Dev’essere stato sgradevole, per Eugenio Scalfari, vedere la pagina che sabato scorso apriva il settore cultura del suo quotidiano a proposito dei Guf (Gruppi universitari fascisti) del Ventennio. E sarebbe molto interessante se oggi che è un monumento vivente del giornalismo e ama dedicarsi a grandi temi filosofici, Scalfari volesse darsi pure alla memorialistica, ricostruendo la sua esperienza di quegli anni (come fecero – per fare esempi a lui vicini, pur con storie diverse – Norberto Bobbio ed Enzo Forcella).

Con Scalfari discussi – forse troppo polemicamente – di quelle vicende nel 1993, dalle colonne dell’ “Indipendente” di Vittorio Feltri (lui rispose dalla sua Repubblica). Erano usciti due volumi (la quarta parte, “Mussolini l’alleato”) della grande opera di Renzo De Felice sul fascismo edita da Einaudi. A pagina 888 si narrava una vicenda sorprendente che riguardava proprio Scalfari. Cosa c’entrava lui, che nel ’43 aveva 19 anni, con la storia di Mussolini?
Certo, si conoscevano da tempo gli articoli che il giovane Eugenio aveva pubblicato su “Roma fascista”. Negli anni Settanta e Ottanta – al culmine del suo successo politico-editoriale – quegli articoli giovanili gli furono variamente rinfacciati. In essi egli esprimeva ovviamente le idee dei giovani del suo tempo, nati sotto il regime, sentendo solo quella campana. Scalfari aveva 18-19 anni e la precoce età obiettivamente è una seria attenuante. Del resto tanti politici e intellettuali dell’Italia democratica e repubblicana avevano mosso i primi passi sotto il regime, fra Littoriali, Guf e giornali dei Guf.
I quali in genere non avevano un gran peso. Ma Scalfari finirà nei volumoni di De Felice perché – già allora coltivando grandi ambizioni e disponendo di talento – firmò un pezzo, il 10 dicembre 1942, che provocò una grana tra Farinacci e il Duce. Nientemeno. Era intitolato “L’ora del Partito. Clima nuovo”. Il giovane Scalfari, richiamandosi alla “voce del Capo”, invitava i giovani a rinnovare il Partito Fascista, in appoggio al nuovo segretario, Aldo Vidussoni, e in polemica con certi vecchi gruppi di potere.

L’articolo non passò inosservato. Il potente Farinacci – da tempo messo ai margini da Mussolini – si sentì nel mirino e, seccato per quell’attacco, scrisse una lettera irata a “Roma fascista” per replicare a “Guglielmo” (sic!) Scalfari affermando che lui – uno della prima ora – non intendeva prendere lezioni di fascismo da dei giovincelli, né essere considerato un intralcio perché, pur avendo le proprie idee, aveva sempre obbedito al Capo: “A noi si può muovere l’addebito di aver obbedito, ma non di essere dei conservatori anchilosati e arteriosclerotici.. E per chiudere: perché i giovani si agitano ancora, quando essi hanno conquistato la Direzione del Partito?”.
E’ chiaro da quest’ultima battuta che a Farinacci non interessava tanto polemizzare col giovanotto Scalfari, quanto prendere di mira il segretario del partito Vidussoni, che riteneva l’ispiratore di quegli articoli, ma soprattutto attaccare Mussolini ricordando che era lui ad aver sempre deciso tutto.

Questa replica non fu pubblicata, perché Vidussoni – a cui finirono le carte – ne fece oggetto di un “Appunto per il Duce” e mise tutto a tacere. Farinacci, visto l’esito, scrisse di nuovo a “Roma fascista” sbeffeggiando quei giovanotti: “voi dite di essere fanaticamente Mussoliniani” e “noi in una sola cosa ci siamo differenziati da voi: nel pubblicare talvolta qualche articolo un po’ vivace, senza chiedere la preventiva approvazione alle nostre gerarchie”. La vicenda, nota De Felice, “mise a soqquadro i vertici del partito”.

