La Giornata del Tricolore, ieri, è stata sofferta dal Pd: nessun leader del partito ha ritenuto di pronunciare una sola parola. Evidentemente sono imbarazzati da quella bandiera, cioè dal concetto di Patria (parola che invece il presidente Mattarella ha pronunciato) e dall’Italia evocata dal Capo del governo Meloni (“custodire le nostre radici”).

Ma così non si accorgono di regalare al centrodestra i valori che dovrebbero essere di tutti e che sono quelli della Costituzione (l’Italia, la patria, l’identità nazionale, l’interesse nazionale).

Tuttavia questo infortunio non è casuale, perché a Sinistra i suddetti valori sono sempre più spesso sminuiti. Di solito annacquati con l’evocazione dell’Europa e perfino connotati negativamente con il termine “sovranismo”.

Dimenticando che il termine sovranismo rimanda all’articolo 1 della Costituzione repubblicana. È una delle traduzione costituzionali del “patriottismo”, da non confondere con il nazionalismo che rappresenta il suo opposto (mi capita sempre di paragonarli al polmone e alla polmonite).

Ma anche da non sostituire con un cosmopolitismo ideologico e da non svendere al mercato dell’europeismo. Non a caso il giuramento che devono fare i ministri dei governi italiani davanti al Capo dello Stato, per entrare in carica, recita: “Giuro di essere fedele alla Repubblica, di osservarne lealmente la Costituzione e le leggi e di esercitare le mie funzioni nell’interesse esclusivo della Nazione”.

Quell’espressione finale (“nell’interesse esclusivo della Nazione”) non è stata coniata dai “sovranisti”, ma è dettata dalla Legge 23 agosto 1988 n 400 (art. 1) che, a sua volta, viene dalla formula di giuramento utilizzata al tempo del Regno d’Italia.

“Il voto, il proposito di quei vecchi grandi che han fatto la patria; l’Italia avanti tutto! L’Italia sopra tutto!”, così, con un tono che oggi direbbero “sovranista”, si concludeva il famoso discorso di Giosuè Carducci, il 7 gennaio 1897, a Reggio Emilia per il centenario della nascita del Tricolore.

Peraltro le radici vere del Tricolore sono anche più antiche e significative della repubblica Cispadana del 1797.

Come ho scritto altre volte il tricolore, nella nostra tradizione letteraria, religiosa e artistica, evoca i tre colori delle virtù teologali del cattolicesimo: fede (bianco), speranza (verde) e carità (rosso).

Lo riconobbe lo stesso laicissimo Carducci che, in quel celebre discorso, dopo aver tuonato contro il “dispotismo” straniero e aver esaltato l’indipendenza e la libertà dell’Italia, spiegò che i tre colori della bandiera sono quelli delle “virtù onde la patria sta e sì augusta; il bianco, la fede serena alle idee che fanno divina l’anima nella costanza dei savi; il verde, la perpetua rifioritura della speranza a frutto di bene nella gioventù de’ poeti; il rosso, la passione ed il sangue dei martiri e degli eroi”.

Carducci, che ben conosceva Dante, traduceva così, in chiave laico-patriottica, la rappresentazione dantesca delle tre virtù teologali(definite dalla Chiesa) che danzano nel Paradiso terrestre vestite di bianco, di rosso e di verde (Purg. XXIX 121-129). Che sono i tre colori di cui anche Beatrice sarà vestita (Purg. XXX 31-33).

Lo stesso simbolismo cromatico delle tre virtù si trova nel Giudizio Universale di Michelangelo, nella Cappella Sistina, e anche in altre opere come la “Maestà” di Ambrogio Lorenzetti (a Massa Marittima). Quindi è radicatissimo nella nostra tradizione religiosa e artistica.

Il Carducci ricompose nel significato della bandiera l’identità religiosa e quella laica della nazione italiana ed è significativo che ciò sia avvenuto per la mediazione di quel Poema sacro dantesco che è al tempo stesso fondamento dell’identità nazionale (anzitutto linguistica), culmine della storia letteraria di tutti i tempi e capolavoro cattolico.

Del resto a spiegare il fondamento religioso del patriottismo sarà un Papa, Giovanni Paolo II, che era culturalmente lontano da Carducci, ma fu lui stesso un patriota.

Egli formulò, nel suo pontificato, una teologia delle nazioni che è una risposta potente al globalismo degli ultimi decenni, disgregatore delle identità e degli Stati come il comunismo.

Questo insegnamento (che, fra l’altro, è riecheggiato anche nel magistero di papa Francesco) è ben argomentato nel suo libro “Memoria e identità”, una sorta di testamento spirituale, in cui Karol Wojtyla spiega che “l’espressione ‘patria’ si collega con il concetto e con la realtà di ‘padre’(pater). La patria in un certo senso si identifica con il patrimonio, cioè con l’insieme di beni che abbiamo ricevuto in retaggio dai nostri padri”. Ma “significativamente molte volte si usa, in questo contesto, l’espressione ‘madrepatria’. Per esperienza personale tutti sappiamo in quale misura la trasmissione del patrimonio spirituale si compia per mezzo delle madri”. Dunque “nel concetto stesso di patria, è contenuto un profondo legame tra l’aspetto spirituale e quello materiale”.

Giovanni Paolo II fa discendere il patriottismo dal Decalogo: “si colloca nell’ambito del quarto comandamento, il quale ci impegna ad onorare il padre e la madre. È infatti uno di quei sentimenti che la lingua latina comprende nel termine pietas, sottolineando la valenza religiosa sottesa al rispetto e alla venerazione dovuti ai genitori”.

Non è un’idea personale di Wojtyla. Lo afferma lo stesso Catechismo della Chiesa Cattolica: “Il quarto comandamento si rivolge espressamente ai figli in ordine alle loro relazioni con il padre e con la madre… Chiede di tributare onore, affetto e riconoscenza ai nonni e agli antenati. Si estende infine ai doveri (…) dei cittadini verso la loro patria” (n. 2199).

Quindi per i cattolici il patriottismo è addirittura un comandamento.

 

Antonio Socci

 

Da “Libero”, 8 gennaio 2024

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