La fine dell’estate è la fine dell’anno (sociale). Settembre è una sorta di triste capodanno che induce a lanciare uno sguardo al passato e uno al futuro. Nelle canzoni-poesie di Francesco Guccini è “il mese del ripensamento sugli anni e sull’età”.

Ce ne sono altre di canzoni settembrine – italiane e straniere – e sono tutte all’insegna della malinconia. Di qualcosa che si è perduto o che si sogna.

Di sicuro è un momento dell’anno che acutizza quello spaesamento che è tipico della condizione umana, con l’insoddisfazione, con la nostalgia e con l’attesa di un qualche cambiamento che non si sa nemmeno quale possa essere.

È la nostra misteriosa e indefinibile natura che la letteratura ha descritto in molti modi. Una volta ho provato a raccogliere queste testimonianze letterarie che attraversano i secoli, i paesi e le culture.

Si va dal Petrarca (“Sento che dentro di me c’è sempre qualcosa di insoddisfatto”) a Jack Kerouac (“La vita non è abbastanza. (…) Qui  sulla terra non c’è abbastanza da desiderare”), da Leopardi (“il nostro desiderio di conoscere (cioè concepire) e di amare, non può esser mai soddisfatto dalla realtà”) a Schnitzler (“Ogni risposta è fallace, ogni appagamento ci scivola tra le dita e la meta non è più tale appena è stata raggiunta”).

La letteratura fa emergere il vero problema, la caratteristica principale che distingue l’essere umano da tutte le altre creature viventi: solo noi non troviamo qui sulla terra tutto quello di cui avvertiamo il bisogno. Solo noi desideriamo qualcosa che non si trova in natura e che non sappiamo nemmeno definire.

C’è una famosa poesia di Guido Gozzano che inizia così: Ma bella più di tutte l’Isola Non-Trovata”. E questa è la sua conclusione: “S’annuncia col profumo, come una cortigiana,/ l’Isola Non-Trovata… Ma, se il pilota avanza,/ rapida si dilegua come parvenza vana,/ si tinge dell’azzurro color di lontananza…”.

Fernando Pessoa dipinge così la situazione dell’uomo: “i sentimenti più dolorosi e le emozioni più pungenti sono quelli assurdi: l’ansia di cose impossibili, proprio perché sono impossibili, la nostalgia di ciò che non c’è mai stato, il desiderio di ciò che potrebbe essere stato, la pena di non essere un altro, l’insoddisfazione per l’esistenza del mondo”.

È evidente che gli esseri umani sono abitati da una domanda, un desiderio e un’attesa che hanno una natura infinita, è evidente che l’insoddisfazione è dietro l’angolo (ogni angolo) ed è anche chiaro che si tratta di istanze esistenziali che dovremmo definire metafisiche, religiose.

Quando s’investe una realtà terrena – per esempio un rapporto d’amore – con quell’aspettativa assoluta, senza tener conto dell’imperfezione propria e altrui, non solo si va incontro alla delusione, ma si rischia di farsi e di fare male all’altro.

Egualmente, quando non si riconosce la natura  religiosa di quell’aspettativa e si proietta il desiderio di assoluto sulle cose terrene, sul mondo, sulla politica, ne nascono astrazioni ideologiche e utopie che non tengono conto dell’ineliminabile imperfezione del mondo e degli uomini e si finisce per combinare disastri. Come insegna la storia del novecento.

Oggi quelle ideologie sono cambiate (o si sono travestite con nuovi abiti), ma il loro errore perdura. Vogliono la luna quaggiù sulla terra.

“Ho bisogno della luna o della felicità o dell’immortalità” scriveva Camus, nel Caligola, ma lui giustamente aggiungeva: “qualcosa di pazzesco purché non sia di questo mondo”.

 

Antonio Socci

 

Da “Libero”, 31 agosto 2024

 

Print Friendly, PDF & Email