Ricevo e pubblico questo contributo della Dott.ssa Giuliana Ruggieri che fornisce molti elementi di riflessione sulla liceità morale della vaccinazione anti-Covid che ha destato un vivace e polemico dibattito fra i cattolici.

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Ricordiamo che il metodo per “conoscere un oggetto” è prima di tutto dettato dall’oggetto stesso e che per affrontare la questione “ vaccini”, argomento quanto mai attuale e dibattuto, è prima di tutto necessario partire dalla realtà, da indagare con la virtù della prudenza, mantenendo nettamente separati Il dato scientifico ed il giudizio morale.

Il contributo dei vaccini alla scomparsa di gravi malattie è paradossalmente, oggi, il suo maggior nemico in quanto l’opinione pubblica ha ridotto significativamente la consapevolezza della gravità delle patologie scomparse o drasticamente ridotte ed ha, in qualche caso, dimenticato che ciò è accaduto grazie all’efficacia di questa potente arma nelle mani della medicina.

I vaccini non sono però la bacchetta magica o la luce in fondo al tunnel:  è demagogico puntare tutto e solo sulla vaccinazione e far credere ai cittadini che il “miracolo”, la “svolta prodigiosa” che sistemerà tutto è dietro l’angolo, già a portata di mano, e si chiama “vaccino” 

Le pandemie storiche ci insegnano che per debellare una malattia contagiosa occorre un trattamento multifattoriale, che dipende vari elementi: dalle caratteristiche dell’agente virale, dai quadri clinici della malattia, dal quadro epidemiologico locale e globale che evolve nel tempo, lungo settimane, mesi o anni, quadro definito dalla prevalenza della malattia (il numero di casi in una popolazione osservati in un dato momento) e dalla sua incidenza (il numero di casi nuovi che si sviluppano in una popolazione in un determinato periodo di tempo).

Tutto questo senza dimenticare le difficoltà logistiche e organizzative di una vaccinazione su larga scala e la “non disponibilità” dei vaccini per tutti. In ogni caso è comunque ragionevole, pur puntando pure sul miglioramento dei trattamenti, far di tutto per non ammalarsi di Covid, anche perché la letteratura medica sta descrivendo gravi patologie residue ed a lunga distanza, nei pazienti guariti da infezione covid.

C’è un altro dato di realtà di cui tenere conto: questa pandemia ha distrutto l’economia, ha danneggiato la scuola e quindi ha penalizzato i nostri ragazzi, ha dissolto le relazioni umane e ha aumentato in modo considerevole il consumo degli antidepressivi. Si è notato infatti l’aumento di incidenza delle patologie psichiatriche e delle altre malattie “non-covid” in particolare malattie cardiovascolari e neoplasie. 

I dati pubblicati dall’Istat e la notizia che sono stati superati nel nostro paese 100.000 morti (alla fine poco importa della distinzione fra morti “di covid ” e “morti con covid”, perché probabilmente tantissimi, senza covid, non sarebbero morti) c’impone di fare serie considerazioni che riguardano i gravi errori dei nostri governanti nella gestione della pandemia, il fallimento del sistema di mappatura, l’ assenza della gestione sul territorio, (le prime linee guida domiciliari del nostro Ministero della salute datano 30 novembre 2020  ancora vale per molti pazienti l’indicazione “paracetamolo e vigile attesa”). Si potrebbe continuare a lungo.

Ogni virologo, epidemiologo od esperto esprimeva una sua idea e l’unica raccomandazione su cui tutti si sono attestati, oltre alla mascherina, è stato il “confinamento”, l’“isolamento”, il c.d. distanziamento sociale: esattamente la stessa indicazione data per affrontare le epidemie al tempo del Medioevo.

Un numero di morti così alto ci impone serie riflessioni, che devono però  superare la logica con cui abbiamo combattuto finora questa battaglia contro il virus:  occorre utilizzare  tutte le armi a nostra disposizione, ovvero un sistema di mappatura del contagio, le sanificazioni, l’adozione di un corretto stile di vita e di appropriate misure di igiene personale e collettiva, insieme alla continua ricerca di farmaci terapeutici sicuri e di facile somministrazione, potenziando la sanità territoriale e quindi le cure domiciliari.  Queste sono le strategie da affiancare ai vaccini per uscire definitivamente da questa tragica situazione.

