E se l’astratta (e molto complessa) discussione sulle egemonie culturali – cresciuta a margine del problema della politica culturale – lasciasse finalmente il posto a una più concreta e utile riflessione sulle politiche della scuola e della formazione che riguardano milioni di giovani? Non è forse questa la più autentica politica culturale di un Paese?

È quanto pensa, con molte ragioni, Massimo Cacciari il quale sulla Stampa(12/9) afferma che occorre anzitutto “liberare la politica scolastica italiana da lacci a lacciuoli che la soffocano”.

CAMBIARE STRADA

Cacciari rilancia il “grido di dolore” di molti insegnanti: “adempimenti burocratici di ogni tipo, formulari, schede, ciarpame metodologistico e pseudo-tecnico soffocano l’autentica didattica. Quella fondata su contenuti reali, autori, testi. Domina il ‘soft skill metacognitivo’. L’addestramento a imparare piuttosto che il duro confronto con le cose da imparare. Metodologismo, pedagogismo, retorica sul digitale, campionari dolciastri di politically correct (…) dominano la politica scolastica da decenni e sempre peggio”.

Una riflessione giusta e realista. Peraltro il giorno dopo – con la riapertura delle scuole – un altro importante intellettuale, Ernesto Galli della Loggia, ha firmato un editoriale sul Corriere della sera che mette a tema il sistema scolastico italiano in relazione all’“urgente bisogno” che – a suo avviso – ha il governo Meloni di “mettere in cantiere qualcosa di importante, un progetto significativo per il futuro italiano”.

LA TESI DI GALLI…

Egli lo individua in “un grande progetto di ripensamento e di rilancio dell’intero ambito dell’istruzione di ogni ordine e grado, dalla scuola materna fino all’università e ai grandi istituti di ricerca”.

È comprensibile (e condivisibile) l’importanza – anche politica – che Galli attribuisce al sistema scolastico. Più vago appare invece il contenuto che dovrebbe avere tale “grande progetto” e meno comprensibili e meno condivisibili i riferimenti alla questione immigratoria (compreso lo ius scholae).

Lo storico giustamente spiega che il problema della scuola non è – come molti credono – la presenza di computer o “l’insufficiente presenza nei programmi dell’‘attualità’”, ma la qualità dell’insegnamento. In ciò concorda con il filosofo veneziano che però ha il merito di indicare una delle cause della debolezza della didattica.

È significativo che due intellettuali così autorevoli considerino il sistema formativo come una fondamentale questione strategica per il Paese e una delle vere, grandi questioni politiche per il governo.

In fondo l’unica grande rivoluzione che l’Italia ha avuto è stata quella, pacifica, che fu realizzata dalla Dc e dagli altri partiti democratici dal dopoguerra, dando a tutti i giovani italiani la possibilità di studiare (gratis). Così promossero un’immensa crescita civile e sociale e realizzarono l’unico vero grande ascensore sociale che ha cambiato il volto del Paese. Questa è stata davvero grande politica.

LA SCINTILLA

Ma poi il cuore della scuola sta tutto nella capacità di far scoccare la scintilla che appassiona al vero, al bene e al bello. C’è una frase (attribuita ad autori diversi) che viene spesso citata: educare non è riempire un secchio, ma accendere un fuoco. Concetto giusto, ma anche generico (quale fuoco?).

Il punto di partenza è una precisa storia, una tradizione che in Italia peraltro è eccezionale, piena di vero, di bello e di bene. E già di per sé universale. Un punto di arrivo è la consapevolezza di chi siamo.

 

 

Antonio Socci

 

Da “Libero”, 14 settembre 2024