Il metano ti dà una mano. Sì, attorno al collo, come si è visto in queste settimane per le forniture russe e per quelle libiche.

Fra le turbosciocchezze che i due leader antagonisti sparano in queste ore, è quasi introvabile (se non in un remoto e benedetto comma del programma del centrodestra) l’argomento serio che racchiude tutto: economia, politica (interna e internazionale), terrorismo, ambiente, perfino le bollette di casa, il pieno di benzina e i rapporti col mondo islamico, in poche parole il futuro.
Parlo dell’energia, o meglio del petrolio e poi della sua unica, vera alterntiva: il nucleare.
La situazione è drammatica. Urgono scelte (nucleari) coraggiose, invece si preferisce nascondere la testa sotto la sabbia. Del deserto arabo.

Il prezzo del petrolio è ormai schizzato da 20 a 60 dollari al barile (ormai stabilmente) e non solo per ragioni contingenti, ma per la formidabile domanda di energia di Cina e India.
Quindi non si torna indietro. Praticamente un disastro: secondo le previsioni Ocse la ripresa italiana sarà mutilata proprio dalla bolletta petrolifera.
Inoltre il rifornimento di gas da cui l’Italia è così dipendente (e che segue il prezzo del greggio) si è scoperto essere del tutto in balìa delle montagne russe: basta nulla per metterci letteralmente alla canna del gas, come si è visto.
Del resto la fragilità dell’intero sistema è dimostrato anche dallo storico black out del 28 settembre 2003.
Una crisi è la paralisi, il caos. E una crisi, oggi, è sempre dietro l’angolo.
Due giorni fa è stato sventato l’attacco terroristico di un commando di Al Qaeda al fondamentale impianto petrolifero di Abqaiq, che produce due terzi del petrolio dell’Arabia saudita. La sola notizia dell’attacco scongiurato ha fatto subito schizzare su il prezzo del petrolio. L’eventualità che prima o poi ci riescano, purtroppo, non mi pare così remota.
D’altra parte, al di là del terrorismo, siamo alle dipendenze di regimi che sarebbero da sfuggire come la peste.
Com’è pure quello libico (da cui compriamo gas e petrolio): l’umiliazione subita dal governo italiano per il recente “caso Calderoli” fa temere che rischiamo di rinunciare alla nostra sovranità nazionale e trovarci alla mercè di despoti capaci di tutto.
Il mondo intero è sotto ricatto e rischia di buttare alle ortiche ogni dignità politica e morale per il petrolio. Compresi i diritti umani e certe libertà.

Il “caso Gheddafi” è veramente scandaloso.
Voglio riproporre le parole di Emma Bonino: “E’ bastato che Gheddafi riconoscesse di essere il mandante della strage di Lockerbie e dell’attentato dell’aereo sul Ciad e decidesse di pagare le vittime perché le democrazie occidentali si mettessero in fila per bussare alla porta di Tripoli” e sono arrivati “fino ad accettare che la Libia presiedesse la commissione Onu per i diritti umani.
Ora Gheddafi ci dice: o Calderoli se ne va o basta gas libico”.
L’Occidente non ha avuto la dignità di esigere che il responsabile di Lockerbie rinunciasse almeno al potere e ora lui esige la testa di ministri occidentali per una maglietta sgradita.
Ma ho voluto riprendere le parole della Bonino perché fra i nomi di politici riverenti verso Gheddafi che lei evoca ha dimenticato Prodi, che è stato fra i primi e i più convinti.
Con una simile dipendenza energetica come si può avere la politica che servirebbe nei confronti del mondo arabo (a cui infatti siamo proni da decenni)?
I padroni del petrolio sanno di tenere l’occidente per i testicoli e l’Italia specialmente.
L’82 per cento delle riserve mondiali accertate di petrolio e gas si trovano in Medio Oriente, Africa ed Europa dell’Est.
Tutte regioni governate da regimi perlopiù dittatoriali o discutibili, dove in genere il “fattore” Islam è dominante. Regimi che forti dell’arma petrolifera mettono a rischio perfino la pace mondiale.
Esemplare il caso Iran, dove Ahmadinejad, che agita lo spettro nucleare e minaccia Israele, di fronte a possibili sanzioni internazionali ha potuto dire che se ne infischia: vediamo come farete senza il nostro petrolio.
E nel frattempo sostiene l’inquietante “governo di Hamas” nei territori palestinesi.

Paradossalmente coi petrodollari il mondo libero finanzia i propri nemici. Infatti gli enormi proventi non sono mai serviti in quei paesi a far decollare lo sviluppo economico, sociale e civile, perché le masse servono, a quei despoti, misere e manovrabili.
Invece i petrodollari sono serviti a ingrassare le caste al potere e un enorme acquisto di armi.
Tempo fa l’ottimo Fausto Carioti, su queste colonne, ha quantificato – fonte la Arab Bank – parte di quei proventi: circa 25.500 miliardi di dollari solo dal 1974 al 1998.
Un mare di soldi che avrebbero potuto trasformare quei paesi in giardini: in media 91.000 dollari per ognuno dei 285 milioni di arabi.
Invece – come dimostra il “Rapporto sullo sviluppo umano nel mondo arabo” pubblicato dalle Nazioni Unite – quei popoli restano senza istruzione, senza sviluppo, senza infrastrutture, spesso pure senza servizi primari.
I Paesi arabi sono agli ultimi posti per traduzioni di libri stranieri. “In venti anni” scriveva Carioti “dai Paesi arabi sono stati registrati appena 370 brevetti, contri i quasi 7.652 del solo Stato di Israele”.
Colpa di élite che sono i primi acquirenti del pianeta di armamenti per i quali spendono quattro volte più della media mondiale. Vai a parlar loro di dialogo. E infatti sono l’area mondiale più pericolosa, esplosiva ed aggressiva.
C’è infine un ultimo dettaglio. Il mondo intero è dipendente dal petrolio (37,6 del totale) e dal gas naturale (23,5), ma quante sono veramente le risorse petrolifere?
L’ultimo inquietante allarme è stato lanciato da Matthew R. Simmons che presiede una banca texana d’investimento nel settore energetico ed è un consulente personale del presidente Bush. Documenti alla mano Simmons col libro “Twilight in the Desert” dimostra che da anni i paesi dell’Opec e specialmente l’Arabia Saudita non froniscono più dati sui loro giacimenti e fa seriamente sospettare che il petrolio potrebbe esaurirsi prima del previsto. Anche per questo il mondo ha tentato altre strade. Come il nucleare.