Il contributo dei vaccini va, quindi, inquadrato correttamente come un’importante arma a nostra disposizione riconoscendone il bene e il limite. (Efficacia/sicurezza; effetti collaterali della vaccinazione: eventi avversi, reazioni avverse, effetti indesiderati, letalità; azione dei vaccini sulle varianti; tipo di copertura e durata della vaccinazione).

Preoccupano molto le notizie recenti su morti che potrebbero essere legate alla vaccinazione. Questo richiede una serie di indagine di causalità. Richiede cioè che in base ai dati disponibili si dimostri una correlazione tra la vaccinazione e l’evento, cosa che compete alle agenzie di controllo, AIFA Agenzia Italiana del Farmaco, EMA agenzia a livello europeo (European Medicine Agency) e FDA americana (Food and Drug Administration) che hanno concesso l’autorizzazione all’uso del vaccino e alle stesse case farmaceutiche.

Una volta infatti  ottenuta l’autorizzazione, il vaccino viene messo a disposizione della popolazione e si attiva la fase 4 della sperimentazione detta Farmacosorveglianza, ovvero un sistema capillare di raccolta tempestiva di ogni evento avverso per la sua valutazione ed eventuale pronto intervento sulla commercializzazione del vaccino.

La comunità scientifica chiede che vengano messi a disposizione di tutti i dati per una corretta valutazione. (Ultimo report dell’AIFA suula sorveglianza dei vaccini COVID 27/12/2020- 26/02/2021.qui)

Bisogna tenere presente tra l’altro che il processo scientifico è di per sé un processo sperimentale e che la stessa “scienza”, al di là di un atteggiamento positivista, presenta limiti importanti. Il matematico Francesco Severi infatti parlando della relatività delle «posizioni orgogliose delle certezze scientifiche» userà una efficace metafora: «quella relatività è sempre in funzione di un assoluto che si oppone come barriera elastica, ma tuttavia infinitamente profonda, al suo superamento con i mezzi conoscitivi» (Dalla scienza alla Fede, p. 103).

E’ paradossale l’atteggiamento dell’uomo contemporaneo con la sua fiducia assoluta riposta nella scienza, da cui si vorrebbero “subito” tutte le risposte, mentre la caratteristica della scienza è di essere per sua natura ipotetica, cioè si formulano ipotesi che sono valide fino a prova contraria.

Molti di coloro che fanno una battaglia no-vax rischiano di cadere nell’errore dello scientismo, cioè attribuire valore assoluto (positivo o negativo) ai presunti dati scientifici mentre la ragionevolezza ci impone di tenere conto al tempo stesso delle buone acquisizioni e dei i limiti delle conoscenze scientifiche.

Dunque vediamo nello specifico la questione vaccini.

Il Sars-CoV-2 è un virus a RNA della famiglia delle Coronaviridae che codifica 4 proteine. La proteina S (spike) è una di queste (Dharma et al 2020). Essa rappresenta il mezzo con cui il virus si ancora alle cellule dell’ospite. “Spike” si lega a un recettore proteico ospite, presente negli alveoli polmonari, chiamato enzima convertitore dell’angiotensina 2, o ACE2. E’ inoltre considerata il principale target antigenico del virus. La maggior parte dei vaccini in corso di studio ha come obiettivo l’immunizzazione del soggetto vaccinato tramite la produzione di anticorpi neutralizzanti nei confronti di questa proteina (Addeia et al 2020).

Attualmente quindi i  vaccini a nostra disposizione sono di 4 tipi e nessuno di questi vaccini modifica il DNA.

