Per tutta questa legislatura (2018-2023) i sondaggi hanno costantemente rilevato che le intenzioni di voto degli italiani restano in maggioranza per il centrodestra (sempre diversi punti sopra agli avversari). Un consenso confermato anche dalle urne vere delle europee (2019) e delle regionali (2018-2020).

Così oggi, a pochi mesi dalle elezioni politiche, sono cominciate le fibrillazioni. Ma non solo dei partiti, come sarebbe normale: anche dei media. Per esempio, al “Corriere della sera” – come si dice a Roma – “nun ce vonno sta”. L’idea della possibile vittoria del centrodestra li agita, li angoscia. Perciò s’offrono. A quanto pare s’offrono come suggeritori di idee per scongiurare la vittoria del centrodestra e per evitare che il Pd finisca all’opposizione.

Bisogna riconoscere che il Pd è già bravissimo di suo a restare in sella pur perdendo le elezioni e lo ha dimostrato in questa legislatura: è stato lo sconfitto dalle elezioni del 2018 (precipitò addirittura al suo minimo storico e al minimo storico del centrosinistra in Italia), ma è riuscito egualmente a restare al governo per quattro dei cinque anni.

Resta memorabile la dichiarazione di Matteo Renzi, che era segretario del Pd alle elezioni del 2018, dopo il voto: “Siamo seri. Chi ha perso le elezioni non può andare al Governo. Non possiamo rientrare dalla finestra dopo che gli italiani ci hanno fatto uscire dalla porta. I giochetti dei caminetti romani non possono valere più degli italiani”.

Le ultime parole famose. A parte il primo anno – quello dell’esperimento gialloverde – il Pd è tornato subito al governo nel 2019 con Zingaretti e non ne è più uscito.

Nei giorni scorsi Enrico Letta ha fatto una esternazione clamorosa: “la prossima volta andremo al governo solo se vinciamo”. Dovrebbe essere un’ovvietà, ma nel caso del Pd è una dichiarazione d’intenti che fa notizia.

Ora il suo partito dovrebbe attivarsi per convincere gli italiani a votarlo. Invece Letta sembra accarezzare un’idea diversa: una legge elettorale proporzionale per impedire agli avversari di vincere, che poi significa far restare comunque il PD al governo con governi tecnici o coalizioni di governo improvvisate.

E qui – dicevamo – entra in gioco il “Corriere” che sforna tutti i giorni ideone per scongiurare la vittoria del centrodestra. La trovata che va per la maggiore in queste settimane è appunto il proporzionale in modo da sfasciare il polo di centrodestra che al momento è l’unico esistente.

Da giorni sul quotidiano appaiono editoriali che insistono con il proporzionale. Per esempio, il 7 maggio Antonio Polito, il 23 maggio Paolo Mieli, il 24 maggio Angelo Panebianco e ieri Goffredo Buccini.

Il teorema è sempre lo stesso: i due poli – a loro dire – non esistono più e per evitare l’ingovernabilità, di fronte all’emergenza (ce n’è sempre una: la crisi finanziaria, il Covid, il Pnrr, la guerra…), anche loro che sono sempre stati per il maggioritario chiedono il proporzionale. Anzitutto, come scrive Panebianco, “per mandare all’opposizione il partito putinaino”(loro chiamano così quelli che la pensano come Kissinger, De Benedetti o Berlusconi e che hanno dalla loro la maggioranza del Paese).

E, nel timore che il proporzionale non basti, Mieli e Panebianco prospettano, come soluzione B, il famoso e surreale patto Meloni-Letta. Sempre ieri sul “Corriere” c’era anche la soluzione C suggerita da Stefano Passigli: convincere Draghi a diventare “leader di una coalizione filo-atlantica ed europeista” per governare “anche dopo le prossime elezioni politiche”.

È il Risiko dei salotti, tanti castelli in aria che hanno il difetto di ignorare totalmente il parere e il voto degli italiani.

Peraltro la trovata del proporzionale è assurda. Perché l’attuale legge, il Rosatellum, è già in gran parte proporzionale; perché è stata fatta solo nel 2017 e nessun Paese cambia legge elettorale ogni cinque anni e perché fu fatta proprio dal Pd che anche in quell’occasione voleva scongiurare la vittoria degli altri.

Oltretutto il pretesto della “governabilità” non c’entra nulla, anzi: è sempre stato invocato per chiedere leggi elettorali di segno opposto, cioè maggioritarie.

Infine c’è la raccomandazione del Consiglio d’Europa, che con la Commissione di Venezia ha varato il “codice di buona condotta in materia elettorale” in cui si afferma che il diritto elettorale deve “beneficiare di una certa stabilità al fine di non apparire come oggetto di manipolazioni partitiche”, perciò gli elementi fondamentali deldiritto elettorale, e in particolare del sistema elettorale propriamente detto”, insieme ad altri fattori tecnici, “non devono poter essere modificati nell’anno che precede l’elezione”.

Del resto fra i problemi che assillano gli italiani certamente non c’è la legge elettorale. Il centrodestra, per vincere, dovrà occuparsi dei loro problemie anche mostrare che si può essere europeisti e atlantisti a schiena dritta, per rendere l’Italia protagonista, diversamente dalla sottomissione che caratterizza l’europeismo e l’atlantismo della Sinistra.

 

Antonio Socci

 

Da “Libero”, 29 maggio 2022

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