gli angeli sono a loro servizio.
Chi invece contesta la regalità di Dio, quello non è figlio. Non può essere perdonato, perché non vuole l’abbraccio del Padre, ma lo odia e ne combatte lucidamente la presenza, le opere, la volontà, la bontà.
Invece – come spiega Agostino nelle “Confessioni” – nella debolezza del peccare talvolta si manifesta proprio la sete che ogni creatura ha di Dio. Spesso il peccato nasce dalla solitudine, dalla paura della morte, dall’incertezza di esistere che induce ad aggrapparsi alle creature, alla loro effimera bellezza creata. E così inconsapevolmente l’uomo mostra quanto ha sete e fame di Dio, la fonte della Bellezza, la vera Felicità, la vera Vita.

Un altro grande convertito del nostro tempo, Olivier Clément, osservando la generazione della “rivoluzione sessuale”, negli anni Settanta, scriveva: “Nel peccato, e soprattutto nel peccato in quanto ricerca dell’innocenza mediante l’inferno, si delinea tutto il paradosso dell’uomo… Dovremmo essere in grado di discernervi la sete dell’infinito, la nostalgia della libertà e della comunione, (…) la sofferenza di colui che cerca l’assoluto nelle realtà della terra, quelle realtà che non possono salvare, ma che attendono di essere salvate”.
Clément parla di uomini in cerca di “un’eterna adolescenza” e conclude: “Nella grande e spesso folle prova della libertà dobbiamo distinguere la persona nel suo trasalimento ancora cieco e nel suo destino insaziabile, con la certezza che nella parte più profonda dell’inferno Cristo – per sempre vincitore di esso – attende colui che l’Apocalisse chiama ‘l’uomo di desiderio’ ”. Perché Cristo è il solo medico della nostra malattia mortale.

Fonte: © Libero – 24 luglio 2009