LETTERA A CATERINA. IL POTERE SUI MEDIA PROPAGANDA LA MORTE, NON LA VITA PER CUI TU STAI LOTTANDO. MA NOI NON CI ARRENDEREMO MAI
Cara Caterina,
ieri hai voluto che sulla tua pagina facebook – sotto la tua foto sorridente – fosse scritto: “La vita è sempre bellissima”. E poi le parole del salmo 138: “Ti lodo perché mi hai fatto come un prodigio…”.
So che sei addolorata per Fabiano, questo nostro fratello per cui preghiamo e di cui oggi tutti parlano. Pregare per lui è il modo per volergli ancora bene, ma nessuno invita a pregare perché pensano che sia tutto finito e che si tratti solo di invocare leggi che permettano in Italia ciò che fanno altrove.
“Repubblica” titola: “L’addio di Dj Fabo, ora la legge”. Ma c’è qualcuno che invece chiede leggi e interventi pubblici a favore di chi vuole vivere e guarire?
“La Stampa” titola: “Il suicidio di Fabo scuote l’Italia”. Purtroppo la vita di tanti che lottano, come te, Caterina, per vivere e per guarire non scuote l’Italia.
Eppure la tua grinta, la tua fede e il tuo coraggio sono una luce che illumina tutti quelli che ti conoscono. E quanti altri giovani come te abbiamo conosciuto durante questa nostra avventura.
Chi chiede leggi per sostenere la loro lotta? E chi difende i più piccoli e indifesi che non hanno voce?
Chi aiuta, per esempio, una grande donna come Paola Bonzi del “Centro di aiuto alla vita” della Mangiagalli, che ha salvato più di 17 mila bambini (e 17 mila mamme) dall’aborto? Eppure nessuno è più debole e indifeso di un bambino nel grembo e della sua madre.
Nessuno racconta coloro che aiutano e salvano le vite.
Nessuno parla dei tanti – medici o riabilitatori o volontari – che stanno lottando per strappare alla sofferenza, alla malattia o alla morte anche questi territori drammatici dell’esistenza.
Noi ne conosciamo tanti e sappiamo che è proprio questo “non arrendersi” che per secoli ha fatto andare avanti la medicina. Altrimenti oggi si morirebbe ancora di morbillo.
I media non parlano che di leggi sulla morte. Ma noi vorremo che tutti insieme gridassero: forza, dobbiamo mettercela tutta, cari medici e ricercatori. Con forza e intelligenza andiamo all’assalto della malattia. Strappiamo alla prigionia tanti giovani (o meno giovani) bloccati nel proprio corpo. Ce la possiamo fare.
Ci sono già nel mondo nuovi percorsi di recupero molto interessanti e poco conosciuti.
Noi impariamo da te, Caterina, dalla tua forza vittoriosa. Stamani la tua mamma ti ha letto un articolo dove si spiegava come sono nati gli ospedali: letteralmente inventati dai cristiani.
E’ bene ricordarlo in queste ore in cui, sui giornali, i cristiani vengono rappresentati quasi come sadici che vogliono far soffrire le persone.
Fu un papa che si chiamava come Fabiano, già negli anni della persecuzione (attorno al 240), a istituire i primi servizi di accoglienza. E il primo Concilio che seguì l’Editto di Costantino (il Concilio di Nicea del 325) rese obbligatori per le chiese gli xenodochi, i primi ospedali dove si curavano tutti i malati.
Da allora fu un fiorire di ospedali che per tutto il medioevo vennero costruiti come cattedrali. I malati non furono più abbandonati, come nell’antichità, ma ritenuti la carne stessa di Cristo.
L’Annuarium statisticum Ecclesiae del 2014 riporta 116.060 strutture sanitarie cattoliche presenti oggi nel mondo.
L’esempio di padre Pio dice tutto. Colui che ha vissuto per 50 anni crocifisso ha voluto costruire uno dei più grandi ospedali del meridione: la Casa sollievo della sofferenza.
Proprio chi ha abbracciato la croce e ha esaltato il valore infinito della sofferenza umana è colui che più ha cercato di alleviare la sofferenza dei fratelli.
Perché è dalla pietà e dalla compassione di Gesù, che guariva tutti, che i cristiani hanno imparato ad abbracciare e prendersi cura dei fratelli che soffrono.
E’ dagli ospedali inventati dai cristiani (come le università) che è nata quella medicina che ha vinto tante malattie. E’ stato il cristianesimo il vero illuminismo.
