Sotto l’articolo pubblico due pagine del mio libro “Dio abita in Toscana” per capire il significato profondo della festa del Corpus Domini

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Oggi per le vie di New York e di altre metropoli americane, simbolo della modernità, si potrà vedere – come accade da alcuni anni – qualcosa di sorprendente: le processioni per la festa del Corpus Domini con migliaia di persone che accompagnano l’ostensorio che contiene l’eucaristia.

In genere molti, per le strade, osservano questo fatto inconsueto, riprendendolo col cellulare o inginocchiandosi o cercando di capire cosa accade. Talora riconoscendo che quel raccoglimento, quella musica, quei canti portano la mente in una dimensione “altra” e – come scrive uno storico dell’arte parlando della bellezza dei grandi capolavori – ci liberano dal “flusso ininterrotto delle cose che passano” per far emergere il desiderio profondo che sta dentro di noi. Facendoci sentire l’eco dell’eterno come una potente “forza di liberazione”.

Qualcuno considera tutto questo un “residuo di medioevo”, altri – di fronte al numero crescente di coloro che partecipano a questi riti – si chiedono: “ma siamo proprio sicuri che il cristianesimo sia finito?”

In effetti bastano le tendenze demografiche per dubitarne (“le coppie religiose hanno molti più figli degli atei” ha scritto James Marriott sul Times): il Pew Research Center stima che saranno i non-religiosi a calare.

Ma – al di là della demografia – il cristianesimo mostra una forza di attrazione sempre nuova. Ce lo dicono diversi segnali. Non solo dall’Africa. Per esempio i dati sull’aumento costante dei battesimi di adulti nella laica Francia: nell’ultima veglia di Pasqua 7 mila persone (31% in più rispetto al 2023), a cui vanno aggiunti 5 mila adolescenti fra gli 11 e i 17 anni (50% in più). In crescita anche il trend del Belgio e della Gran Bretagna.

Ha impressionato pure il pellegrinaggio da Parigi a Chartres che quest’anno ha visto partecipare 15 mila pellegrini.

Del resto l’8 e 9 giugno in Italia si svolgerà il pellegrinaggio da Macerata alla Santa Casa di Loreto (la dimora della Madonna che era a Nazareth), promosso da Comunione e Liberazione: 30 km percorsi di notte da migliaia di persone, perlopiù giovani (nel 2023 furono 20 mila, quest’anno se ne prevedono ancora di più).

L’Anno Santo che si aprirà a Roma il prossimo Natale farà emergere, per tutto il 2025, questo immenso popolo della fede.

La Chiesa che attrae è quella che parla di Dio, che ascolta Gesù Cristo più che gli intellettuali e le star, quella che prega, che indica i sacramenti e la comunità fraterna per vivere felici.

Quella che annuncia con papa Francesco: “non siete qui per caso. Il Signore vi ha chiamati, fin dall’inizio della vostra vita. Ci ha chiamati per nome. Gesù mi ha chiamato per nome. Perché siamo amati. Siamo stati chiamati perché siamo amati. È bellissimo. Agli occhi di Dio siamo figli preziosi, che Egli chiama ogni giorno ad abbracciare e incoraggiare, per fare di ognuno di noi un capolavoro unico e originale”.

Non è la Chiesa dei media, non è il mondo clericale che si occupa di premierato e riforme regionali (per tirare la volata al PD), ma è la Chiesa mistica (nell’accezione di Péguy) che risponde alle più profonde domande dell’uomo sul senso della vita, sulla felicità e sulla morte. Ciò a cui nessun altro sa rispondere. Per questo attrae.

Il caso degli Stati Uniti è interessante perché guida della modernità e dell’Occidente laico. La Chiesa lì non si occupa di questioni e regole parlamentari che riguardano i politici, ma va all’essenziale della vita dell’uomo (per questo probabilmente incide sulla mentalità e sulle scelte di quel Paese).

Lo dimostra anche proponendo il pellegrinaggio che da duemila anni è tradizione dei cristiani perché è metafora del viaggio della vita ed è anche una testimonianza pubblica di fede in Gesù Cristo: è un popolo che prega seguendo il Salvatore.

Infatti non solo si svolgeranno oggi, fra i grattacieli americani, le processioni del Corpus Domini, ma dal 19 maggio (Pentecoste) è in corso il più grande pellegrinaggio eucaristico della storia che si concluderà a Indianapolis dove, dal 17 al 21 luglio, si svolgerà il decimo Congresso eucaristico nazionale.

Sono quattro pellegrinaggi che si svolgono in contemporanea, da luoghi diversi e simbolici, che da costa a costa attraverseranno gli Usa (il più lungo è di 3500 km) toccando città, campus universitari, santuari, luoghi dove hanno vissuto i santi americani, disegnando una croce ideale sul Paese, una benedizione che – in un anno di grandi turbolenze politiche come questo – è significativa: “abbiamo due parole chiave per spiegare il Congresso eucaristico a chi ci chiede cosa sia: incontro e missione, un incontro con Gesù vivo nell’Eucaristia che ci invia in missione come Chiesa”, ha spiegato l’organizzatore.

L’iniziativa rientra nel progetto di rinnovamento eucaristico deciso dalla Conferenza episcopale degli Usa nel 2020. Ma questi grandi gesti di preghiera sempre più richiamano le folle dovunque, dalla Polonia all’Australia, dall’Africa alla Germania, da Medjugorije all’Asia.

