Dopo “Cinquanta sfumature di grigio”, l’industria editoriale sforna i prodotti letterari che sulle ali dell’eros ambiscono a volare fino alla vetta della classifica dei best-seller. Ultimo della serie “La sposa nuda” di Nikki Gemmell.
Il sesso parlato, immaginato, guardato, venduto, comprato, praticato, modulato in mille varianti – diventato ossessione di massa e, con la rete, prodotto di vasto consumo – sembra sia l’unica rivoluzione vera scaturita dal ’68 “desiderante”.
DEREGULATION
Antonio Scurati – in un recente articolo sulla “Stampa” – lo nega. A suo giudizio “l’unica vera rivoluzione” del dopoguerra “è stata quella liberista degli Anni 80”. Che definisce “una rivoluzione di destra”.
Ma in realtà tutte vanno sotto l’insegna della totale deregolamentazione: della finanza e della scienza, della vita e dei commerci, come dei rapporti sessuali, affettivi e addirittura delle identità sessuali.
Tale deregolamentazione si sottrae beffardamente alle categorie “destra” e “sinistra”, come la grande bolla finanziaria si sottrae ai confini degli stati, ai partiti, ai governi. E li domina.
Pertanto la marxistissima generazione del ’68 ha dato un decisivo contributo alla più capitalistica e borghese delle rivoluzioni, erigendo il desiderio a pretesa assoluta e così spianando la strada a un’industria della sessualità e del suo immaginario che rende merce i rapporti affettivi e pure i corpi.
E’ la felicità promessa? A leggere oggi i commenti (e già quelli di ieri, Pasolini, Foucault) pare semmai infelicità. La famosa e celebrata liberazione sessuale del Novecento si è risolta in realtà in una nuova alienazione, in una servitù volontaria di massa e in una pratica di controllo dei corpi e delle menti fra le più pervasive.
LA DISFATTA
Anche Scurati, a cui non manca l’acutezza dello sguardo, osserva: “di tutte le rivoluzioni mancate – o fallite – dalla sinistra sedicente rivoluzionaria, la rivoluzione sessuale è stata la più fallimentare. Sul terreno ha lasciato quasi solo rovine”, in particolare “la mastodontica mole sociale della frustrazione sessuale” che “è vasta come un’intera città ipogea…”.
Un nuovo saggio di Zygmunt Bauman, “Gli usi postmoderni del sesso” (Il Mulino) cerca di tirare le somme anche teoriche di un “discorso sul sesso” che ha accompagnato, giustificato e orientato questa rivoluzione postmoderna.
E le parole filosofiche di questa rivoluzione (un po’ come i prodotti derivati, nel mercato finanziario) sono innumerevoli, tanti i pensatori, da Lyotard a Sartre, a Bataille, dall’ “erotismo aristocratico e noiosissimo di Sade al Marcuse di ‘Eros e civiltà’ ”, che, secondo un pungente Maurizio Ferraris, avrebbe fornito la teorizzazione di ciò che un suo antico maestro “si era limitato a praticare con le studentesse”.
Così pure il discorso filosofico sul sesso rischia di finire nel salotto impertinente del pettegolezzo, dove già naviga la sua versione popolare.
Dunque tiriamo le somme di questa rivoluzione sessuale. Curiosamente la letteratura che riflette sul fenomeno, celebra la distruzione nell’ignominia della vecchia morale sessuale giudaico-cristiana, considerata repressiva, sessuofoba e arretrata.
Ma al tempo stesso lamenta che così si è prodotta una devastazione dell’umano, definitivamente mercificato fra i prodotti di rapido consumo.
Quasi coatto. Com’è peraltro il comandamento della “forma fisica”, requisito dovuto per “stare sul mercato” dei corpi. Culto estetico alla cui bisogna provvede un’ulteriore colossale industria.
Con intelligenza (e amarezza) Scurati scrive: “ci siamo spinti troppo oltre. Abbiamo eretto ovunque templi votivi alle divinità acefale del sesso… In società non si parla d’altro… L’aspettativa è enorme, il culto fervente, la pratica ovunque. Dalla copula tra i corpi degli amanti ci attendiamo rivelazioni sconvolgenti, dalla compenetrazione tra gli organi sessuali ci attendiamo l’illuminazione riguardo al senso delle nostre vite. C’è bisogno di aggiungere che rimarremo delusi?”.
