Proprio poche ore dopo l’uscita nelle edicole di “Libero” con questo editoriale, papa Bergoglio ha fatto la sua consueta conferenza stampa in aereo. Come sempre ne ha dette di cotte e di crude. Ma qui mi interessa riprendere una sola cosa: sembra che abbia ringraziato l’Italia per quello che ha fatto nell’accoglienza dei migranti e pare abbia riconosciuto che un governo deve essere “prudente” e ogni Paese ha diritto a regolare i flussi migratori in base alle sue possibilità.  E’ la conferma – arrivata in tempo reale – che avevamo visto giusto: la sua sfrenata campagna per abbattere le frontiere e permettere un’emigrazione di massa ha avuto un riscontro pessimo nell’opinione pubblica. Così Bergoglio – che ragiona come i politici e cerca anzitutto il consenso – è corso ai ripari con questa tardiva e parziale marcia indietro. Resta però il nefasto messaggio dominante del suo pontificato, che in questi anni  ha influenzato pessimamente i govern italiani, che si sono arresi di fronte all’immigrazione di massa.

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La continua, insistente, ossessiva predicazione di papa Bergoglio a favore dell’emigrazione che esige dall’Italia e dall’Europa di spalancare le frontiere a milioni di migranti, gli ha fatto perdere le simpatie di una grossa fetta di opinione pubblica. Non solo quella più popolare che soffre maggiormente l’irrompere di tante comunità straniere.

Già da tempo sono intervenuti alcuni studiosi laici come Paul Collier, docente di Economia e Politiche pubbliche a Oxford e autore di “Exodus”, lo studio fondamentale sul fenomeno migratorio.

Collier, su Catholic Herald, scrive, con riferimento a Bergoglio, che “le reazioni cristiane di fronte ai rifugiati e alle migrazioni sono caratterizzate da una certa confusione morale, e tutto ciò mentre non riescono ad affrontare le necessità reali”.

Insieme al “cuore” occorre “la ragionevolezza”, altrimenti si fanno danni. Infatti lo studioso ha mostrato che la politica delle porte aperte ha danneggiato proprio i Paesi di provenienza dei migranti, perché li ha privati delle energie migliori per la ricostruzione.

Inoltre danneggia i poveri e i lavoratori dei paesi europei perché lo “stato sociale” non può provvedere a loro e a milioni di stranieri bisognosi che arrivano. Non ci sono le risorse. E Collier afferma che non si ha diritto di definire “razzismo” le preoccupazioni dei nostri poveri.

Le frontiere degli stati nazionali – ha aggiunto Collier in polemica con certi strali bergogliani – “non sono abomini morali”. Sono, come i muri di ogni abitazione per le nostre famiglie, la protezione della vita pacifica di una comunità.

E il diritto di emigrare dal proprio paese non significa che si ha automaticamente diritto di immigrare dove si vuole.

Più sbrigativo e drastico è stato l’economista e scrittore Geminello Alvi secondo cui Bergoglio promuove una immigrazione “scriteriata” per l’abitudine dei gesuiti di fare i “filantropi coi soldi altrui”.

Alvi aggiunge che la predicazione bergogliana è una “disgrazia quotidiana” che ha messo “il cattolicesimo ormai in liquidazione”.

Ma ormai sempre più spesso sono i cattolici a contestare la fissazione politico-teologica di Bergoglio sull’emigrazione.

L’altroieri è stata pubblicata da uno scrittore cattolico francese, Henri de Saint-Bon, esperto di Islam e di Chiese orientali, autore di vari libri, una “Lettera aperta a papa Francesco” che merita di essere considerata attentamente.

Saint-Bon, con un tono molto rispettoso, esprime il suo “smarrimento” di fronte alle “recenti dichiarazioni” del papa “sull’immigrazione e l’Europa”.

Perché hanno “urtato” la sua sensibilità di cattolico e hanno “ferito molto profondamente i francesi fieri della loro nazione” che essi sentono il dovere di “difendere e proteggere”.

L’autore afferma che le dichiarazioni bergogliane “ignorano il concetto di nazione costitutivo naturale di ogni società”.

Inoltre “mostrano un certo disprezzo dell’Europa, che in 2000 anni di storia ha donato tanti santi” e “incoraggiano le popolazioni africane e altre ancora a sradicarsi, con tutti i drammi umani che ne derivano”, per “inserirsi con forza nel midollo dei paesi da loro scelti”.

