“Vi sono degli stati sociali in cui governano i più intelligenti: è il caso dei babbuini”.
Così diceva Konrad Lorenz. Il celebre etologo evidentemente non conosceva le regioni rosse italiane e i nostri governi di sinistra.
Anche lì governano i più intelligenti. Che sono anche i più bravi, i più onesti e i più colti. Sono come gli Elfi del “Signore degli anelli”: alti, belli, biondi e con gli occhi azzurri. Hanno il dono della levitazione, dell’ubiquità, camminano sulle acque, trasformano l’acqua in vino ed elargiscono felicità. Loro non hanno il peccato originale. Sono innocenti come vergini appena create. Dove camminano i capi dei Ds toscani, emiliani o umbri crescono tosto violette e tulipani. Nei loro fiumi scorrono latte e miele e la natura produce spontaneamente ogni genere di frutto o alimento. Il leone dorme con la gazzella e dovunque tintinnano cembali.
Mentre altrove tintinnano manette. Infatti in questo Bengodi che sono le regioni rosse dove i “comunisti” (come li chiama brutalmente Berlusconi) comandano da 60 anni (dicasi sessant’anni!) non si ricordano scandali, inchieste della magistratura, abusi e corruttele scoperchiate.
Un potere così lungo e sempre senza una forte opposizione, né un ricambio, di solito, secondo gli studiosi di scienza politica, ha le sue degenerazioni, i suoi angoli bui, i suoi abusi.
E’ una costante della storia. Sempre e dovunque. Ma questo accade solo dove governano delle creature umane.
Dove invece comandano loro, i Sublimi Maestri Perfetti (per dirla con Filippo Buonarroti), no. Lì non c’è pecca, nessuna ombra, né difetto. Mai una inchiesta della magistratura, di quelle che hanno devastato le altre aree politiche, ha portato alla luce scandali.
Evidentemente perché sono immacolati come suore orsoline, puri e senza macchia come Cherubini e Serafini.
Sono un modello in tutto, un esempio, un ideale morale, una casta superiore.
E quando raramente accade – come in questi giorni in Umbria – che una procura di una regione rossa indaghi su qualche presunto malaffare (ovviamente tutto da dimostrare perché siamo garantisti, non è vero?), ecco che vengono magicamente tutelati i sacrosanti diritti delle persone, ecco che dalle intercettazioni e dai verbali non trapelano nomi.
Si sa che è stato arrestato un “costruttore legato alle coop rosse”, come scrive il Corriere della sera e che si indaga su presunti “finanziamenti illeciti per i politici”. Ma niente nomi e cognomi, né fatti o misfatti. Nulla trapela. Ecco perché il Corriere – giustamente – elogia questa inedita correttezza, che in un’Italia dello sputtanamento generale, si distingue e si fa apprezzare.

Non posso che condividere in toto l’editoriale del Corriere: “Allora è possibile il rispetto della riservatezza delle indagini. Basta fare attenzione a ciò che accade a Perugia.
C’è un’inchiesta in corso e la magistratura che indaga protegge i nomi che, magari casualmente, sono stati anche solo sfiorati nel corso di una conversazione. A Perugia non in altre Procure. A Perugia, dove pure si vocifera di un rapporto fra gli affari e la politica, le vociferazioni non sono alimento di un polverone… A Perugia i nomi sono tutelati. A Perugia non si mette in funzione il ventilatore”.
E dunque giù il cappello. Lo diciamo con sincerità e vera ammirazione. Però sarei più ottimista del Corriere. C’è stato anche un altro caso in cui è scattato questo stesso rispetto dei diritti delle persone. Riguardava i vertici dei Ds (ma ovviamente è solo un caso).
Ricordate ciò che è successo in questo anno di terremoti telefonici? E’ cominciato l’estate scorsa con le intercettazioni dei “furbetti del quartierino” che hanno travolto tutti, dalla Banca d’Italia a politici, amici e parenti. Poi la sarabanda è continuata con un altro giro di intercettazioni: Moggi e il calcio. Un altro fiume di conversazioni private è finita in pasto ai giornali. Infine è arrivato il caso Vittorio Emanuele, migliaia di pagine di intercettazioni ed è ricominciata la “pioggia” di fango che ha investito pure la Rai e la politica.
Eppure in questo anno di diluvio c’è stata almeno un’eccezione in cui si è aperto l’ombrello e si è mirabilmente salvaguardata la riservatezza: bisogna compiacersene. Riguarda le telefonate tra il capo dell’Unipol Consorte e i capi dei Ds.
Mai finite in pasto ai giornali. A dire la verità l’estate scorsa il segretario Fassino, preso da eroico slancio di trasparenza, a viso aperto, aveva dichiarato: “Vengano resi noti i testi delle telefonate, così tutti ne conosceranno il contenuto”.
Ma ai primi di gennaio sui giornali fece capolino una sua frasetta detta al telefono a Consorte (“e allora, siamo padroni di una banca?”) e, in questo terremoto, il bravo Fassino capì che occorreva opporsi coraggiosamente alla barbarica usanza di veder riportate le telefonate private sui giornali.
Subito la procura di Milano aprì un’inchiesta su quella fuga di parole e Fassino si costituì parte offesa. I suoi legali sottolinearono “la straordinaria gravità dell’accaduto che costituisce reato per la violazione del segreto istruttorio che ha innescato, in particolare con riferimento all’on. Fassino un’ampia e aggressiva campagna polemica”.
I Ds denunciarono il complotto e l’aggressione. Che io sappia non è uscita più una sola virgola, nulla di nulla.
Giampaolo Pansa che pure dei Ds era simpatizzante – sull’Espresso scrisse un’esortazione alla glasnost. Per lui l’unico modo che i Ds avevano per fare chiarezza era “dire tutta la verità sulla scalata alla Bnl e sui rapporti con i due manager che l’hanno ideata e attuata, Gianni Consorte e Ivano Sacchetti. A tutt’oggi, nessuno del vertice diessino si è deciso a raccontarla per intero”.
Pansa tornava sulle intercettazioni: “prima di tutto è lampante che mancano molti tasselli… Infatti non conosciamo il testo di molte intercettazioni sul telefono di Consorte. Per restare agli interlocutori diessini, i colloqui di Fassino con il capo dell’Unipol sarebbero ben diciassette: ne è stata pubblicata una e ne rimangono altre sedici. Poi ci sono i colloqui tra Consorte e D’Alema: ce lo ha detto lo stesso presidente della Quercia. Ci sono le telefonate di Nicola Latorre, collaboratore di D’Alema. Infine quelle di Ugo Sposetti, il tesoriere dei Ds: forse sono più dell’unica conosciuta”.
Pansa chiedeva di pubblicare tutto. Ma non uscì niente. Bisogna elogiare lo squisito rispetto della privacy e la mirabile tutela dei diritti individuali.
E’ stato un sacrosanto esempio di correttezza, come deve accadere in un Paese serio.
Dove la giustizia è uguale per tutti. Come l’informazione… O no?

Fonte: © Libero – 24 giugno 2006

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