Il 2021 è stato l’anno della Dantemania. Per celebrare i 700 anni dalla morte del Sommo Poeta tutti si sono mobilitati, così siamo stati letteralmente alluvionati dagli eventi e dalle chiacchiere dantesche. Centinaia sono state le iniziative, che hanno sfidato anche il Covid.

Si è visto e sentito di tutto. Dai convegni ai quiz danteschi, dalle mostre alle letture pubbliche del poema sacro (in tantissime città e anche nei paesi), dai programmi televisivi ai libri. Tutte le arti si sono cimentate con Dante, dal teatro alla danza, dalla pittura alla scultura, dal cinema alla musica, dalla miniatura al fumetto.

La rete poi è stata invasa, specialmente con il Dantedì e la campagna social “In Viaggio con Dante”. Infine un fiume di pagine di giornale dedicate all’Alighieri. Nel sito del Ministero dei Beni culturali sono elencati gli eventi e le celebrazioni più importanti. Una miriade.

Alcune iniziative sono state pregevoli, altre meno, di altre ancora potevamo fare a meno. Ma certamente è stato importante che l’Italia ritrovasse – anche nel sentimento popolare – il suo grande poeta, padre della nostra lingua e vertice assoluto della letteratura mondiale.

Non si ricorda nulla di paragonabile, anche perché internet, radio, televisioni e giornali hanno enormemente amplificato l’anniversario.

Così Dante è passato dall’inferno della dimenticanza e del rifiuto(perché la scuola sessantottina lo aveva ormai archiviato come un vecchio reazionario), al paradiso della celebrazione nazionale e della passione popolare. Senza risparmiarsi il purgatorio kitsch di tante rievocazioni e di tante chiacchiere da salotto.

Eppure – incredibilmente – l’unico luogo a non essere stato lambito da questo diluvio dantesco è quello che più (e prima di tutti) avrebbe dovuto “riabilitare” la Divina Commedia e il suo autore: la scuola.

Certo, anche in diversi istituti italiani è stato fatto qualcosa per le celebrazioni dantesche, ma non risulta che siano cambiate le indicazioni ministeriali sull’insegnamento della Divina Commedia alle superiori.

Si è ripetuto in tutta Italia, per tutto l’anno, che il poema sacro sta a fondamento della nostra letteratura, della nostra lingua e della nostra identità nazionale (ed è il più grande capolavoro della letteratura universale), ma nel nostro sistema scolastico quel capolavoro resta ai margini, ridotto a qualche canto che galleggia, fra le varie materie, come un incomprensibile rudere di un’antica cattedrale che non è mai stata vista e conosciuta nella sua bellezza.

La settimana scorsa “L’Espresso” ha intervistato il regista russo Aleksandr Sokurov, “considerato tra i migliori registi europei”.

A un certo punto del colloquio, Sokurov ha detto ad Anna Bonalume che lo intervistava: “La cosa più importante è che il cinema rispetti le proprie radici nazionali, che se ne prenda cura per mostrarle agli altri allo scopo di crescere insieme. Per fare un esempio, la Divina Commedia di Dante è un inno alla cultura italiana, non avrebbe mai potuto essere scritta da un tedesco. Lei ha letto la Divina Commedia?”.

L’intervistatrice ha risposto: “Sì, al liceo. Al terzo anno l’Inferno, al quarto il Purgatorio e al quinto il Paradiso”. Il regista ha replicato: “Siete una generazione fortunata”. Ma – a dire la verità – non risulta che nei licei italiani si legga la Divina Commedia, almeno da cinquant’anni a questa parte. La scuola “progressista” dopo il ’68 l’ha rimosso.

Al massimo si leggono cinque o sei canti per Cantica, cioè cinque o sei ogni anno, spesso con una spiegazione inadeguata e una comprensione assai confusa.

Non risulta che in questo anno di celebrazioni dantesche siano cambiate le indicazioni ministeriali relative all’insegnamento scolastico della Divina Commedia.

Del resto sul poema sacro grava un colossale fraintendimento, in quanto continua ad essere considerato semplicemente letteratura, mentre – nell’intenzione del suo autore e nella sua essenza – ha uno scopo extraletterario.

Illustrandolo nell’Epistola a Cangrande della Scala, Dante scrive che il suo “fine” è “rimuovere i viventi in questa vita dallo stato di miseria e condurli allo stato di felicità”.

Nientemeno! Non è forse la felicità che gli uomini di tutti i tempi hanno sempre drammaticamente cercato e continuano anche oggi a cercare? Non è il desiderio della felicità che soprattutto agita la giovinezza?

In effetti il protagonista della Commedia passa dallo smarrimento, angosciato e disperato, della selva oscura, alla gioia senza fine che sperimenta quando arriva alla meta, raccontata nel XXXIII canto del Paradiso.

Del resto Dante – soprattutto in quella ventina di “appelli al lettore” che costellano le tre Cantiche –chiede a chi affronta il poema di ripercorrere con lui il suo stesso viaggio, quindi chiede di rivivere l’avventura della conversione. E questa non è un’“interpretazione cattolica”, ma l’unica interpretazione filologicamente fondata del poema dantesco.

Andrea Battistini, docente di Letteratura italiana all’Università di Bologna, ha pubblicato dal Mulino il volume “La retorica della salvezza”, dove sottolinea:

La Commedia dunque è un’opera letteraria che si prefigge uno scopo pratico… posto in luce anche da chi ne ha messo in rilievo le straordinarie qualità poetiche… Nessun’altra opera, sia pure di contenuto teologico… si è mai spinta a tanto, essendo il fine del poema dantesco la salvezza dell’umanità”.

Battistini osserva che “neppure il lettore moderno dovrebbe dimenticare che la rappresentazione dei tre regni ultraterreni non è soltanto descrittiva, e che attraverso di essa si mira a fare cambiare vita. Il giudizio eterno sulle anime dei defunti è la prolessi del giudizio che i viventi sono tenuti a formulare su se stessi”.

Dante “chiede a tutti un’autocritica” e “la conoscenza di sé e del proprio ‘status miserie’” perché seguendo lui, in questo suo cammino di “peccatore redento” che comincia gridando “miserere di me”, si arriva per grazia alla felicità che tutti i viventi desiderano.

Le celebrazioni dantesche di quest’anno hanno messo a fuoco molti dettagli secondari. Ma assai poco questo che è il cuore del poema.

 

Antonio Socci

 

Da “Libero”, 27 dicembre 2021

 

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