E’ dal 15 marzo 2006 che Paolo Pillitteri ripete nei suoi articoli la stessa battuta: Forza Italia voleva essere un partito liberale “di massa” ed è diventato un partito liberale “di messa”. Forse non ha ancora trovato qualcuno che si sia accorto del suo strepitoso umorismo, perciò continua a ridirla.
E’ il momento – perché Pillitteri è intelligente e lo merita, e anche per evitare il protrarsi della gag – di prenderlo sul serio. E di consigliargli un libro appena uscito: “Dialogo su Dio”, il carteggio (1941-1952) fra Benedetto Croce e Maria Curtopassi, curato da Giovanni Russo per le edizioni Archinto. Non solo per constatare quanto si avvicinò a Dio il “papa” della cultura laica nazionale. Ma anche per riflettere sulla vera cultura laica.
“Puro filosofo quale sono” scriveva Croce “io stimo che il più profondo rivolgimento spirituale compiuto dall’umanità sia stato il cristianesimo; e il cristianesimo ho ricevuto e serbo, lievito perpetuo, nella mia anima”.

La battuta polemica di Pillitteri infatti è rivolta ad alcuni esponenti di Forza Italia per le loro posizioni sulla legge 40 e la bioetica. Ma più in generale esprime il mal di pancia di un certo mondo laico-radicale che ritiene Berlusconi e il centrodestra troppo attenti alla Chiesa e ai “valori non negoziabili” dei cattolici. Cosa che in effetti ha dato alla Chiesa italiana un peso politico assai consistente.
E’ una delle caratteristiche nuove e da studiare del centrodestra che si è formato in Italia da 13 anni a questa parte, dopo la fine della Dc. Ma non so quanto ne siano coscienti i protagonisti. Spesso si ha la sensazione che la scelta sia dovuta a ragioni tattiche, alla formazione personale dei leader, alla collocazione centrale dei cattolici nel mercato elettorale o al radicamento di Forza Italia nel ceto medio ex democristiano. Berlusconi ha sempre evocato, come ispiratore delle sue posizioni antistataliste, don Luigi Sturzo il cui pensiero rappresenta in effetti un felice punto di incontro fra liberismo e dottrina sociale della Chiesa. Ma Sturzo è un cattolico.

Intellettuali come Marcello Pera e Antonio Martino hanno tentato di ancorare Forza Italia a grandi autori liberali come Hayek e Popper. Ma i laici italiani si sentono piuttosto figli di una tradizione anticlericale di origine risorgimentale. Quello che non è mai stato capito (dentro Forza Italia e fra i critici come Pillitteri) è che l’alleanza fra cultura liberale e pensiero cattolico ha in realtà un padre eccezionale proprio nel mondo laico italiano, in colui che è stato per decenni l’autentico “papa” laico italiano, nel filosofo che rappresenta per antonomasia la cultura laica italiana: Benedetto Croce.
E’ sorprendente che Forza Italia, accusata spesso di non avere una cultura e di essere un partito improvvisato, aziendale, senza radici, non abbia mai indicato in Croce un suo padre nobile. Avrebbe potuto legare la sua politica modernizzatrice (talvolta anche troppo), alla più tradizionale cultura laica del Paese e al pensiero cattolico. Candidandosi a rappresentare “la” cultura italiana per eccellenza.