–           Pfizer e Moderna si basano sul meccanismo dell’mRNA sintetizzato

–           AstraZeneca-Oxford, Sputnik V (vaccino russo), Johnson & Johnson utilizzano invece vettori virali ingegnerizzati per produrre le proteine del Covid-19

–           Altri ancora (Sanofi) utilizzano un vettore di origine animale (un insetto-parassita) per la produzione delle proteine virali

–           Altri infine (es. Sinovac) hanno utilizzato una strategia più “tradizionale” attraverso l’inoculazione del virus “attenuato/inattivato” (virus cinesi).

I vaccini attualmente disponibili utilizzano linee cellulari provenienti da aborti diretti: la linea HEK-293 e la linea PER.C6. La linea cellulare HEK293 è derivata dalle cellule di un feto abortito nel 1972, mentre le linee cellulari stesse sono state generate nel 1973.

La linea cellulare PER.C6 è stata ottenuta dalle cellule di un feto di 18 settimane, abortito nel 1985.  I vaccini Astra-Zeneca-Università di Oxford, sono vaccini virali che hanno utilizzato la linea cellulare HEK-293 in tutte le fasi del loro sviluppo; il vaccino Johnson & Johnson, utilizza a sua volta la linea PER.C6; i vaccini Pfizer/BioNTech e Moderna, sono vaccini sintetici che hanno utilizzato la linea cellulare HEK-293 solo nella fase di test.

A proposito delle linee cellulare HEK 293 riporto un mio articolo che si può leggere qui . Tutta la documentazione disponibile, in verità molto scarsa, documenta che questa linea cellulare deriva (purtroppo) da un aborto (alcuni sostengono forse due) e non centinaia come sostiene Pamela Acker (vedi anche qui : “Verità scientifiche e fake news sui vaccini anti-Covid-19”) Questo articolo è molto interessante perché mette in evidenza l’errore di ordine metodologicodelle principali “fake news” a cui hanno fatto riferimento purtroppo molti articoli, interviste e video  pubblicati sul web che ignorano l’immensa letteratura scientifica esistente su questi temi per limitarsi solo ad alcune fonti. Così si finisce per fare disinformazione..

Le linee cellulari sono composte da cellule in grado di replicarsi per un numero illimitato di passaggi. La linea cellulare si ottiene da una coltura primaria stabilizzata che ha subito il processo di immortalizzazione, mediante agenti chimici o virali. La linea cellulare può anche derivare da un tessuto tumorale per “natura” già immortalizzato, un esempio sono le cellule HeLa. Questa linea cellulare è stata isolata da un tumore della cervice uterina di Henrietta Lacks (dal cui nome deriva quello delle cellule), che morì di questo cancro nel 1951: da queste cellule si è riusciti ad ottenere una linea cellulare “immortalizzata”. Da allora nei laboratori di tutto il mondo sono state coltivate più di 50 tonnellate di cellule HeLa. La scienza deve alle cellule HeLa migliaia di risultati ed esperimenti.

Una linea cellulare quindi non è la stessa cosa del tessuto embrionale (abortito), ma sono cellule “moltiplicate ” e, nel caso della linea HEK 293, derivano da una serie di esperimenti fatti da  Frank Graham (che sono stati descritti in un articolo: vedi qui), per ottenere la possibilità di rendere “immortali “ tali cellule.

Le linee cellulari immortali sono artefatti, prodotti biologici che sono stati modificati e riprodotti molte volte in laboratorio e non mantengono la funzione naturale del tessuto da cui derivano. Nessun altro tessuto embrionale viene utilizzato o è necessario per il mantenimento di queste linee.

Le linee cellulari HEK 293 sono utilizzate inoltre in campo alimentare, per testare i correttori di sapidità contenuti in innumerevoli cibi in commercio. Questo fatto è da anni ben presente a molte associazioni americane pro-life (qui e qui).

