Dal 2013, anno di arrivo di papa Bergoglio, ad ogni Natale, immancabilmente, si rilancia l’idea della Sacra Famiglia come una famiglia di migranti.Con un evidente sottinteso politico.
Quest’anno papa Bergoglio ha
perfino fatto inviare una lettera, della “sezione migranti” del Vaticano, a don
Biancalani, che si conclude con la formula: “In Cristo Migrante”.
In diversi luoghi si
allestiscono presepi bergogliani sul
tema migratorio. Ad Acquaviva delle
fonti, in provincia di Bari, hanno realizzato un presepio (vedi foto) dove Giuseppe e Maria sono due migranti che
stanno affogando in un mare di bottiglie e Gesù bambino (di colore) sta dentro un salvagente.
Ma è fondata questa idea del
“Cristo Migrante”? La risposta è semplice: no. Il Vangelo racconta una storia del tutto diversa.
LA VERA STORIA
Intanto va detto che il
popolo d’Israele, duemila anni fa, soffriva la dominazione romana ed era così forte l’anelito alla libertà e all’indipendenza che immaginava il Messia come
liberatore politico del suo popolo dall’oppressione dello straniero.
I Romani imposero un censimento dei loro sudditi. Così anche Giuseppe e Maria partono da Nazaret(dove abitava Maria e dove, probabilmente, viveva anche Giuseppe) versoBetlemme, non come migranti verso una terra straniera, ma, cometutti gli ebrei del tempo, per espletare le pratiche del censimento.
Siccome Giuseppe – che era il
capofamiglia e quindi il “rappresentante legale” – apparteneva alla tribù di
Giuda, per la precisione al casato di re Davide – dovettero andare a Betlemme che era la città d’origine della sua famiglia.
Ciò significa che andando a
Betlemme non emigrarono in una terra
straniera, anzi, il contrario: Giuseppe tornò nella sua patria, nella quale
egli era addirittura conosciuto come uomo di stirpe regale.
Anche se la discendenza davidica, nel corso dei
secoli, era decaduta e Giuseppe faceva l’artigiano (diciamo che apparteneva al ceto
medio di allora), formalmente poteva essere considerato un principe nella sua terra.
Probabilmente, a Betlemme, Giuseppe aveva ancora delle
proprietà, un po’ di terra, perché in seguito Egesippo, al tempo di Domiziano, testimonia che i parenti di Gesù sono ancora vivi e conosciuti e hanno dei campi che
lavorano personalmente e che, secondo gli storici, dovevano trovarsi proprio
nell’“ager Bethlemiticus”.
L’ALBERGO
Il viaggio verso Betlemme, in carovana con
altri, durò qualche giorno e fu molto faticoso perché Maria era al nono mese di
gravidanza e all’arrivo a Betlemme già stavano cominciando i segni del parto imminente.
Il Vangelo
di Luca ci dice che “non c’era posto
per loro nell’albergo” (2,7). Ma cosa significa in questo caso la parola
“albergo”? E perché “per loro”?
Non si tratta degli alberghi di oggi. Siccome
Betlemme era un punto di passaggio delle carovane che scendevano in Egitto, lì
si trovava, da tanto tempo, un luogo di
sosta per tali carovane (appunto un caravanserraglio,
in ebraico “geruth”, foresteria) che era stato costruito da Chamaan, forse
figlio di un amico di Davide.
Giuseppe
Ricciotti, nella sua “Vita
di Gesù Cristo” spiega che, all’arrivo di Maria e Giuseppe, “il piccolo villagio rigurgitava di gente,
che si era alloggiata un po’ dappertutto a cominciare dal caravanserraglio”.
Il quale era “un mediocre spazio a cielo scoperto, recinto da un muro piuttosto
alto” con “un portico di riparo” e con “le bestie che erano radunate in mezzo
al cortile”.
In quel frastuono
di gente ammassata “si questionava d’affari e si pregava Dio, si cantava e
si dormiva, si mangiava e si defecava”.