I pochi accenni a Croce sono stati fatti da un intellettuale “amico di Berlusconi”, ma molto autonomo come Giuliano Ferrara, che segue un suo sentiero personale. Da “ateo devoto” ha ricordato, proprio durante il referendum sulla legge 40, il celebre saggio di Croce “Perché non possiamo non dirci ‘cristiani’ ”, dicendosi in buona compagnia. Ma Croce forse meriterebbe un recupero pieno dalla politica. Quel saggio, che fece tanto scalpore, fu scritto dal filosofo laico nel 1942, in piena “seconda guerra mondiale”, quando stavano arrivando dolorosamente al pettine tutti i nodi delle ideologie moderne. Il “Carteggio” con la Curtopassi mostra ora il ricco retroterra intellettuale di quel saggio. Porta alla luce la lunga riflessione religiosa dell’ultimo Croce.
Nelle macerie dell’Europa, devastata dalla barbarie dei totalitarismi e della guerra più sanguinosa della storia, risultava chiaro che il cristianesimo (con l’umanesimo che da esso era nato) era la luce nelle tenebre. La riflessione di Croce merita di essere riproposta oggi, che l’umanesimo sta andando definitivamente a ramengo, a beneficio di chi caldeggia il matrimonio fra cultura liberale e tradizione cattolica. E anche a beneficio di chi l’avversa. Croce sosteneva che dirsi cristiano per un laico che vive in questa civiltà “è semplice osservanza della verità” e che “il Cristianesimo è stato la più grande rivoluzione che l’umanità abbia mai compiuta: così grande, così comprensiva e profonda, così feconda di conseguenze, così inaspettata e irresistibile nel suo attuarsi, che non meraviglia che sia apparso o possa ancora apparire un miracolo, una rivelazione dall’alto, un diretto intervento di Dio nelle cose umane (…). Tutte le altre rivoluzioni, tutte le maggiori scoperte che segnano epoche nella storia umana, non sostengono il suo confronto”.

Dietro Croce andò perfino un altro campione del pensiero laico come Federico Chabod che nella sua “Storia dell’idea d’Europa” scrisse: “Noi siamo cristiani, e non possiamo non esserlo: lo ha luminosamente provato, or è poco, Benedetto Croce. Non possiamo non esserlo, anche se non seguiamo più le pratiche di culto, perché il Cristianesimo ha modellato il nostro modo di sentire e di pensare in guisa incancellabile (…). Anche i cosiddetti ‘liberi pensatori’, anche gli ‘anticlericali’ non possono sfuggire a questa sorte comune dello spirito europeo”.
Su questa linea, se vogliamo gettare uno sguardo oltre Ventimiglia, troviamo altri grandi intellettuali laici come Karl Lowith che nell’opera “Da Hegel a Nietzsche” scrive: “Il mondo storico in cui si è potuto formare il ‘pregiudizio’ che chiunque abbia un volto umano possieda come tale la ‘dignità’ e il ‘destino’ di essere uomo, non è originariamente il mondo, oggi in riflusso, della semplice umanità, avente le sue origini nell’ ‘uomo unversale’ e anche ‘terribile’ del Rinascimento, ma il mondo del Cristianesimo, in cui l’uomo ha ritrovato attraverso l’Uomo-Dio, Cristo, la sua posizione di fronte a sé e al prossimo. L’affermazione che ‘noi tutti’ siamo uomini è determinata quindi dall’umanità prodotta dal Cristianesimo, in unione con lo stoicismo”.
Si potrebbe aggiungere pure un simbolo del neopragmatismo americano come Richard Rorty, secondo cui oggi “se si guarda a un bambino come a un essere umano, nonostante la mancanza di elementari relazioni sociali e culturali, questo è dovuto soltanto all’influenza della tradizione ebraico-cristiana e alla sua specifica concezione di persona umana”.

Peraltro Croce non si limitò a una riflessione storico-filosofica, ma ne trasse le conseguenze politiche quando – alla vigilia dello scontro epocale del 18 aprile 1948 – varò, in appoggio a De Gasperi, un manifesto contro i nuovi e i vecchi totalitarismi. Usciva 24 anni dopo il suo Manifesto degli intellettuali antifascisti. E dopo il trionfo della Dc, quando i suoi amici liberali, con la puzza al naso, lamentavano la vittoria clericale, Croce ribatteva provocatoriamente: “Beneditele quelle beghine, perché senza il loro voto oggi noi non saremmo liberi”. Cosa che va ricordata anche ai Pillitteri di oggi.
L’asse intellettuale e politico fra De Gasperi-Croce fu – secondo Augusto Del Noce – il vero “senso del centrismo” che ricostruì l’Italia materialmente e moralmente. Fu cioè il fondamento della più straordinaria stagione politica italiana, quella a cui dobbiamo tutto. E dunque come si può realizzare una nuova stagione comune fra liberali e cattolici senza recuperare Croce?

Fonte: © Libero – 27 settembre 2007

Print Friendly, PDF & Email