La ditta Senomyx ha studiato un nuovo correttore di sapidità, testandolo con le cellule HEK 293. Ne parlava un articolo del New York Times di Melanie Warner del 6 aprile 2005 ( qui ). Diverse importanti marche hanno stipulato un contratto con Senomyx per i diritti esclusivi di utilizzo degli ingredienti in determinati tipi di alimenti e bevande, sebbene le società abbiano rifiutato di identificare tali categorie. Che Senomyx abbia utilizzato HEK 293 è assolutamente certo, i dati sono pubblicati in questo articolo scientifico ( qui ) e sono stati inseriti nel testo del brevetto US7297543B2 ( qui ) del 2011.

Siccome questo correttore di sapidità è presente nei cibi per pochi p.p.m. (parti per milione) la FDA ne consente l’utilizzo sotto la scritta anonima di “aromi artificiali” e quindi non è possibile per il consumatore sapere se in tale cibo è presente il suddetto correttore, né possono rassicurare le eventuali smentite delle direzioni commerciali delle diverse ditte. Non si sa quante e quali altre ditte ora usano questo correttore di sapidità.

Da una rapida ricerca sul sito del Pubmed (qui), che comprende oltre 32 milioni di citazioni di letteratura biomedica, si evince che le linee cellulari HEK 293 sono citate in ben 7528 articoli, di cui circa 200 relativi agli studi sui componenti chimici degli alimenti.

Le linee cellulari HEK 293 sono anche usati come alternativa alla sperimentazione sugli animali nell’industria cosmetica e farmaceutica. Il loro uso nella ricerca biomedica è massiccio e ha contribuito a un numero enorme di nuovi farmaci e procedure mediche sviluppate negli ultimi decenni. Sembra quindi sensato affermare che, oltre all’uso delle cellule HEK293 da parte della comunità scientifica, quasi ogni persona nel mondo moderno ha consumato prodotti alimentari, assunto farmaci o usato cosmetici/prodotti per la cura personale che sono stati sviluppati attraverso l’uso di cellule HEK293 nell’industria alimentare, biomedicale e cosmetica. (Dalla dichiarazione di numerosi studiosi cattolici pro-vita sull’accettabilità morale di ricevere vaccini Covid-19. Pubblicata da EPPC Etics e Public Policy Center qui ).

Dopo queste brevi e facilmente reperibili notizie, sorge una domanda: La battaglia che si sta combattendo è contro l’uso delle linee cellulari HEK 293 e prima ancora contro l’aborto procurato, oppure contro l’uso dei vaccini anti covid?

Nessuno dei vaccini anti-Covid attualmente utilizzati è stato prodotto attraverso aborti deliberatamente procurati per realizzare questo fine: la testimonianza dello stesso Alex Van der Eb , che viene riportata dalla FDA (Food and Drug Administration in un documento ufficiale in PDF qui ) lo documenta.

A partire da questi dati, i vaccini anti-covid sono moralmente accettabili?

Esistono, come ci ricorda Giovanni Paolo II dell’enciclica Veritatis Splendor del 1995, degli assoluti morali, cioè norme negative che proibiscono sempre ed in ogni caso specifiche condotte umane, cioè atti intrinsecamente cattivi: l’aborto è uno di questi casi. La Chiesa ci insegna che in nessuna circostanza, condizione e con nessuna intenzione è ammesso sopprimere una vita umana. 

Il nostro essere relazionali ci porta a collaborare nel bene e nel male con altri uomini e qui si  pone il problema della possibile “cooperazione al male”. Sant’Alfonso Maria Liguori, il padre della Teologia Morale, dice: “La cooperazione formale al male, comporta un interiore consenso all’azione ingiusta, è sempre illecita. La cooperazione materiale è illecita quando concorre in maniera diretta e immediata all’azione ingiusta, ma può diventare lecita in caso di necessità, e ciò tanto più facilmente quanto è remota.”

La collaborazione remota non è in relazione ad una distanza di tempo ma indica una differenzazione di responsabilità, una possibile correlazione.

La  Nota della Congregazione per la dottrina della Fede sulla moralità dell’uso dei vaccini anti-Covid-19 (21.12.2020) fa riferimento ai precedenti pronunciamenti da parte della Chiesa:  “Riflessioni morali circa i vaccini preparati a partire da cellule provenienti da feti umani abortiti” (5 giugno 2005) l’Istruzione Dignitas Personae (8 settembre 2008) (cfr. n. 34 e 35) e la Nota della Pontificia Accademia per la vita del 2017. 

