Alla vigilia della pausa estiva e circa un anno dopo le elezioni che hanno riportato il Centrodestra al governo, si può fare un primo bilancio.

Se consideriamo tutti gli allarmi apocalittici della campagna elettorale sull’arrivo della “destra al potere” – dipinto da sinistra e giornali come l’irrompere dei lanzichenecchi – Giorgia Meloni può essere più che soddisfatta.

Infatti il prospettato isolamento planetario, “profetizzato” dagli avversari, non si è visto affatto. Anzi, la premier italiana si è presa la scena, conquistando la stima internazionale, compresa la considerazione dei governi europei più ostili: lo dimostrano – fra l’altro – la recente iniziativa verso la Tunisia, in cui la Commissione UE è andata a rimorchio della Meloni e il viaggio negli Usa di pochi giorni fa.

Perfino papa Francesco – che alcuni ritenevano “il principale leader della sinistra” – ha sorpreso tutti, manifestando, nei confronti dell’esecutivo e della Meloni, apertura e fiducia (ricordo in particolare la conferenza stampa in aereo del 6 novembre, le sue parole dopo la tragedia di Cutro e la sua partecipazione, insieme alla Meloni, al “Forum della Natalità” di maggio).

La Premier, anche come leader dei conservatori europei, appare obiettivamente fra i protagonisti nella definizione degli equilibri della prossima Commissione UE.

Pure per l’altro allarme apocalittico, secondo cui se avesse vinto il centrodestra avremmo avuto lo sfascio dei conti pubblici, la crisi del debito, lo spread alle stelle e la recessione (paventata a novembre scorso da Enrico Letta) si è verificato l’opposto. La crescita italiana ha sorpreso tutti gli analisti e continuano ad arrivare dati molto buoni sul fronte occupazione.

Nonostante la pesante eredità lasciata dai governi precedenti, oltre al debito pubblico – in particolare – la questione dei bonus edilizi, del reddito di cittadinanza e soprattutto l’inflazione galoppante (lo stesso Letta nella campagna elettorale di un anno fa ammetteva: “non ho memoria di un’inflazione così elevata, era dagli anni Ottanta che non era così”).

Possiamo dire che questo anno è andato davvero bene se, con i conti pubblici in equilibrio, la crescita dell’economia italiana è nella media europea, mentre in passato il Pil italiano era sempre il fanalino di coda. Dunque nel complesso il bilancio è positivo.

Tuttavia nel centrodestra e nel governo ci si chiede perché questi buoni risultati non siano al centro del dibattito pubblico e spesso si ha la sensazione che a dettare l’agenda siano piuttosto le polemiche dell’opposizione.

In effetti è una sensazione fondata. Ma anzitutto bisogna chiedersi: di quale opposizione si tratta? Infatti non si può dire che sia quella politica a dettare l’agenda.

Nei giorni scorsi Paolo Mieli ha firmato un editoriale per il “Corriere della sera” intitolato: “Tante divisioni interne: opposizioni indecise a tutto”.

Vi si evidenziavano la crisi e le contraddizioni della sinistra: “solo su due questioni” scrive Mieli “tra gli avversari della Meloni si è trovato un accordo di massima nel fronte che va da Azione al M5S: la protesta per il modo brusco con cui è stato abolito il reddito di cittadinanza (più tiepido in questo caso Calenda) e l’adozione di una norma che fissa il salario minimo a 9 euro lordi”.

Ma su questi due temi – proseguiva Mieli – sono state riproposte dichiarazioni di intellettuali, economisti progressisti, esponenti del Pd e del sindacato contrari (in passato, con varie argomentazioni) sia al reddito di cittadinanza, sia al salario minimo” e “colpisce che nessuno dei chiamati in causa si sia sentito in dovere di spiegare e argomentare perché ha cambiato idea”.

Inoltre – ha aggiunto Mieli – “quelli del Pd, reduci da un decennio in cui sono stati quasi sempre al governo, si trovano invece assai spesso nell’imbarazzo di dover chiarire perché quello che propongono ora non lo abbiano realizzato quando era nelle loro possibilità”.

Del resto – in attesa dello scioglimento del Polo Nord (che non ci sarà), si è sciolto il Terzo Polo di Renzi e Calenda, mentre nel Pd continua l’emorragia, con l’uscita di importanti esponenti.

Ma allora qual è l’opposizione che detta l’agenda? È l’opposizione del “partito mediatico”, quello dei giornali che non concedono nulla alla Meloni e al centrodestra e che sfruttano ogni occasione per fare polemiche.

Sono giornali che hanno un peso soprattutto nel Palazzo, ma assai meno nel Paese. Tanto è vero che i sondaggi continuano a confermare il consenso degli italiani verso l’esecutivo.

Cionondimeno è comprensibile che il centrodestra e il governo si chiedano perché le polemiche – spesso pretestuose – alimentate dal “partito mediatico” si prendano la scena mettendo in ombra ciò che il governo fa, come la recente “Conferenza internazionale su sviluppo e migrazioni”(che è il primo passo del famoso “Piano Mattei”, insieme all’accordo con la Tunisia) o il viaggio della premier Meloni negli Stati Uniti o i dati molto buoni sull’occupazione in Italia che non si vedevano da anni.

I giornali spesso usano, per le loro polemiche, anche errori di esponenti di maggioranza (e pure di qualche ministro). Per questo il centrodestra e l’esecutivo, con il primo “compleanno” del governo, dovranno fare un “tagliando” per prendere contromisure che evitino gli scivoloni, per mettere a punto una propria narrazione e per essere pronti ad affrontare i mesi che verranno.

Infatti fra 2023 e 2024 diventeranno salati i conti delle crisi internazionali, anzitutto la guerra russa in Ucraina che ha scatenato l’inflazione (insieme alle scelte politiche sbagliate della UE), la crisi dell’economia tedesca e le pesanti decisioni della Bce.

C’è però anche un tema che si pone al “partito mediatico” e alla sinistra: è normale fare l’opposizione al governo, ma perché fare l’opposizione all’Italia?

 

Antonio Socci

 

Da “Libero”, 8 agosto 2023

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