Nel discorso di venerdì alla Leopolda, Matteo Renzi ha parlato dell’elezione del nuovo presidente della Repubblica: “sarà la priorità assoluta” ha detto “cercheremo un profilo riformista, europeista, che sia contro il sovranismo”.

Sono parole che sorprendono in un leader accorto e preparato come Renzi. Infatti il programma politico e ideologico che lui ha delineato non c’entra nulla con la figura del Capo dello Stato e con la sua elezione.

Lo spirito e la lettera della Costituzione non richiedono un programma al candidato presidenziale, né fissano requisiti ideologici.

L’art. 84 recita semplicemente: “Può essere eletto Presidente della Repubblica ogni cittadino che abbia compiuto cinquanta anni d’età e goda dei diritti civili e politici”.

Ovviamente ogni presidente ha la sua storia e ha (legittimamente) le sue idee. Ma la Costituzione delinea quella presidenziale come una figura di garanzia, al di sopra delle parti, afferma che egli deve rappresentare non una fazione (che si riconosce in un certo programma politico), ma la nazione: “Il Presidente della Repubblica è il capo dello Stato e rappresenta l’unità nazionale” (art. 87).

Proprio per questo non può essere “contro” una parte del Parlamento e del Paese. E proprio per questo la Costituzione “suggerisce” che sarebbe opportuna una larga maggioranza parlamentare per la sua elezione.

Renzi a quanto pare non la pensa così. Non spiega cosa intende per “sovranismo”, ma è noto che (anche lui) attribuisce polemicamente tale etichetta a Lega e Fratelli d’Italia con valore negativo. Quindi il suo proclama sembra escludere pregiudizialmente Lega e FdI dall’elezione del presidente, spazzando via a priori il “suggerimento” dato dalla Costituzione che all’art. 83 chiede, nei primi due scrutini, “la maggioranza di due terzi dell’assemblea”.

Del resto non si capisce nemmeno perché il termine “sovranismo” – che deriva da “sovranità” – sia usato da Renzi (e dalla sinistra) per squalificare gli avversari.

Il professor Carlo Galli, docente di Storia delle dottrine politiche all’università di Bologna, che è stato pure parlamentare del Pd e di SEL, nel suo libro “Sovranità” esordisce proprio ironizzando su chi riserva disprezzo o derisione al termine “sovranità” (o sovranismo): “Nel nuovo Dizionario dei luoghi comuni, il ‘politicamente corretto’ delle élite mainstream, sembra esserci questo imperativo. Chi fa un uso positivo di quello che era il cuore della dottrina dello Stato, luogo centrale del diritto pubblico, bene custodito nella Costituzione repubblicana e nella Carta dell’Onu, è ormai considerato un maleducato, un troglodita: è compatito con un sorriso di scherno come chi cercasse di telefonare in cabine pubbliche con gettoni, quando non è demonizzato come fascista. Sovranità è passatismo o tribalismo, nostalgia o razzismo: o goffaggine o crimine. E ‘sovranismo’ è sinonimo di ‘cattiveria’, di volontà malvagia”.

Galli fa notare che invece il termine sovranità “è parte della definizione dello Stato, insieme al popolo e al territorio” e soprattutto è il pilastro dell’art. 1 della nostra Costituzione, è la base stessa della democrazia (“La sovranità appartiene al popolo”).

Dovremmo dire che il presidente della Repubblica, essendo il custode della Costituzione, è anche garante della sovranità, quindi – a voler essere conseguenti – ha il dovere di essere il primo sovranista.

Il secondo sovranista poi è il Presidente del Consiglio dal momento che entra in carica facendo questo giuramento davanti al Capo dello Stato: “Giuro di essere fedele alla Repubblica, di osservarne lealmente la Costituzione e le leggi e di esercitare le mie funzioni nell’interesse esclusivo della Nazione”.

Questa è la migliore definizione di “sovranismo” e lo stesso Renzi, quando è diventato Capo del governo, giurando di agire “nell’interesse esclusivo della Nazione”, senza rendersene conto, ha fatto professione di sovranismo.

Del resto il proclama antisovranista di Renzi è oggi diventato propaganda anacronistica perché è ormai chiaro che la politica europea non è un match fra sovranisti ed europeisti.

Nella realtà, come ha spiegato il politologo Giovanni Orsina, il terzo attore, il vero protagonista del gioco, sono i “sovranisti di fatto” (che a parole fanno professione di europeismo). In particolare Germania e Francia.

Anche la politica italiana deve uscire dal match astratto sovranisti/europeisti e imboccare questa terza via che consiste nel dirsi europeisti, ma nei fatti agendo “nell’interesse esclusivo della Nazione”.

 

Antonio Socci

 

Da “Libero”, 22 novembre 2021