“Debuttai come giornalista (in nero e senza un contratto di lavoro, proprio come si usa oggi) nel 1977 alla ‘Città futura’. Era il giornale della Federazione giovanile comunista italiana”.

Così impietosamente Federico Rampini – oggi firma di punta di “Repubblica” – ricorda il suo esordio professionale nel suo ultimo libro, “La notte della sinistra”, dove affonda il coltello nelle contraddizioni, nelle ipocrisie e negli errori della sua parte politica, che elenca:“dall’immigrazione alla vecchia retorica europeista ed esterofila, dal globalismo ingenuo alla collusione con le élite del denaro e della tecnologia”.

Il libro di Rampini in pratica demolisce la Sinistra. L’autore invita anzitutto a smetterla di “raccontarci che siamo moralmente superiori e che là fuori ci assedia un’orda fascista”.

Invita anche a smetterla “di infliggere ai più giovani delle lezioni di superficialità, malafede, ignoranza della storia. Si parla ormai a vanvera di fascismo, lo si descrive in agguato dietro ogni angolo di strada, studiando pochissimo quel che fu davvero… Si spande la retorica di una nuova Resistenza, insultando la memoria di quella vera (o ignorandone le contraddizioni, gli errori, le tragedie)”. 

Poi l’autore ricorda le orribili assemblee studentesche degli anni Settanta, dove “gli estremisti, decidevano chi aveva diritto di parola e chi no. ‘Fascisti’, urlavano a chiunque non la pensasse come loro. L’élite di quel momento (giovani borghesi, figli di papà, più i loro ispiratori e cattivi maestri tra gli intellettuali di moda) era una Santa Inquisizione che sottoponeva gli altri a severi esami di purezza morale, di intransigenza sui valori”. 

Attualmente sembra si sia disinvoltamente cambiato tutto, ma “nel politically correct di oggi sono cambiate solo le apparenze, il linguaggio, le mode. Tra i guru progressisti ora vengono cooptate le star di Hollywood e gli influencer dei social, purché pronuncino le filastrocche giuste sul cambiamento climatico o sugli immigrati. Non importa che abbiano conti in banca milionari, i media di sinistra venerano queste celebrity.
Mentre si trattano con disgusto quei bifolchi delle periferie che osano dubitare dei benefici promessi dal globalismo”.

Le parole d’ordine e gli slogan dell’attuale Sinistra vengono demoliti con chirurgica precisione. I sovran-populisti sono accusati di alimentare la paura

“Da quando in qua” si chiede Rampini “la paura è una cosa di destra, anticamera del fascismo? Deve vergognarsi chi teme di diventare più povero? Chi patisce l’insicurezza di un quartiere abbandonato dallo Stato?

E le parole identità, patria, interesse nazionale? Rampini sconsolato scrive: “dobbiamo smetterla di regalare il valore-Nazione ai sovranisti …”. A loro – dice – “abbiamo lasciato” la parola Italia: “certi progressisti” si commuovono per le grandi cause come “Europa, Mediterraneo, Umanità” mentre ritengono la nazione “un eufemismo per non dire fascismo”.

Solo che la liberal-democrazia è nata proprio “dentro lo Stato-nazione” e Mazzini e Garibaldi “erano padri nobili della sinistra”, la quale peraltro ha “venerato tanti leader del Terzo Mondo – da Gandhi a Ho Chi Minh a Fidel Castro – che erano prima di tutto dei patrioti”.

La Sinistra nostrana si entusiasma solo per il sovranismo altrui. Rampini osserva: “non si conquistano voti presentandosi come ‘il partito dello straniero’. Negli ultimi tempi in Italia il mondo progressista ha sistematicamente simpatizzato con Macron quando attaccava Salvini e con Juncker quando criticava il governo Conte”. 

Così si conferma “il sospetto che la sinistra sia establishment, e pronta a svendere gli interessi nazionali. Ed è un’illusione anche scambiare Macronper un europeista: è un tradizionale nazionalista francese, che dell’Europa si serve finché gli è utile, ma per piegarla ai propri interessi”.

Su Juncker poi Rampini è durissimo ricordando che faceva parte del governo del Lussemburgo  quando adottava certe politiche fiscali, cioè offriva “privilegi fiscali alle multinazionali di tutto il mondo: uno dei principali meccanismi di impoverimento del ceto medio e delle classi lavoratrici di tutto l’Occidente”.

Secondo Rampini “uno che ha governato il Lussemburgo” non dovrebbe essere “promosso” a dirigere la Commissione europea. L’autore trova incredibile che “opinionisti di sinistra abbiano tifato per Juncker”.

E poi si chiede: “Perché solo gli italiani dovrebbero vergognarsi di avere cara la propria nazione?Definirsi europeisti in chiave antinazionale, il vezzo attuale della nostra sinistra, è un errore grave: a Bruxelles né i tedeschi né i francesi dimenticano mai per un solo attimo di difendere con determinazione gli interessi del proprio paese”. 

Il primo capitolo del libro s’intitola “Dalla parte dei deboli… solo se stranieri”. La fissazione delle élite progressiste per gli immigrati (che sono utilissimi a un certo capitalismo per abbattere retribuzioni e protezioni sociali) va di pari passo con la dimenticanza della stessa Sinistra per i nostri poverie il nostro ceto medio impoverito. Qui l’analisi di Rampini si fa spietata per moltissime pagine.

E fa capire perché il popolo e i lavoratori hanno divorziato dalla Sinistra e questa è diventata il partito delle élite e dei quartieri-bene: “L’Uomo di Davos ha plagiato la sinistra, i cui governanti si sono alleati proprio con quelle élite”

La conclusione di Rampini è questa: “non vedo un futuro per la sinistra italiana se si ostinerà a essere il partito dei mercati finanziari e dei governi stranieri, in nome di un europeismo beffato proprio da tedeschi e francesi”.

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Antonio Socci

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Da “Libero”, 31 marzo 2019