Giovedì scorso ho assistito alla processione del Corpus Domini che si è svolta a Siena, dalla basilica di San Francesco alla Cattedrale. Un fiume di persone, in crescita rispetto agli anni passati, ha attraversato di sera la città per arrivare al bellissimo Duomo, tutto illuminato, con le campane che suonavano a festa e il suono dell’organo che accoglieva quel popolo di pellegrini. Una scena di straordinaria bellezza che ha incantato molti stranieri.

Il caso di Siena è significativo perché lì erano portate in processione le Sacre Particole che sono un miracolo eucaristico tuttora in corso. Infatti 223 ostie consacrate nel 1730 – che furono rubate e ritrovate in quell’anno – si conservano incorrotte da allora: un fenomeno scientificamente inspiegabile e periodicamente constatato dagli scienziati (l’ultima ricognizione è del 2014).

Questa sospensione delle leggi naturali fa intuire cos’è l’eucaristia. È quel “varco”, nella prigione della quotidianità, cercato da Eugenio Montale e che un altro poeta, Thomas S. Eliot, definirebbe “il punto di intersezione” dell’eterno con il tempo.

Giovanni Paolo II, in adorazione davanti alle Sacre Particole, esclamò: “è la Presenza”. Cioè il Desiderato, il Salvatore che rimane attraverso i secoli.

 

Antonio Socci

Da “Libero”, 2 giugno 2024

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DA “DIO ABITA IN TOSCANA”

Saliva e fango, lacrime e sangue
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Al centro di tutto: il corpo. Il corpo di Dio. La sua carne e il suo sangue. Il cristianesimo non è una religione (se non in un senso tutto particolare): è un avvenimento storico, un uomo, Dio fatto carne.
Per questo la grande civiltà cristiana fiorita in Toscana celebra la gloria dei corpi.
Gli artisti toscani hanno cercato di raffigurare, render presente, toccare il corpo stesso di Dio, la sua bellezza, quella mani che guarivano tutti, quei piedi che hanno camminato e percorso i deserti per cercare e raggiungere tutti, quell’abbraccio che perdonava tutto e risollevava tutti. Il corpo di quell’uomo che è stato flagellato, macellato e crocifisso per noi. Quel corpo morto che è risorto ed è uscito dal sepolcro. 
Sono stati sue icone anche i santi perché loro – essendo gli amici di Gesù, come gli apostoli – lo rendevano presente nella loro carne (insieme alla carità della Chiesa) come luce e salvezza e anche come divina potenza di miracolo.
(…)
La religiosità popolare ha cercato questo contatto fisico anche attraverso la venerazione delle reliquie (quelle dei santi, ma anche la Sindone, i chiodi della crocifissione), i pellegrinaggi (a cominciare da quelli alle tombe degli apostoli: a Santiago di Compostela e a Roma), i santuari eretti su luoghi di apparizioni, i sacramentali.
I nostri progenitori, che vivevano immersi nella gravosa, faticosa e dolorosa materialità della vita, si aggrappavano a lui, al suo corpo, come naufraghi con tutte le loro pene, o come bambini con le loro speranze. Avrebbero voluto abbracciarlo – come la Madonna, come la Maddalena, come Pietro e Giovanni, come Francesco e Caterina, come i tanti malati, ciechi, lebbrosi, storpi dei Vangeliperché guariva tutti: «E dovunque giungeva, in villaggi o città o campagne, ponevano i malati nelle piazze e lo pregavano di potergli toccare almeno la frangia del mantello; e quanti lo toccavano guarivano» (Mc 5, 56). «Tutta la folla cercava di toccarlo, perché da lui usciva una forza che guariva tutti» (Lc 6, 19), infatti è «in Lui che abita corporalmente tutta la pienezza della divinità» (Col 2, 9).
Per quanto possa sorprendere, ripeto, il cristianesimo è anzitutto una storia di corpi, del corpo umano di Dio. Tanto che Tertulliano poteva affermare: «Caro salutis est cardo» («la carne è il cardine della salvezza»).
Infatti i sacramenti sono segni materiali che ripetono i gesti concreti del Salvatore e che investono e toccano i nostri corpi, così come le mani di Gesù toccavano i malati (e li guarivano), così come le sue braccia avvolgevano nell’abbraccio e i suoi occhi perdonavano e conoscevano gli uomini fino in fondo all’anima e ne avevano misericordia.
Con l’Eucaristia, Cristo si fa addirittura nutrimento dei corpi e realmente si fa mangiare: entra nelle viscere con il suo corpo, il suo sangue, la sua anima e la sua divinità. Si fa assimilare dai mortali, impastandosi con la misera carne degli uomini, per assimilarli a lui. Non solo si è fatto uomo, ma ha voluto impastare se stesso con la nostra stessa carne, malata e in putrefazione, per guarirla. Ecco perché l’«amore di Dio in Cristo ci raggiunge, ci affascina e ci rapisce» (Sacramentum caritatis, n. 35). Ecco perché è irresistibile.
San Giovanni Crisostomo, da vescovo, dice al popolo di Costantinopoli: «Egli diede a coloro che lo desideravano non solo di vederlo ma di toccarlo, di assaporarlo, di mor- dere la sua carne […] Noi assaporiamo colui che è assiso nei cieli e adorato dagli Angeli, ed essi non osano mirarlo mentre noi ce ne cibiamo […] Ritorniamo dunque dalla mensa eucaristica come leoni spiranti fuoco dalle nari, fatti terribili al demonio».

 

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