Sono tra coloro che si commuovono a rileggere l’epigrafe di Piero Calamandrei contro il “camerata Kesserling”. E ritengo quella del 25 aprile una festa bellissima.

Peraltro è una festa “sovranista”. Commemora la lotta degli italiani contro l’occupazione tedesca e celebra la libertà e l’indipendenza nazionale riconquistate. E’ dunque attualissima.

Si trova proprio questo sentimento patriottico nelle lettere dei condannati a morte della Resistenza.

Il cattolico (ventenne) Giancarlo Puecher Passavalli ai suoi giudici disse con orgoglio “appartengo al vero esercito italiano” e, prima di essere fucilato, scrisse ai suoi: “Muoio per la mia Patria. Ho sempre fatto il mio dovere di cittadino e di soldato. Spero che il mio esempio serva ai miei fratelli e compagni. […] Viva l’Italia! Raggiungo con cristiana rassegnazione la mia mamma… L’amavo troppo la mia Patria”.

Ricorrono nelle lettere di partigiani fucilati dai nazifascisti le espressioni “patria” e “Italia”. Tutti ragazzi sui vent’anni.

Armando Amprino, per esempio, scrive: “siamo stati condannati a morte. Fatevi coraggio… in Paradiso sarò vicino a mio fratello, con la nonna, e pregherò per tutti voi… Viva l’Italia! Viva gli Alpini!”.

Oppure Franco Balbis: “La Divina Provvidenza non ha concesso che io offrissi all’Italia sui campi d’Africa quella vita che ho dedicato alla Patria il giorno in cui vestii per la prima volta il grigioverde. Iddio mi permette oggi di dare l’olocausto supremo di tutto me stesso all’Italia nostra ed io ne sono lieto, orgoglioso e felice! Possa il mio sangue servire per ricostruire l’unità italiana e per riportare la nostra Terra ad essere onorata e stimata nel mondo intero… Possa il mio grido di ‘Viva l’Italia libera’ sovrastare e smorzare il crepitio dei moschetti… per il bene e per l’avvenire della nostra Patria e della nostra Bandiera, per le quali muoio felice!”

Antonio Brancati scrive: “Sono stato condannato a morte per non essermi associato a coloro che vogliono distruggere completamente l’Italia. Vi giuro di non aver commessa nessuna colpa se non quella di aver voluto più bene di costoro all’Italia, nostra amabile e martoriata Patria…. Pregate per me il buon Dio”.

Anche nella storia del leggendario comandante “Bisagno”, raccontata di recente da un libro Giampaolo Pansa e da un docufilm di Marco Gandolfo (QUI), si scopre che i suoi partigiani, davanti al plotone di esecuzione, gridano: “Viva Bisagno! Viva l’Italia”. Bisagno era e volle restare sempre e solo un soldato italiano.

Come lui tanti altri giovani e militari italiani per non collaborare con l’invasore subirono i lager nazisti o addirittura furono fucilati.

La tragedia è questa: anche molti dei giovani che andarono a combattere per la repubblica di Salò credettero di farlo per l’Italia. Furono ingannati crudelmente.

Pensavano di sacrificarsi per la patria mentre invece combattevano per l’invasore tedesco che – per occupare l’Italia – aveva allestito una repubblichetta fantoccio, con a capo Mussolini. Contro lo stato italiano.

Lo capì il partigiano Puecher che concludeva così la sua lettera di addio: “L’amavo troppo la mia Patria; non la tradite, e voi tutti giovani d’Italia seguite la mia via e avrete il compenso della vostra lotta ardua nel ricostruire una nuova unità nazionale. Perdono a coloro che mi giustiziano perché non sanno quello che fanno e non sanno che l’uccidersi tra fratelli non produrrà mai la Concordia”.

La Resistenza, fatta spesso da soldati italiani rimasti senza ordini dopo l’8 settembre, fu connotata proprio dal patriottismo e dal desiderio di liberare l’Italia dall’invasore.

Lo mostra “Bella ciao”, il canto simbolo della Resistenza che non a caso voleva essere un nuovo Risorgimento (contro l’austriaco/tedesco): “Una mattina mi son svegliato,
/ o bella, ciao! bella, ciao! bella, ciao, ciao, ciao!/ Una mattina mi son svegliato/
e ho trovato l’invasor”. E’ il canto d’amore e d’eroismo di chi muore “per la libertà”.

Lo stesso sovranismo darà forma solenne alla “Costituzione della repubblica italiana” fin dall’articolo 1.

Del resto “Bella ciao” riecheggia le parole dell’Inno di Mameli, anch’esso sovranista, che invita a combattere per l’indipendenza – nella memoria di Roma – già dalla prima strofa.

Ricorda infatti l’umiliazione di una lunga oppressione straniera (“Noi siamo da secoli/ calpesti, derisi,/ perché non siam popolo,/ perché siam divisi”) e invita a spennare “l’Aquila d’Austria” (lo straniero oppressore) con l’unità degli italiani: “Giuriamo far libero/ il suolo natio:
/ uniti per Dio
/ chi vincer ci può?”

Temi “sovranisti” che si ritrovano nell’inno simbolico del patriottismo risorgimentale, quel “Va pensiero” del “Nabucco” di Giuseppe Verdi che dà voce al popolo oppresso dallo straniero (“oh mia Patria, sì bella e perduta/ Oh membranza sì cara e fatal”).

Tutta la grande letteratura italiana, da Dante a Petrarca, da Leopardi al Manzoni, piange questa povera e bellissima Italia invasa, dove scorazzano gli eserciti stranieri.

E tutti i poeti – col Manzoni – chiamano all’indipendenza nazionale: “O stranieri, nel proprio retaggio/ Torna Italia e il suo suolo riprende;/ O stranieri, strappate le tende
/ Da una terra che madre non v’è”.

Sono versi che parlano al presente.

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Antonio Socci

Da “Libero”, 22 aprile 2018

(nella foto: Aldo Gastaldi, il Comandante Bisagno)

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Twitter: @AntonioSocci1”

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