Saint-Bon riconosce, come ogni buon cattolico, che i credenti hanno il dovere della carità:

“essa è dovuta, mi pare, allo straniero di passaggio o temporaneo. Ma non sapevo che consistesse nel dar da mangiare e da bere in modo duraturo a colui che irrompe a casa vostra e che vi impone le sue leggi. Che cosa farà Vostra Santità quando dei migranti verranno ad installarsi, contro il Suo volere, anche all’interno del Vaticano, o all’interno di Casa Santa Marta, e Le imporranno la costruzione di una moschea e l’osservanza del ramadan? Certo, non tutti i migranti sono musulmani, ma molti lo sono, con la volontà, alla lunga, di imporre l’islam in Europa”.

Lo scrittore fa presente che in nessun passo delle Sacre Scritture si incoraggia una cosa simile: “Giova forse ricordare che l’enciclica Rerum Novarum qualificava come nocivi i trasferimenti di popolazioni? Infine il Catechismo della Chiesa Cattolica, precisa nel suo paragrafo 2241, che: ‘L’immigrato è tenuto a rispettare con riconoscenza il patrimonio materiale e spirituale del paese che lo accoglie, a obbedire alle sue leggi, e a contribuire ai suoi oneri’. Dispiace che Vostra Santità non l’abbia ricordato”.

Peraltro sia Giovanni Paolo II che Benedetto XVI hanno sempre affermato che il primo valore da difendere è “il diritto di non emigrare” perché dover lasciare la propria terra è un’ingiustizia, non è un bene come fa credere Bergoglio.

Nei giorni scorsi c’è stata anche una gaffe del papa argentino che ha evidenziato la sua rottura rispetto al magistero di Benedetto XVI che è quello di sempre della Chiesa.

Egli infatti – nel suo recente “Messaggio per la giornata mondiale del migrante e del rifugiato 2018”, che è passato sui media come una sponsorizzazione dello “Ius soli” – ha cercato di legittimarsi con l’autorità di Benedetto XVI, sostenendo che il suo predecessore, nell’enciclica “Caritas in Veritate”, avrebbe detto che “la sicurezza personale” è da “anteporre sempre” alla “sicurezza nazionale”.
Ecco le sue parole: “Il principio della centralità della persona umana, fermamente affermato dal mio amato predecessore Benedetto XVI, ci obbliga ad anteporre sempre la sicurezza personale a quella nazionale”.

E’ stato un cattolico ortodosso come Luigi Amicone a eccepire che l’enciclica di Benedetto XVI non afferma questo.

Anzi, Ratzinger, nel passo evocato da Bergoglio, dice una cosa del tutto diversa:

“Possiamo dire che siamo di fronte a un fenomeno sociale di natura epocale, che richiede una forte e lungimirante politica di cooperazione internazionale per essere adeguatamente affrontato. Tale politica va sviluppata a partire da una stretta collaborazione tra i Paesi da cui partono i migranti e i Paesi in cui arrivano; va accompagnata da adeguate normative internazionali in grado di armonizzare i diversi assetti legislativi, nella prospettiva di salvaguardare le esigenze e i diritti delle persone e delle famiglie emigrate e, al tempo stesso, quelli delle società di approdo degli stessi emigrati”.

Amicone commenta:

“Si capisce chiaramente che in Benedetto XVI non vi è alcuna contrapposizione tra persone migranti e ‘società di approdo degli stessi emigrati’. Al contrario. Egli richiama la ‘prospettiva di salvaguardare’ sia ‘le esigenze e i diritti delle persone e delle famiglie emigrate’, sia ‘al tempo stesso, quelli delle società di approdo degli stessi emigrati’ ”.

Ma il magistero di Benedetto XVI è stato anche più chiaro. Nel discorso ai Sindaci dell’Anci, all’udienza del 12 marzo 2011, disse:

“Oggi la cittadinanza si colloca, appunto, nel contesto della globalizzazione, che si caratterizza, tra l’altro, per i grandi flussi migratori. Di fronte a questa realtà bisogna saper coniugare solidarietà e rispetto delle leggi, affinché non venga stravolta la convivenza sociale e si tenga conto dei principi di diritto e della tradizione culturale e anche religiosa da cui trae origine la Nazione italiana.

Questa necessità di difendere “la tradizione culturale e anche religiosa da cui trae origine la Nazione italiana” è centrale nell’insegnamento di Benedetto XVI. Ed è pressoché inesistente nei continui interventi di Bergoglio sull’emigrazione.

Infine è inesistente, in Bergoglio, il riconoscimento della laicità dello Stato che ha compiti e doveri (di difesa del territorio, della sicurezza e del benessere popolo italiano), diversi rispetto alla Chiesa che deve insegnare l’amore al singolo cristiano.

La Chiesa fa il suo mestiere annunciando il Vangelo a ogni persona, ma – diceva il card. Giacomo Biffi – lo Stato deve fare lo Stato che è provvedere al bene collettivo dei suoi cittadini, all’ordine civile e alla prosperità.

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Antonio Socci

Da “Libero”, 11 settembre 2017

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