Su questa base ribadisce  che la ragione fondamentale per considerare moralmente lecito l’uso di questi vaccini è che il tipo di cooperazione al male (cooperazione materiale passiva) dell’aborto procurato, da cui provengono le medesime linee cellulari, da parte di chi utilizza i vaccini che ne derivano, sia remota  e che il ricorso a tali vaccini non significhi una cooperazione formale all’aborto. Quindi l’uso lecito di tali vaccini non deve comportare in alcun modo un’approvazione morale dell’utilizzo di linee cellulari procedenti da feti abortiti: si chiede infatti  di produrre, approvare, distribuire e offrire vaccini eticamente accettabili che non creino problemi di coscienza, né a gli operatori sanitari, né ai vaccinandi stessi.

Avremmo tutti desiderato che nel documento della Congregazione per la dottrina della fede su una tematica così importante, fosse espresso più forte e chiara la protesta sull’utilizzo delle cellule embrionali da parte le case farmaceutiche, rivolta alle agenzie governative di controllo e al nostro governo. Ma questo testo è invece piuttosto sintetico.

Vorrei allora segnalare, come utile contributo, anche la risposta che il cardinale Elio Sgreccia invio’ alla signora Debra L. Vinnedge, la quale chiedeva alla Sacra Congregazione della Dottrina della Fede un chiarimento sulla liceità di vaccinare i bambini con vaccini preparati utilizzando linee cellulari derivate da feti umani abortiti. La Pontificia Accademia per la Vita, nel 2005, dopo  un attento esame della questione di questi vaccini e con l’aiuto di  esperti, ha prodotto uno studio qui approvato come tale dalla Congregazione.

Il principio che guida la riflessione in questa situazione è quindi quello della teologia morale sulla cooperazione al male. Segnalo due testi molto utili per approfondire il problema: l’articolo pubblicato da don Arnaud  Sélégny  della Fraternità San Pio X qui e quello pubblicato su Tempi da don Alberto Frigerio, medico e professore di Bioetica presso l’Istituto superiore di Scienze religiose di Milano qui.

Un aiuto prezioso nell’affronto di questo tema viene anche dal libro del Prof. Roberto De Mattei (“Sulla liceità morale della vaccinazione”, Edizioni Fiducia): partendo dai fondamenti della teologia morale, approfondisce e spiega le ragioni del documento vaticano riguardante la liceità morale dell’uso dei vaccini anti-covid.

Il professor De Mattei sottolinea come una concatenazione di cause ed effetti, che esiste sul piano storico, non esiste sul piano morale, (aborto 1973-sviluppo delle linee cellulari- vaccinazione) dove ogni atto va giudicato nelle sue dirette e immediate conseguenze, non nei suoi rapporti storici, anche se stretti.

Diversi sono gli oggetti formali di questi atti, diversi gli autori, diversi i collaboratori, diversi i gradi di responsabilità: la  concatenazione storica non implica una causalità metafisica e morale tra i due eventi.

Nel suo libro fa poi riferimento all’Enciclica “Evangelium Vitae” di Giovanni Paolo II, ritenendola giustamente il documento più forte contro l’aborto finora pubblicato. Al n. 74 E.V. ci illumina sui casi in cui si può parlare di cooperazione colpevole al male: partecipazione diretta ad un atto contro la vita umana innocente o condivisione dell’intenzione immorale dell’agente principale.

Il paziente che si vaccina o il medico che somministra il vaccino non vuole né abortire, né concorrere alla soppressione del feto, né condivide l’intenzione morale e nella serie della concatenazione storica il rapporto tra quell’aborto e il vaccino è remoto sia come tempo passato che come mancanza di qualsiasi correlazione delle due azioni.