Perciò quando l’evangelista dice che “non c’era
posto per loro”, bisogna intendere – spiega Ricciotti – che per le particolari condizioni di Maria, in
procinto di partorire, non era un luogo adatto. Non c’era la riservatezza
che era necessaria a una giovane partoriente.
Non si sa se Giuseppe poté cercare nelle case di
amici e parenti (anch’esse piene di gente) o se – vista l’assoluta urgenza –
decise velocemente di riparare nella solitudine di quel ricovero per animali
che forse poteva trovarsi proprio nella terra di sua proprietà.
Anche quello era ovviamente un luogo sporco, ma
se non altro era solitario, tranquillo e garantiva la riservatezza.
STABILITI A BETLEMME
Dopo il parto, fatto in condizioni di emergenza,
Giuseppe poté trovare subito un alloggio e infatti la famiglia di Gesù si stabilì col bambino a Betlemme, che era
appunto la città di Giuseppe e di Gesù,
il quale, non a caso, da adulto verrà definito dalla gente “figlio di David”, discendente di Re David (come le profezie dicevano
del Messia). Gesù in effetti era anche lui di stirpe regale, era un principe del suo popolo.
Proprio questo scatenò Erode. Avendo saputo, nei mesi
successivi alla sua nascita, dai Magi, che era venuto alla luce un potenziale pretendente al regno d’Israele
e che era nato a Betlemme, Erode (idumeo per parte di padre e arabo per parte
di madre) cercò di eliminarlo.
I Magi, che arrivarono a
rintracciare Gesù alcuni mesi dopo la
sua nascita (quindi in una
abitazione di Betlemme, non più nella grotta), avevano lasciato al bambino
oro incenso e mirra.
Quell’oro fu molto importante
per la Sacra Famiglia che dovette
sfuggire a Erode. Perché permise loro di andare in Egitto (che era sempre sotto i Romani) e lì stabilirsi finché
non fosse morto Erode.
FUGA E RITORNO A CASA
Dunque: la fuga della Sacra
Famiglia non era dovuta a volontà di
emigrazione, ma alla prima persecuzione anticristiana.
Quindi, se proprio vogliamo
ricordarli come profughi, bisognerebbe parlare degli odierni cristiani perseguitati più
che degli attuali migranti, i quali, come si sa, sono mossi perlopiù da
ragioni economiche e di lavoro. Eppure nessuno parla delle vicende della Sacra
Famiglia rammentando i cristiani perseguitati
di oggi come invece si dovrebbe.
In secondo luogo non era in corso una migrazione di massa
verso una terra straniera. Né in Egitto c’erano campi profughi sovvenzionati e
pagati dalle casse pubbliche dove si poteva stare a lungo.
In Egitto Giuseppe mantenne
la famiglia svolgendo il proprio lavoro
per alcuni mesi. Ma già l’anno
successivo seppero della morte di Erode e così la famiglia di Gesù ritornò a casa, scegliendo stavolta
Nazaret, il villaggio di Maria (dove probabilmente aveva abitato anche Giuseppe).
Lì vissero stabilmente e Gesù
stesso esercitò il mestiere del padre fino all’inizio della sua vita pubblica. Dunque non si vede come si possa accostare
la loro vicenda agli odierni flussi migratori di massa.
ULTIMO EQUIVOCO
C’è un ultimo equivoco da
chiarire. Il prologo del Vangelo di san
Giovanni dice: “il mondo fu fatto per mezzo di lui,/ eppure il
mondo non lo riconobbe./ Venne fra la sua gente/ ma i suoi non l’hanno accolto”.
Queste parole non si
riferiscono a una mancata accoglienza di un inesistente “Gesù Migrante”, ma
alla mancata accoglienza del suo annuncio. Infatti Gesù morì crocifisso. Si riferisce cioè alla fede cristiana.
Gesù non venne nel mondo per sponsorizzare la caotica politica
migratoria oggi auspicata dai globalisti, ma venne per annunciare che Dio si è fatto uomo ed è presente in mezzo a
noi per sconfiggere il male e la morte.
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Antonio Socci
Da “Libero”, 10 dicembre 2018