Il terrorismo islamista è entrato anche nelle elezioni francesi e ormai fa parte stabilmente delle cronache europee. Non è più un caso accidentale e non potremo spazzarlo via tanto facilmente.

L’Isis prima ha cercato in Europa “Foreign Fighters” che andassero a combattere in Siria e Iraq. Oggi li rispedisce in Europa e contemporaneamente tenta una campagna di arruolamento all’interno dell’ormai vastissima presenza islamica nel Vecchio Continente.

Bisogna riconoscere però che questa campagna di arruolamento fra le comunità islamiche europee non ha presa. Non si può dire infatti che (almeno per ora) il terrorismo faccia proseliti fra i musulmani di casa nostra. E questa è una buona notizia. Certo, c’è chi si fa sedurre dall’Isis, ma si tratta di piccolissime frange che speriamo non si allarghino.

Tuttavia questo non significa che l’Islam di per sé non sia comunque una grossa sfida politica e culturale per l’Europa. L’Islam – che non è da identificare col terrorismo – è una concezione globale dell’uomo, della società, della giurisprudenza e dello Stato (come vediamo nei Paesi arabi e islamisti) ed è difficilmente compatibile con la liberaldemocrazia e la modernità occidentale.

Questo è un problema che riguarda effettivamente le comunità islamiche europee e noi europei.

Basti considerare il grande successo che il leader turco Erdogan ha avuto fra i turchi residenti in Europa nel recente referendum. E’ la dimostrazione che l’integrazione – che per esempio in Germania è effettiva – non significa affatto lo sradicamento della loro cultura islamica d’origine.

E dunque cosa accadrà se le comunità musulmane europee – crescendo per l’alto tasso di natalità e per l’immigrazione – daranno vita a loro formazioni politiche?

Nessuno sembra porsi il problema, soprattutto nei circoli intellettuali e politici nostrani, pigramente multiculturalisti. In Francia invece il dibattito divampa (come in altri paesi europei).

UNA VOCE NEL DESERTO

A intervenire – a sorpresa – in questa bollente questione è stato, in questi giorni, nientemeno che Benedetto XVI. A conferma del fatto che – pur vivendo ritirato in un suo eremo spirituale – resta l’intelligenza più lucida e coraggiosa del nostro tempo.

A fornirgli l’occasione è stato il Simposio che il presidente polacco Andrzej Duda e i vescovi di quel Paese hanno organizzato in suo onore per il 90° compleanno del papa emerito. Il titolo del convegno è: “Il concetto di Stato nella prospettiva dell’insegnamento del cardinal Joseph Ratzinger-Benedetto XVI”.

Un tale Simposio è anzitutto il riconoscimento di un grande pensatore, che esprime al meglio il pensiero cattolico nell’attuale confronto di idee (non si può dire lo stesso per il peronismo sudamericano e politically correct dell’attuale vescovo di Roma).

Benedetto XVI ha scritto al Simposio un messaggio sintetico, ma lucidissimo, che, in poche righe, centra perfettamente il problema perché chiama per nome l’islamismo e la sua concezione dello Stato (cosa alquanto inconsueta al tempo di Obama e di Bergoglio).

Ma Benedetto XVI non pone solo il problema dell’islamismo: insieme ad esso mette in discussione anche lo stato laicista occidentale. Il messaggio merita di essere letto:

“Il tema scelto – scrive Benedetto XVI – porta Autorità statali ed ecclesiali a dialogare insieme su una questione essenziale per il futuro del nostro Continente. Il confronto fra concezioni  radicalmente atee dello Stato e il sorgere di uno Stato radicalmente religioso nei movimenti islamistici conduce il nostro tempo in una situazione esplosiva, le cui conseguenze sperimentiamo ogni giorno. Questi radicalismi esigono urgentemente  che noi sviluppiamo una concezione convincente dello Stato, che sostenga il confronto con queste sfide e possa superarle.  Nel travaglio dell’ultimo mezzo secolo, con il Vescovo-Testimone Cardinale  Wyszyński e con il Santo Papa Giovanni Paolo II, la Polonia – conclude papa Ratzinger – ha donato all’umanità due grandi figure, che non solo hanno riflettuto su tale questione, ma ne hanno  portato su di sé la sofferenza e l’esperienza viva, e perciò continuano ad indicare la  via verso il futuro”.

LA VIA DI WOJTYLA

E’ significativo che Benedetto XVI indichi come esempi da seguire il cardinale Wyszyński, simbolo dell’opposizione allo stato ateo comunista, e Giovanni Paolo II che – oltre alla lotta contro i totalitarismi atei – cercò di far capire all’Europa che sarebbe stato disastroso costruire una Unione europea sul secolarismo più laicista, recidendo le radici spirituali dei popoli europei e l’apertura a Dio della sua cultura bimillenaria, perché proprio da quelle radici è venuta la centralità della dignità umana che ha sempre caratterizzato l’Europa.

Benedetto XVI afferma che “concezioni  radicalmente atee dello Stato” da una parte e “il sorgere di uno Stato radicalmente religioso nei movimenti islamistici conduce il nostro tempo in una situazione esplosiva”.

Ancora una volta la sua è una voce profetica e ancora una volta, probabilmente, non sarà ascoltata.

Il suo messaggio sintetico richiama lo storico discorso di Ratisbona, del settembre 2006, dove Benedetto XVI – diversamente da quanto si crede – non fece affatto un’invettiva anti-islamica, ma propose al mondo musulmano, all’Europa laicista e ai cristiani, l’unico vero terreno di dialogo che essi hanno in comune: la ragione.

In tutta la sua grandezza, non nella sua limitata accezione scientista e razionalista (perché il razionalismo sta alla ragione come la polmonite sta al polmone).

Uno dei maggiori filosofi del nostro tempo, René Girard, ha fatto l’apologia di quel discorso: “ciò che io vedo in questo discorso è prima di tutto una perorazione della ragione. Tutti si sono scagliati contro il papa”, ma “questo papa, considerato un reazionario, si è comportato da difensore della ragione”.

In pratica Benedetto XVI indica una terza via – fra stato laicista e islamismo – ed è il recupero delle radici spirituali e umanistiche dell’Europa e della nostra cultura. Sarebbe bene rifletterci.

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Antonio Socci

Da Libero, 22 aprile 2017

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