RIVELAZIONI
Ma se invece questo groviglio di carni ci folgorasse proprio con una rivelazione su di noi?
Se addirittura, queste povere membra esauste di consumo reciproco, ci parlassero delle anime che dentro i corpi straripano alla ricerca di Dio, sbattendo in ogni modo le carni per il desiderio di qualcosa che esse non possono dare, cioè colui che Dante chiamava “il Sommo Piacere”?
C’è una “cultura del piagnisteo” che dopo aver giustificato la rivoluzione sessuale, ne lamenta gli esiti. E anche nei suoi rappresentanti più lucidi come Bauman sembra non vederne la teologia.
Io che professo tutti gli insegnamenti morali della Chiesa cattolica, che li ritengo anzi liberanti e pieni di sapienza, e che sento come una violenza psicologica e spirituale, soprattutto per i più giovani, questa sessuomania dilagante, questa aggressione pornografica onnipresente, voglio dire che anche la cosiddetta rivoluzione sessuale ci parla dell’inestirpabile desiderio di Dio. E della sua mancanza. Del doloroso vuoto di Lui che ci risucchia nel suo gorgo, anche attraverso la carne.
CARNE MISTICA
Lo mostra luminosamente Fabrice Hadjadj, un giovane filosofo francese, ebreo d’origine, un intellettuale che fu ateo anarchico e che ha abbracciato il cattolicesimo: ha scritto in proposito pagine rivelatrici, in “Mistica della carne. La profondità dei sessi” (Medusa).
E’ uno sguardo cattolico il solo capace di dare una lettura più profonda (e misericordiosa) del pover’uomo postmoderno “malato” di sesso.
Mi è capitato di scrivere, in un mio libro recente, che il moralista che c’è in tutti è portato a qualificare come “bestiali” le moderne ossessioni sessuali. Del resto nel linguaggio comune è alle metafore animali che si ricorre (il porco, il maiale…). Eppure è vero il contrario.
Solo gli esseri umani hanno l’ossessione del sesso. Gli animali no. Perché tale ossessione non viene dalla natura biologica, ma dalla mente. Non è un desiderio dei corpi, ma delle anime.
E’ l’anima che ha un desiderio infinito e straripa dentro un corpo limitatissimo e incapace di soddisfarla.
Questa pornomania di massa è la prova dell’esistenza dell’anima. Non sono i desideri della carne che esplodono nell’ossessione sessuale planetaria, ma il desiderio dell’anima a cui il corpo non riesce a star dietro, anche se l’immaginazione s’inventa mille varianti e mille avventure (che inevitabilmente risultano presto noiose e ripetitive).
I desideri dei corpi, per loro natura, sono sempre limitati ed effimeri, come insegna l’osservazione degli animali. Sono istinti che, appena soddisfatti, finiscono. Il sesso moderno invece è sempre inappagato.
Perché abbiamo dimenticato di essere fatti per l’estasi e non c’è cosa in terra che soddisfi questo desiderio. I padri della Chiesa la chiamano “divinizzazione”, Dante scrive che siamo nati “per indiarsi”.
Così mancando l’estasi ci ubriachiamo con il suo surrogato, l’ebbrezza. Della carne, ma anche di altro (potere, alcol o magari cocaina).
Tutte cose che creano dipendenza (e quindi possono produrre grandi affari). In fondo aveva già detto tutto Baudelaire. Il quale ebbe potente la nostalgia dell’estasi, della “visio Dei”. E non solo lui.
ON THE ROAD
Quando chiesero a Jack Kerouac cosa stava cercando la “beat generation”, egli rispose: “Dio. Voglio che Dio mi mostri il suo volto”. In un appunto del 1949 scriveva: “la vita non è abbastanza, qui sulla terra non c’è abbastanza da desiderare”.
Un giorno tornò nella chiesa della sua infanzia, a Lowell, e commosso, in quella bellezza, “ebbi la visione di che cosa avevo voluto dire veramente con la parola ‘Beat’… significava beato…”.
Questo simbolo della rivolta generazionale del dopoguerra esprimeva così “il desiderio di andarsene, fuori da questo mondo… ‘in alto’, in estasi, salvi, come se le visioni dei santi claustrali di Chartres e Clairvaux tornassero…”.
Per questo nell’ultima intervista al New York Times fu lapidario: “I’m not a beatnik. I’m a Catholic”.
Antonio Socci
Da “Libero”, 3 febbraio 2013
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