Dopo la crisi del Kipput (1973) tutti i Paesi industrializzati sono corsi a diminuire drasticamente la dipendenza da carbone e petrolio.
Solo l’Italia l’ha aumentata. Non avendo in casa nostra né petrolio, né gas, né carbone, né altre fonti energetiche abbiamo voluto suicidarci completamente buttando alle ortiche un settore, il nucleare, nel quale eravamo l’avanguardia mondiale negli anni ’60-’70. Col nucleare saremmo stati liberi dalla dipendenza dai califi e avremmo risparmiato un patrimonio.
La grande follia fu compiuta nel 1987 quando – sotto lo choc di Chernobyl – fu tenuto il famoso referendum vinto dagli ambientalisti. Un colossale autoinganno collettivo. Innanzitutto su Chernobyl che non fu un disastro dovuto al nucleare, ma al comunismo, per gli esperimenti dissennati che lì si facevano.
Oltretutto oggi non si costruiscono più centrali catorcio come quella, ma centrali sicure (pure il numero delle vittime – a consuntivo – è stato molto limitato rispetto agli scenari che si temevano).
C’è da aggiungere che i quesiti referendari non significavano affatto “no” al nucleare, ma furono così interpretati.
Da allora, mentre noi buttavamo al macero miliardi di investimenti già fatti e fior di tecnologia, il resto del mondo ha incrementato il ricorso al nucleare del 40 per cento. Per la Francia, per esempio, oggi rappresenta il 78 per cento dell’energia, per la Germania il 28, per il Regno Unito il 20, per la Spagna il 24.

Complessivamente il nucleare fornisce il 31 per cento dell’energia nell’Unione europea. E l’Italia, l’unica che l’ha messa al bando, poi va a comprarlo all’estero (il 17 per cento del nostro fabbisogno è coperto dal nucleare altrui), specialmente dai vicini francesi.
Cosicché restiamo come tutti esposti agli eventuali incidenti delle centrali, ma senza i benefici, infatti le famiglie italiane hanno bollette più care della media Ue del 38 per cento e le imprese del 25 per cento. Una bella mazzata sulla competitività del nostro sistema produttivo. E per i nostri conti.

Paolo Fornaciari valutò a suo tempo il danno economico del referendum in 121 mila miliardi di lire, ma ai prezzi attuali del greggio il conto si è quadruplicato. Come se non bastasse il metano, su cui l’Italia ha puntato così tanto, è anche il responsabile maggiore del cosiddetto “effetto serra” che pare sia la terribile spada di Damocle sul futuro dell’umanità.
Oltretutto le sinistre (verdi ed estreme) si oppongono pure agli impianti di rigassificazione di gas liquido. In sostanza la spia della riserva si è accesa da tempo, per l’Italia soprattutto.
E’ urgente invertire la rotta suicida. Ma se alle prossime elezioni vince il centrosinistra il nostro futuro si fa cupo.
Di nucleare infatti la Sinistra non vuol sentir parlare. Il centrodestra invece ha timidamente inserito nel suo programma (presentato ieri) la “partecipazione ai progetti europei di sviluppo del nucleare di ultima generazione”.
Merito, credo, del ministro Scajola. Ma è quasi una scelta sussurrata, mentre doveva essere strategicamente gridata.
Ormai sulla fuoruscita dal petrolio e l’incremento del nucleare si sono dichiarati tutti, da Bush a Blair, dalla Francia alla Finlandia. E il centrodestra dovrebbe farne una bandiera strategica. Anche perché i sondaggi recenti, come quello dell’Ispo di Renato Mannheimer, indicano che ben il 54 per cento degli italiani vuole il ritorno al nucleare. La tecnologia ha ormai superato i rischi di incidenti alle centrali e i problemi di stoccaggio delle scorie.
I tempi di costruzione di una centrale non sono troppo lungi (si parla di cinque anni).
Burton Richter, premio Nobel per la Fisica, ecologista e di convinzioni democratiche, ha apertamente dichiarato al Wall Street Journal che l’energia nucleare, la più pulita dal punto di vista dei gas serra, “è l’unica utilizzabile su larga scala” che possa urgentemente scongiurare il “riscaldamento globale” e le conseguente catastrofi. E pure l’unica che permetta di far applicare il “Protocollo di Kyoto” senza provocare un tracollo economico colossale.
Non a caso di parla di “Nuclear Renaissance”. Perché è la strada obbligata.
Ecco perché la Casa delle libertà dovrebbe sbandierare questa scelta e non nasconderla fra le pieghe del programma.
E’ un’idea che ci libera dalla schiavitù dei califfi e che ci dà un futuro. Un’idea che mette da sola in scacco il centrosinistra.

Fonte: © Libero – 26 febbraio 2006

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