Un intervento molto importante qui è quello del prof. Stephan Kampowski, professore di Antropologia filosofica presso il Pontificio Istituto di Giovanni Paolo II per gli studi su Matrimonio e Famiglia (disponibile nel video della Nuova Bussola Quotidiana la registrazione  del suo intervento qui).

Il prof. Kampowsky fa un esempio illuminante. La dottoressa Susan Mackinnon, una pioniera nella chirurgia del sistema nervoso periferico, della Washington University di St. Louis, durante un intervento chirurgico ha bisogno di liberare un nervo nel ginocchio di una paziente, che aveva dichiarato di non voler più vivere con il dolore lancinante causato dal nervo stesso e desiderava che le venisse amputata la gamba nel caso in cui non ci fossero altri rimedi. Il medico grazie alle illustrazioni dell’atlante di Pernkopf riesce a localizzare e liberare il nervo.

La difficoltà morale consiste nel fatto che questi disegni sono stati realizzati in Austria alla fine degli anni Trenta da medici che, per arrivare a questo dettaglio anatomico, hanno utilizzato i corpi di vittime degli orrori dei nazisti da cui furono uccise qui.

Nell’utilizzare le immagini, ovviamente, la dottoressa Mackkinnon non aveva alcuna intenzione né di approvare quei crimini passati, né di uccidere la paziente che stava operando: voleva invece curarla, salvarla ed evitarle l’amputazione della gamba.

La dottoressa dunque si rivolse ad esperti come il rabbino Joseph Polak, autore del libro After the Holocaust the Bells Still Ring e la dottoressa, Sabine Hildebrandt, che aveva studiato a lungo il Terzo Reich. Questi studiosi, assieme ad altri, elaborarono il cosiddetto “Protocollo di Vienna”: una serie di raccomandazioni sull’uso del libro di Pernkopf, che furono approvate nel 2017 da un gruppo di esperti dello Yad Vashem, il museo dell’Olocausto di Gerusalemme. Il protocollo prevede che il libro si possa usare a patto che ci sia consapevolezza e condanna della sua origine.

In teoria oggi si possono produrre illustrazioni di quella qualità con altri mezzi, ma si è stabilito che utilizzare quelle illustrazioni non equivale a volere l’esecuzione di vittime innocenti e non ha alcun legame morale con l’atto cattivo con cui sono state prodotte. Qui dunque non c’è alcuna cooperazione formale con il male. Non c’è nemmeno una cooperazione materiale. Lo scopo è invece la cura di un malato sofferente.

Applicando l’esempio del caso PernoKopf al nostro problema si comprende che anche farsi somministrare i vaccini anti-Covid, pur se utilizzano linee cellulari embrionali, non si configura come una cooperazione al male, ma come il perseguimento di un bene. 

 In realtà non è nemmeno pensabile una collaborazione materiale ad un male passato, infatti il professore De Mattei, citando l’esempio fatto dal prof. KampowsKy, sottolinea che è impossibile per chiunque dare assistenza e collaborare oggi al male fatto, 80 anni fa, nei campi di concentramento.

L’unica cooperazione con il male passato consisterebbe casomai nel condividere le intenzioni di quei carnefici. In questo caso ci troveremmo di fronte ad una cooperazione formale. Ma è chiaro che l’intenzione del medico che utilizzava il libro era esattamente opposta a quella dei carnefici nazisti, in quanto egli voleva salvare una vita.  

Rifiutare il vaccino anti-covid per affermare il nostro no all’aborto appare privo di fondamento morale. Inoltre, dal punto di vista etico, si pone un dovere morale di tutelare la propria vita e la vita di coloro che non possono essere vaccinati per motivi clinici, o di altra natura e che in realtà sono anche le persone più vulnerabili: “la moralità della vaccinazione dipende non soltanto dal dovere di tutela della propria salute, ma anche da quello del perseguimento del bene comune. Bene che, in assenza di altri mezzi per arrestare o anche solo per prevenire l’epidemia, può raccomandare la vaccinazione, specialmente a tutela dei più deboli ed esposti” (Nota della Congregazione per la dottrina della Fede sulla moralità dell’uso dei vaccini anti-Covid-19 (21.12.2020)

Inoltre, facendo una obiezione morale al vaccino, cadremmo continuamente in contraddizione con i nostri principi tutte le volte che assumiamo per esempio farmaci, come antidiabetici o anti-ipertensivi o alimenti che usano linee cellulari nelle loro sperimentazioni e fasi di produzione.

