La cosa più “irriverente”, sul viaggio in Iraq del pontefice argentino, l’ha scritta Dagospia in uno dei suoi titoli notoriamente scanzonati, ma spesso efficaci: “Andare a cercarsi le rogne. Non c’è stato verso di far capire a papa Francesco che forse era il caso di rinunciare al viaggio in Iraq”.

Sotto il titolo era riprodotto l’articolo di Gian Guido Vecchi, pubblicato dal “Corriere della sera”, dove si sottolineavano due dati importanti.

Il primo notissimo: tutti sanno che l’Iraq è in assoluto una delle aree più pericolose del globo, perché è ancora instabile e vi imperversano organizzazioni terroristiche (“il 21 gennaio, a Baghdad, due islamisti si sono fatti esplodere nel mercato e hanno ucciso 32 persone. Il 15 febbraio” ricorda Vecchi “sono stati lanciati tre razzi sull’aeroporto di Erbil, a Nord, nel Kurdistan iracheno, dove il Papa atterrerà con un volo interno domenica”).

L’altro dato è meno noto, ma altrettanto drammatico: anche in Iraq si è scatenato il Covid, i casi sono in forte aumento e proprio in questi giorni il Paese è in lockdown. Dunque era proprio il caso di andare là adesso?

Il Vaticano – al primo quesito – risponde che Bergoglio si sposterà su un’auto blindata, ma resta il fatto che l’evento purtroppo può attrarre i terroristi dell’Isis e un tale viaggio non mette a rischio solo la vita del papa che lo ha voluto, ma anche quella degli uomini della sicurezza e delle persone che si accalcheranno durante le visite.

Per il Covid è vero che Bergoglio si è vaccinato, ma gli iracheni che sono in lockdown e che dovrebbero starsene in casa saranno in strada, ammassati, e si troveranno più esposti al contagio.

Strano che in questo caso Bergoglio sottovaluti il rischio rappresentato dalla pandemia. Per tutto questo anno è stato fra i più allarmisti. Ha continuamente rilanciato l’allerta del governo, ha convintamente fatto sospendere messe e sacramenti per il lockdown dell’anno scorso, ha cancellato tutti i suoi viaggi, ha costruito invalicabili “muri” di sorveglianza per rendere impenetrabile il Vaticano.

Due mesi fa fece perfino una filippica contro coloro che sono fuggiti dal lockdown per “fare le vacanze”.  Per la quaresima che è in corso Bergoglio – causa Covid – ha addirittura abolito i tradizionali Esercizi spirituali pasquali della Curia e ha sospeso gli impegni papali a partire dall’udienza generale del 24 febbraio. Eppure, contemporaneamente, ha deciso di andare in un Paese che – oltre alla sua tragica instabilità – è in lockdown per la pandemia.

I giornali esaltano il coraggio del papa argentino. Ma un analista suo simpatizzante, Adriano Sofri, in un articolo sul “Foglio”, parlando di questo “viaggio avventuroso (avventato?)”, ha osservato che “in questa circostanza, è chiaro, il coraggio non riguarda tanto i rischi fisici che corre Francesco quanto il rischio cui espone altri, i suoi stessi fedeli e quanti saranno coinvolti dalla sua visita”.

Sofri aggiunge: “I virologi ammoniscono ora il Papa: tu sei vaccinato, ma le folle che inevitabilmente ti si raduneranno attorno non lo sono – in Iraq la vaccinazione non è nemmeno cominciata”.

Dunque perché, dopo aver cancellato tutti i viaggi programmati, ha deciso di andare in Iraq proprio ora? Non poteva spostare il viaggio all’anno prossimo? Sul motivo di una così irremovibile scelta ci sono diverse ipotesi.

I laudatori dell’attuale pontificato sostengono che il papa vuole andare là per confortare i poveri cristiani iracheni che hanno subito un martirio tremendo e per difenderne la presenza nei Paesi musulmani.

Tuttavia in questi anni i pronunciamenti di Bergoglio in difesa dei cristiani perseguitati e uccisi dall’estremismo islamico sono solitamente apparsi tiepidi (i suoi sostenitori hanno spiegato che era per pacificare gli animi e non fomentare scontri). I toni accesi li ha riservati al tema migranti, non ai cristiani perseguitati.

Un osservatore esperto di quel Paese ha scritto: I cristiani iracheni hanno risposto con grande dolore quando, nel maggio 2016, nella sua visita all’isola greca di Lesbo, il Papa ha riportato a Roma tre famiglie di rifugiati musulmani, e non una famiglia cristiana”.

In questo viaggio sicuramente papa Bergoglio parlerà delle sofferenze dei perseguitati, anche cristiani, e avrà parole di conforto per loro. Ma il suo obiettivo principale sembra essere quello di lanciare un ponte verso i musulmani sciiti che là sono la maggioranza. In particolare vorrebbe tendere la mano all’ayatollah Al Sistani.

Quello di Bergoglio, con lo slogan “Fratelli tutti”, in sostanza è un tentativo di avvicinamento all’Islam. Per ottenere più libertà e rispetto per i cristiani? Chi conosce quel mondo osserva che sarà inutile se con franchezza il papa non chiederà reciprocità. Vedremo dunque le reazioni e gli effetti della visita nell’immediato e in futuro. Ma se tutto si limiterà agli slogan dell’ecumenismo “politicamente corretto” negli incontri interreligiosi non cambierà nulla.

Anzi, secondo Sofri, che ha analizzato acutamente il viaggio, “almeno in questa parte del mondo, il Papa Francesco rischia di appartenere di più agli infedeli che ai fedeli, e di passare alla storia come colui che alla testa della Chiesa finì per ratificare un ecumenismo sospettamente agnostico”.

Sul blog del vaticanista Marco Tosatti si leggono accenti polemici dei cattolici critici: Coerentemente con il pensiero di Bergoglio, avanziamo una riflessione: questo viaggio costerà una ‘fortuna’ che poteva esser devoluta ai poveri homeless del colonnato di Piazza San Pietro, no? Ma non solo: non si scandalizzerà la povera Greta Thunberg per l’inquinamento aggiuntivo del volo aereo?”.

Alla fine resta la domanda: perché ora? Non sarebbe stato meglio rimandare come aveva auspicato, per il Covid, un patriarca siriaco cattolico? Cos’è che urge a tal punto nell’agenda di Bergoglio da indurlo a fare questo viaggio in un momento come questo?

 

Antonio Socci

 

Da “Libero”, 6 marzo 2021

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