Si dice che sia stato un verso di Paul Verlaine cantato da Charles Trenet (“il lamento dei violini è stanco”), a dare il segnale in Francia del D-Day, lo sbarco in Normandia.

Così settant’anni fa, il 6 giugno 1944, tornava la libertà in Europa.

Quale Verlaine e quale Trenet oggi potrebbero accendere gli animi nel nostro Paese se nemmeno ci rendiamo conto che stiamo progressivamente perdendo quella libertà così drammaticamente conquistata?

Siamo tanto vessati e rassegnati da non accorgercene neanche. Eppure tutti gli indicatori segnano allarme rosso. Credete che stia esagerando? Pensate che sia il solito allarmismo enfatico degli apocalittici?

Premesso che io mi colloco da sempre – come opinione e come visione del mondo – fra i moderati e che ho sempre combattuto come la peste estremismi, radicalismi, utopismi, catastrofismi di ogni genere, provo a mettere in fila una serie di fatti e di dati recenti.

Partiamo dalle libertà economiche.

 

DISASTRO

 

Il Rapporto 2014 della Corte dei Conti nei giorni scorsi è tornato a dirci che siamo il Paese più tartassato d’Europa: alla fine del 2013 il 43,8 per cento del Pil se n’è andato in tasse, tre punti più del 2000 e quattro punti in più rispetto alla media degli altri Paesi Ue (poi, com’è noto, c’è chi fornisce dati ancora più cupi).

In pratica siamo a livelli da esproprio (per non parlare degli immobili).

Lavoriamo gratis per un padrone, lo Stato, più di metà dell’anno, senza avere in cambio servizi almeno decenti. Ma anzi con uno spettacolo di sprechi, ruberie e corruzione che fanno ribollire il sangue.

Nonostante un così pesante dissanguamento non è che stiano rimettendo le cose a posto.

Anzi, il macigno del debito pubblico che grava su di noi e sui nostri figli invece di diminuire, come avevano previsto per quest’anno Monti (118 per cento) e Letta (129 per cento), aumenta e proprio quest’anno sfonderà il 135 per cento: è il quarto debito pubblico del mondo (2.100 miliardi di euro).

Non siamo alla frutta, ma alla grappa.

E nessuno vuole ammettere di aver sbagliato strada (lo stesso Renzi pare sulla stessa via). Intanto la nostra economia – un tempo fiorente – è stata messa in ginocchio.

Nei giorni scorsi abbiamo perso un altro posto nella classifica delle potenze industriali del pianeta (ormai ottavi).

Siamo già al terzo anno di cura “illuminata” dell’economia e in due anni ventimila aziende hanno chiuso i battenti. In totale dal 2007 la produzione è crollata del 25,5 per cento (mentre nel mondo aumentava del 10 per cento). Dal 2001 abbiamo perso più di un milione di posti di lavoro.

Così a questa (op)pressione fiscale e all’esplosione del debito pubblico si aggiunge il vertiginoso aumento della disoccupazione, oggi al 13,6 per cento, che fra i giovani diventa un tragico 46 per cento.

E si aggiungono le mille oppressioni burocratiche che limitano o rendono impossibile la libertà di intrapresa e la nostra competitività (il nostro cuneo fiscale è al 47,8 per cento, mentre la media Ue è al 42).

Possiamo facilmente concludere che la nostra libertà economica è morta. O almeno morente.

 

SUDDITI

 

E le libertà politiche sono in coma. E’ noto infatti il principio liberale su cui sono nate le democrazie moderne: “no taxation without representation”.

Tale principio dice che – contrariamente a quanto si pensa in Italia, specie a sinistra – le tasse non sono un salasso dovuto al sovrano-Stato perché sperperi miliardi, magari sotto la bandiera ideologica (fasulla) della redistribuzione del reddito, come se i contribuenti fossero dei rei da punire per i soldi guadagnati che – secondo gli statalisti – sarebbero sottratti ai “poveri”.

Al contrario sono nuova ricchezza prodotta col loro lavoro.

Nelle moderne democrazie i contribuenti non sono né rei da punire né sudditi da spennare: sono i veri sovrani e le tasse che pagano devono avere una contropartita vera in servizi efficienti, con uno Stato al servizio dei cittadini e non viceversa.

