C’erano tutte le premesse per un clamoroso scoop. Da una parte Luciano Canfora, antichista, docente di filologia greca e latina (è anche un intellettuale marxista molto impegnato).

Dall’altra parte uno dei principali documenti storici su Gesù di fonte non cristiana, il cosiddetto “Testimonium Flavianum”, ovvero la pagina dedicata a Gesù di Nazaret dallo storico ebreo Giuseppe Flavio nell’opera “Antichità giudaiche”, scritta in lingua greca attorno al 93 d.C.

Siccome Canfora, negli anni scorsi, si è distinto per la sua contestazione dell’autenticità del Papiro di Artemidoro, in contrapposizione ad altri studiosi, il suo nuovo libro sul “Testimonium Flavianum” poteva far pensare a un analogo attacco all’autenticità di questo testo.

In effetti il titolo del volume appena uscito sembra andare in quella direzione: “La conversione. Come Giuseppe Flavio fu cristianizzato” (Salerno editrice). Poteva essere la definitiva pietra tombale sul Testimonium. Per secoli, infatti, quella straordinaria pagina su Gesù è stata nel mirino di critici che l’hanno ritenuta un’interpolazione di successivi copisti cristiani, cioè un falso.

Invece Canfora – a sorpresa – conclude sostanzialmente il suo studio affermando l’autenticità del Testimonium (e l’attribuzione a Giuseppe Flavio). Eppure difficilmente si leggeranno i titoloni che avremmo visto se le sue conclusioni fossero state opposte.

Perché è importante il Testimonium? Perché conferma l’assoluta attendibilità storica degli eventi di Gesù narrati nei Vangeli.

Il suo autore, Giuseppe Flavio, è una personalità molto rilevante. Nasce attorno al 37 d.C., appartiene a una delle principali famiglie sacerdotali di Gerusalemme ed è imparentato con la dinastia degli Asmonei. Compie delicate missioni diplomatiche e nel 66 d.C., cominciata la rivolta contro la dominazione romana, viene nominato capo militare delle forze ribelli in Galilea.

Di fronte alla sconfitta si consegna ai romani e predice al generale Tito Flavio Vespasiano che sarebbe diventato imperatore. Poi Gerusalemme fu espugnata dai romani, il Tempio distrutto e gli ebrei subirono una strage terrificante.

Giuseppe non solo fu liberato dall’Imperatore, ma fu protetto e addirittura “adottato” dalla famiglia Flavia. Nella sua nuova vita di corte, a Roma, fu autore di importanti opere storiche, come – appunto – le “Antichità giudaiche” e “La guerra giudaica”, dove attribuisce la catastrofe bellica agli zeloti.

I suoi libri sono preziose fonti di informazioni storiche sul mondo ebraico. Egli scrive – fra gli altri – di Giovanni Battista e del martirio dell’apostolo Giacomo, cugino di Gesù e capo della comunità cristiana di Gerusalemme.

Il famoso passo su Gesù (che riporto nella versione di Canfora) è questo:

“In quel lasso di tempo appare Gesú, uomo sapiente, sempre che si debba definirlo ‘uomo’. Era infatti facitore di mirabilia, maestro di uomini: di quelli che con diletto accolgono le verità. E molti Ebrei e molti dell’elemento greco [pagano] attraeva a sé. Il Cristo lui era! E dopo che, su denuncia dei nostri notabili [primores], Ponzio Pilato l’ebbe condannato alla croce, per lo meno quelli che per primi gli si erano affezionati non smisero. A costoro riapparve infatti [come] vivo tre giorni dopo [la morte]: questo e miriadi di altre cose mirabolanti su di lui avevano detto i divini profeti. E ancora adesso non ha smesso di esistere la ‘tribú’ dei ‘cristiani’, che da lui prendono nome”.

E’ una testimonianza clamorosa, perché conferma la storicità del racconto dei vangeli (la predicazione di Gesù, i miracoli, la crocifissione e la resurrezione), ma anche perché è scritta da una tale personalità.

Giuseppe infatti era nato a Gerusalemme nel 37 in una famiglia sacerdotale che faceva parte parte dell’élite del Tempio durante i fatti di Gesù. I suoi erano stati testimoni diretti dei fatti.

Lui stesso visse a Gerusalemme negli anni immediatamente successivi. Dunque nessuno come lui poteva smentire quanto era riferito nei Vangeli. Invece lo conferma in pieno.

Se, dal giorno in cui si diffuse a Gerusalemme la notizia della resurrezione di Gesù di Nazaret, le autorità avessero sbugiardato i “galilei”, indicando a tutti dov’era il sepolcro contenente ancora il corpo del crocifisso, Giuseppe Flavio avrebbe scritto che la notizia della resurrezione si era rivelata falsa. Ma così non fece. E neanche riporta la versione ufficiale delle autorità del tempo (che il corpo era stato trafugato dai suoi discepoli).

Oggi Canfora, da filologo, conferma l’attribuzione a Giuseppe Flavio di questo testo. Ritiene che vi siano solo due frasi “inserite o ritoccate tardivamente” e sarebbero: “se pure lo si può definire uomo” ed “Egli era il Cristo”.

Secondo Canfora (e altri) Giuseppe Flavio aveva scritto “egli era ritenuto il Cristo”, altrimenti sarebbe stato cristiano. Quindi si tratterebbe di due interpolazioni cristiane.

Ma tale idea, già formulata da altri, è contestata.

Per la prima frase si osserva che pure altrove Giuseppe usa iperboli simili riferite a grandi personalità religiose. Per la seconda frase è stato obiettato che uno scriba cristiano non avrebbe mai detto che Gesù “era” il Messia, il Cristo, ma che “è”.

Quell’espressione, invece, appare coerente col pensiero di Giuseppe Flavio per il quale Gesù era un “messia sacerdotale” dei due o tre descritti in certe scritture esseniche, mentre il messia guerriero che portava la pace, secondo lui, era proprio Vespasiano.

Tuttavia, al di là di questi dettagli (che, anche “corretti”, non cambiano la sostanza), la vera notizia è l’autenticità del Testimonium.

 

Antonio Socci

 

Da “Libero”, 27 aprile 2021