IL PAPA, DANTE E LA PAURA DI AMARE DEI GIOVANI
La condizione giovanile oggi è caratterizzata dalla paura delle scelte definitive, del “per sempre”. Si esita a impegnare la propria vita in una strada, si teme che sia un legarsi a qualcosa che esige sacrifici di tempo e di energie, che cancella altre possibilità, altre occasioni. In fondo una rinuncia alla libertà.
La caduta verticale del numero di matrimoni e il crollo demografico sono i segni di questa profonda insicurezza esistenziale ormai di massa. Non a caso proprio su questo verteva una delle tre domande che i giovani hanno posto al Papa nella veglia del Giubileo a Tor Vergata: “dove troviamo il coraggio per scegliere?”
Leone XIV ha risposto così: scegliere è inevitabile, scegliendo si decide chi vogliamo diventare. Ma anzitutto bisogna capire che noi stessi “siamo stati scelti”, “all’origine di noi stessi non c’è stata una nostra decisione, ma un amore che ci ha voluti”.
Dunque, ha aggiunto, “per essere liberi, occorre partire dal fondamento stabile, dalla roccia che sostiene i nostri passi. Questa roccia è un amore che ci precede, ci sorprende e ci supera infinitamente: è l’amore di Dio. Perciò davanti a Lui la scelta diventa un giudizio che non toglie alcun bene, ma porta sempre al meglio”.
Si tratta dell’amore “che Dio ci manifesta in Cristo. È Lui che ci ha amato con tutto sé stesso, salvando il mondo e mostrandoci così che il dono della vita è la via per realizzare la nostra persona. Per questo, l’incontro con Gesù corrisponde alle attese più profonde del nostro cuore, perché Gesù è l’Amore di Dio fatto uomo”.
“Donare noi stessi” dietro a Lui, ha concluso, è una scelta che dà “senso alla nostra vita, trasformandola a immagine dell’Amore perfetto, che l’ha creata e redenta da ogni male, anche dalla morte”.
In effetti quella “paura di scegliere” viene da un’idea sbagliata della condizione umana, dal credere che noi siamo di fronte a una tavola imbandita, liberi di scegliere fra diversi menù. Non è così. La verità è che noi non siamo a tavola: siamo nel menù.
Dante, nella sua Commedia, ci mostra la nostra condizione di partenza: è quella di colui che si trova smarrito nella foresta oscura. Non è libero. È nelle tenebre, è impaurito ed è braccato da tre fiere. L’unica libertà che ha è quella di scegliere se essere sbranato da una o dall’altra fiera.
Come ne esce Dante? Fidandosi di colui che lo va a cercare, lo raggiunge, gli dice “a te convien tenere altro viaggio” e lo porta in salvo: Virgilio. Che è l’ultimo anello di una catena di compassione umana/divina che inizia dalla Madonna e poi, attraverso santa Lucia e Beatrice, arriva al poeta latino che gli va incontro.
Dante, seguendo lui, poi Beatrice e san Bernardo, sperimenterà l’orrore del male, la grazia del perdono e la gioia della salvezza, ritrovando colei che credeva di aver perduto. È il compimento di sé. Scoprirà la felicità: Dio.
La cultura oggi dominante dice che siamo padroni esclusivi di noi stessi e che ogni legame è una prigione. Nell’esperienza vera dell’uomo, perso nella foresta o che sprofonda nelle sabbie mobili, il legame è la via della felicità: quella mano amica che lo raggiunge e lo afferra per tiralo fuori è la salvezza. Se si dice di sì e si segue.
La risposta di Dante e di Leone XIV è la stessa: la natura umana non è fatta per l’individualismo, per l’egoismo, per la solitudine, per coltivare delle voglie. È fatta per l’Amore. È lì la felicità, nel darsi. Anche l’amore umano è un’avventura che costruisce il futuro per sé e per gli altri. Pure il futuro dei popoli.
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Antonio Socci
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