Ma oggi chi si unisce a noi cristiani nell’incitare ricercatori e medici a non arrendersi? Chi chiede leggi e fondi per combattere le malattie più invalidanti?
Una “legge per la morte” è una scorciatoia che fa risparmiare soldi…. Ma che tristezza.
E poi questi media che parlano sempre di stupidaggini e – un quarto d’ora all’anno – si occupano della morte, ma solo in questi termini gelidi, per rivendicare dallo stato una legge per la morte.
Nessuno mai che s’interroghi sul senso della vita e sul mistero del nostro destino eterno. Eppure è ciò che caratterizza la condizione umana. Lo testimonia tutta la letteratura e l’arte.
Tutti desideriamo essere felici, ma senza dimenticare nulla, nemmeno la malattia e la morte. Abbiamo fame e sete di un significato, il desiderio di una felicità che sia per sempre.
Ma c’è una terribile censura sulla grande promessa che ci è stata fatta nel Vangelo: “il centuplo quaggiù e la vita eterna”. Come se il Re dei Cieli non fosse mai venuto qui sulla terra. Come se non fosse morto e risorto per noi, vincendo così la morte.
Come vedi, Caterina, nemmeno i preti e i vescovi ne parlano più. Il vescovo di Roma – che si tiene alla larga dalla difesa della vita – non parla nemmeno della vita eterna. Non ne parla mai. Parla delle questioni sociali come l’emigrazione, della acque reflue, dell’inquinamento, della spazzatura, di zanzare e vermi.
Ma l’umanità è stata abbandonata da chi avrebbe dovuto annunciare la grande speranza, da chi avrebbe dovuto donare a tutti notizia di Gesù, la nostra gioia.
Io e tua madre siamo sempre commossi quando – a chi ti chiede se sei felice – tu rispondi decisa (col tuo linguaggio): “sì!”.
E sappiamo perché rispondi così. Perché sei amatissima. Perché Gesù è qui. Con noi. E non ci abbandona mai.
E’ la nostra forza e il nostro conforto. E’ Lui che ci sostiene in questa lotta. Ed è con Lui che saremo poi nell’eternità, insieme a tanti altri amici. Per la grande Festa.
La vita quaggiù è una preparazione alla vera Vita. Ma nessuno più lo sa. E la si butta via o la si spende male.
Si trascorrono le giornate come fossimo sassi trascinati dalla corrente del fiume. E nessuno conosce persone diverse che vivono una vita appassionata, piena di significato e di gioia.
Magari proprio cercando di alleviare le sofferenze dei fratelli. Anche qui ci sono testimonianze bellissime.
Chi parla delle centinaia di suore e missionari che sono andati perfino a vivere nei lebbrosari (noi abbiamo amici così) e a prendersi cura dei più dimenticati nei lazzeretti del mondo? Non sono solo delle suore di Madre Teresa. Ce ne sono tanti altri.
O chi parla – per venire dalle nostre parti – della storia che abbiamo scoperto a Bologna qualche anno fa (nella Bologna del XX secolo) dove decine e decine di giovani suore, dopo la Prima Guerra mondiale, andarono volontariamente a prendersi cura dei malati di Tbc in un ospedale fuori città, contraendo loro stesse il virus e morendo in gran numero?
Erano giovane ragazze. E’ una storia di cui nessuno sapeva niente e – anche oggi che ne abbiamo scritto – sembra non interessi a nessuno. I miti che oggi vengono celebrati stanno piuttosto a cantare sul palcoscenico o a correre sul campo di calcio.
E nessuno racconta i volti di quelle giovani ragazze, la loro passione per la vita, cioè per Cristo, la loro compassione per i sofferenti. E’ la storia di un grande amore che illuminerebbe il nostro mondo. Farebbe capire la maestà della vita e il suo senso.
Ogni istante della nostra esistenza è prezioso. Ed è affacciato sull’eternità. Ci giochiamo quaggiù il nostro destino eterno: o una gioia senza fine o una sofferenza senzalimite. O il Paradiso o l’Inferno.
Gli ecclesiastici pavidi non hanno più il coraggio di dirlo, perché si vergognano di Cristo, ma – come dice il Vangelo – lo gridano le pietre delle nostre cattedrali che non a caso hanno spesso accanto a sé gli ospedali medievali (a Siena è così).
Cosicché il dolore umano e la bellezza, abbracciate dalla carità e dalla liturgia, guardavano tutte al volto del Salvatore gridando: “vieni a salvarci”.
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Antonio Socci
Da “Libero”, 1 marzo 2017
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