Nel 1993 trovai all’Archivio centrale dello Stato l’ ”Appunto per il Duce” di Vidussoni – segnalato da De Felice – e lo pubblicai sull’Indipendente ricostruendo l’incidente con toni sarcastici. Così Scalfari se la prese. Nella sua risposta su Repubblica scrisse che aveva già chiarito le sue vicende “che sfociarono infine nella mia espulsione dal Guf”.
Quindi ripubblicò una pagina del famoso libro di Ruggero Zangrandi, “Il lungo viaggio attraverso il fascismo”, uscito nel 1962, in cui si dava notizia dell’evoluzione antifascista di Scalfari e della sua espulsione dal Guf “già nel ‘42”. Se si considera che l’articolo che fece infuriare Farinacci era del 10 dicembre 1942 si deduce che tale “espulsione” fu dovuta a quella polemica.

Ma è proprio così? Nel 1987 uscì l’autobiografia di Ugo Indrio, “Da ‘Roma fascista’ al ‘Corriere della sera’ ”. Indrio, che era proprio il direttore del giornale del Guf in quei mesi, ricostruisce precisamente il caso e conclude: “Ho letto nel libro di Zangrandi che Eugenio Scalfari era stato espulso dal Guf già nel ’42. Non so da chi Zangrandi lo abbia appreso; non credo da Scalfari; ma questi non subì alcun provvedimento disciplinare da parte del Guf; non seppe nulla – almeno da me – delle ire di Farinacci (che d’altronde non ne chiese la punizione, come aveva fatto con coloro che lo attaccarono su ‘Roma Fascista’ nel 1941), e fino al 24 giugno del ’43 collaborava ancora a ‘Roma fascista’, nel numero 33, il terzultimo prima della fine” (il mese dopo, il 25 luglio 1943, con la seduta del Gran Consiglio, finisce il regime fascista).
Indrio aggiunge: “Questa circostanza è in contraddizione con quanto scrive Paolo Murialdi nel libro ‘Perché loro’ (1984), dove accenna ad una espulsione dal Guf disposta nel ’42 da Scorza, vicesegretario del Pnf, ed anche, purtroppo, con quanto lo stesso Scalfari scrisse ad Arrigo Benedetti (leggere ‘La sera andavamo in via Veneto’, Mondadori 1986, p. 258). Forse Zangrandi lo seppe da Calvino, amico di Scalfari fin dagli studi liceali, fatti insieme a San Remo. Ma anche di Calvino – scrittore che io stimo più di molti altri – devo dire che fino al 1943 egli collaborò alla terza pagina di ‘Roma fascista’; un suo elzeviro apparve il 22 aprile del ’43; e ne sarebbe uscito certamente un altro che è rimasto nelle mie mani”.

Difficile capire come andarono le cose. Zangrandi parla addirittura della fondazione di una “organizzazione cospirativa, articolata in cellule di 10-15 elementi” di cui – a quanto sembra – avrebbero fatto parte pure Scalfari ed Enzo Forcella. Sarebbe interessante saperne di più. Forcella – su quei mesi – successivamente scrisse: “non ci ponevamo neppure il problema dell’antifascismo”. Non solo. Forcella (che sarà tra le grandi firme di Repubblica), a proposito della “generazione dei Littoriali”, riabilitata da Zangrandi, fu molto netto: “Magari c’erano davvero tutte le allusioni critiche, lo spirito di fronda, il doloroso travaglio che nei decenni successivi i volenterosi esegeti vi avrebbero ritrovato; ma io non li vedevo”.
Scalfari invece – nella risposta al sottoscritto del 1993 – affermò che “il libro di Ruggero Zangrandi resta l’analisi storica più approfondita di quelle che furono le vicende di una generazione la quale scoprì da sola l’antifascismo, attraverso un tormentato processo di chiarificazione storica e politica”.

Ebbene sabato scorso la pagina di cultura della Repubblica aveva questo titolo: “La vera storia dei Guf. Un giovane storico rivede il teorema Zangrandi. Niente fronda antifascista”. Il libro in questione, “Lo spirito gregario”, di Simone Duranti, è appena uscito. Repubblica ha proposto anche un’intervista allo storico Enzo Collotti il quale dice: “I Guf non solo non furono ‘covi di antifascismo’, ma ebbero un ruolo politico e culturale centrale per il regime, almeno nelle aspirazioni dei protagonisti”.
Collotti invita – giustamente – a non fare il processo a quella generazione, ma conclude: “(I Guf) costituivano un prezioso trampolino di lancio. Sarebbe interessante verificare gli esiti di questi percorsi. Dove sono finiti quei giovani? Che cosa è rimasto di quella formazione nella classe dirigente italiana del dopoguerra?”

Il dibattito è aperto. O no?

Fonte: © Libero – 3 aprile 2008

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