Si porrebbero poi una serie di altri interrogativi:  dovremmo smettere di pagare le tasse allo Stato perché con esse vengono finanziate tutte le attività degli ospedali compresi gli aborti? Oppure: possiamo accettare di rifornirci di medicinali in una farmacia che vende prodotti abortivi?

In realtà è una battaglia culturale sui fondamenti antropologici quella che bisogna combattere e che potrà spingere la ricerca scientifica in altre direzioni. Solo una continua  difesa della vita e della sua dignità, dal momento del concepimento alla sua fase terminale, potrà fermare l’utilizzo sperimentale di embrioni. Una crociata contro i vaccini non fermerà certo la realtà dell’aborto, ma potrebbe mettere a rischio proprio quello che si vuole difendere: il valore della vita.

Certamente, rispetto alla possibilità di vaccinarsi o no, ognuno dovrà valutare in accordo anche con il proprio medico, considerando rischi e benefici, ricordandosi sempre che soprattutto noi cristiani nelle nostre scelte dobbiamo tendere al bene comune, non solo al bene individuale, cercando di preservare i più fragili.

Aderire alla vaccinazione anti-Covid non significa affatto approvare l’utilizzo scientifico di linee cellulari provenienti da aborti. Faccio mie le conclusione dell’articolo del Prof. Alberto Frigerio pubblicato su Tempi sopra segnalato qui:

“Tuttavia, affinché l’appropriazione non costituisca una sorta di approvazione dell’atto cattivo operato da altri (nel caso in esame l’aborto diretto) o comunque non paia tale agli occhi di terzi (che potrebbero rimanerne scandalizzati o sentirsi giustificati a seconda del proprio convincimento), è doveroso dichiarare la propria contrarietà ad esso. Per la stessa ragione, è doveroso invitare a cercare vie alternative di ricerca (cfr lettera a Stephen Hahn, commissario della U.S. Food and Drug Administration, e lettera a Justin Trudeau, primo ministro canadese, inviate nell’aprile e nel maggio del 2020 da alcune personalità del mondo religioso e scientifico statunitense e canadese), sebbene l’esistenza di brevetti scientifici e le ingenti somme di denaro investito per produrre determinate linee cellulari rendano altamente improbabile la realizzazione di tale richiesta. Il tema della cooperazione al male e dell’appropriazione del male, lo si capisce bene, è di grande attualità, al di là della questione dei vaccini, a motivo della complessità della società odierna, che è plurale, ovvero caratterizzata dalla coesistenza di visioni della vita differenti e spesso conflittuali, e globalizzata, ovvero caratterizzata dal moltiplicarsi di forme di agire collettivo, che spesso rendono arduo risalire a responsabilità individuali. 

Per questi motivi, i cristiani, insieme a tutti gli uomini di buona volontà, sono chiamati a giudicare con intelligenza le singole fattispecie morali, al fine di praticare e proporre percorsi di vita buona, per sé e per la società. 

A tal fine, è auspicabile che si realizzi l’appello di san John Henry Newman per un laicato (e non solo) intelligente e ben istruito: ‘Voglio un laicato non arrogante, non precipitoso nei discorsi, non polemico, ma uomini che conoscano la propria religione, che in essa entrino, che sappiano bene dove si ergono, che sanno cosa credono e cosa non credono, che conoscono il proprio credo così bene da dare conto di esso, che conoscono così bene la storia da poterlo difendere’ ( J. H. Newman, The Present Position of the Catholics in England, IX, 390)”.

 

Giuliana Ruggieri

 

(nella foto: un affresco della Sala del pellegrinaio dell’antico Ospedale di Santa Maria della Scala, a Siena)

 

 

 

 

 

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