E tale tributo deve essere governato da coloro che i (tar)tassati hanno eletto per amministrare i loro soldi.

Questo meccanismo – che poi si chiama democrazia – è stato scardinato a livello nazionale in molti modi.

Anche con leggi elettorali dove non è più ammesso scegliere né candidati né partiti (ci hanno perfino persuaso che ci sottraevano le preferenze “per il nostro bene”) e da “leggi truffa” (presenti e future) dove delle minoranze finiscono per avere abnormi maggioranze parlamentari.

 

FINE DELL’INDIPENDENZA

 

A livello internazionale poi quel principio è stato travolto da progressive e colossali cessioni di sovranità che ci hanno sottratto il governo della moneta, delle politiche fiscali ed economiche cosicché tutti oggi ci sentiamo governati da tecnocrazie che non abbiamo eletto (dalla Bce alla Commissione europea) o da governi, come quello tedesco, eletti da altri (con annessa Bundesbank).

E siamo in balia di altre tecnocrazie sovranazionali (come il Fmi o il Wto) che decidono le sorti dei popoli e degli stati (il caso greco, ma anche il caso italiano, dovrebbero farci chiedere se siamo ancora popoli che possono eleggere i loro governi).

Ma l’agonia delle nostre libertà ha pure indicatori spiccioli.

Per esempio quelli che mostrano un raddoppio di furti e rapine al Centro-Nord: l’insicurezza della persona e dei suoi beni (e l’inefficienza dello Stato a garantirli) fa parte di questa erosione della libertà personale.

Evidente pure nella sfera della vita privata.

Ieri i giornali riportavano la notizia di Vodafone che ha dovuto consentire alle autorità di 29 Stati di intrufolarsi nelle utenze telefoniche e il primato – guarda caso – spetta all’Italia: nel 2013 sono stati forniti i dati di ben 605.601 utenze su richiesta di procure e forze dell’ordine. Cifra abnorme a cui vanno aggiunte le istanze inviate agli altri gestori (Telecom in testa) e poi le vere e proprie intercettazioni.

Tutto questo mentre lo scandalo “Datagate” di Snowden qualche mese fa ha svelato che siamo tutti sotto controllo da Oltreoceano e non solo. E’ la tomba della privacy e della libertà.

Ma non basta.

 

TIRANNIA

 

Ora in Italia c’è in cantiere addirittura una legge, quella contro la cosiddetta omofobia, che rischia di introdurre perfino il reato d’opinione. Inconcepibile in democrazia.

C’è inquietudine pure fra molti giuristi che si chiedono, come Ferrando Mantovani, professore emerito di Diritto penale all’Università di Firenze, se “il prevedibile esito della proposta di legge (se approvata) stante la sua indeterminatezza, sia quello di perseguire penalmente, in quanto atti di discriminazione fondati sulla omofobia, anche il sostenere l’inammissibilità del matrimonio omosessuale, l’esigenza dei bambini di avere un padre e una madre, il divieto di adozione di bambini da parte delle coppie omosessuali, il formulare giudizi di disvalore degli atti omosessuali sulla base delle Sacre Scritture, della tradizione della Chiesa cattolica e del pensiero di altre religioni; il semplice citare pubblicamente passi evangelici sulla sodomia; il dibattere se l’orientamento sessuale sia modificabile o immodificabile e se la modificazione sia un’affermazione scientificamente fallace o meno; l’applicare a persone omosessuali, che liberamente lo richiedano, le cosiddette terapie riparative per correggere l’orientamento sessuale o considerare meritevole di aiuto il disagio esistenziale di cui soffrono certi omosessuali. Con la conseguente violazione dei diritti, costituzionalizzati, della libertà di manifestazione del pensiero, della libertà religiosa e della libertà di educazione dei genitori verso i figli, comprendente anche l’educazione sessuale”.

Peraltro il movimento delle “Sentinelle in piedi”, costituito in molte città per opporsi a questo Ddl, in queste settimane, durante le sue manifestazioni silenziose, è stato sottoposto in più casi ad atti di intolleranza inammissibili, di fronte ai quali le autorità e i media sono pressoché indifferenti.

Così muore la libertà di un Paese.

 

Antonio Socci

 

Da “Libero”, 8 giugno 2014

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