Fra le tante suggestive letture che possono accompagnare questa Quaresima, c’è un libro delle Edizioni Ares davvero sorprendente: Nell’orto degli ulivi. Expositio Passionis Domini (1534-1535), scritta da quel gigante che fu Tommaso Moro.

Di questo statista, Lord Cancelliere d’Inghilterra fra il 1529 e il 1532, grande umanista, brillante scrittore, dotato di proverbiale humour, padre e marito amorevole, maestro di liberalismo, di carità e umanità verso tutti, infine eroico martire della libertà di coscienza (di cui è stato testimone straordinario) e santo (proclamato dalla Chiesa), abbiamo un ritratto firmato dal famoso Erasmo da Rotterdam che era suo grande amico: “Il volto corrisponde al carattere: aperto alla simpatia, all’amicizia e a un sorriso lievemente motteggiatore; perché, a dir il vero, egli è più portato alla giocosità che a un contegno grave e sereno (…). Ha una tale carica di simpatia e gaiezza, che vicino a lui si rasserenano anche i più malinconici”.

Com’è noto, Moro – che Giovanni Paolo II ha proclamato patrono dei governanti e dei politici cattolici – fu condannato a morte (insieme al vescovo Fisher) e decapitato perché si rifiutò di approvare l’Atto di Supremazia del re Enrico VIII sulla Chiesa d’Inghilterra, che dava inizio allo scisma anglicano e all’assolutismo (tradendo la Magna Charta, come fece notare More, e imponendo il potere totalitario del Re su tutto).

Chi volesse conoscere più profondamente la straordinaria vita di questo statista può leggere la biografia di Moro scritta dal suo genero William Roper, Vita di Sir Thomas More (Ares).

Nella prefazione di Giorgio Faro è riportato il giudizio che Winston Churchill, nella sua Storia dei popoli di lingua inglese, dette del suo martirio con una polemica contro il “nazionalismo” che dovrebbe essere letta in riferimento allo scisma tedesco di Lutero: “L’opposizione di More e Fisher al potere supremo che il Re pretendeva di esercitare sulla Chiesa” scriveva Churchill “era un atto di resistenza, eroico e nobile. Non ignoravano le tare del cattolicesimo della loro epoca, ma detestavano il nazionalismo aggressivo che stava distruggendo l’unità della cristianità. More prese la difesa di tutto ciò che c’era di migliore nella concezione medievale. Nella storia incarna l’universalismo del Medioevo, la sua adesione ai valori spirituali, il suo senso istintivo dell’Aldilà. L’ascia crudele del carnefice non ha solo fatto cadere la testa di un consigliere saggio e talentuoso; al contempo ha decapitato un sistema che, anche se nella pratica aveva tradito i suoi ideali, aveva a lungo ispirato all’umanità i suoi sogni più luminosi”.

Moro è il simbolo di quel cattolicesimo inglese che – sebbene perseguitato terribilmente – ha “partorito” grandi ingegni come John Henry Newman, Gerard Manley Hopkins, Gilbert K. Chesterton, John R. R. Tolkien e altri. Ne fece parte anche William Shakespeare, come ormai dimostrato da molti studi (in italiano si possono leggere i libri di Elisabetta Sala). Peraltro il grande drammaturgo, sottolinea Faro, era imparentato con la seconda moglie di Tommaso Moro.

Il testo sulla passione di Cristo fu scritto da Moro mentre era detenuto nella Torre di Londra e s’interruppe quando gli tolsero la possibilità di avere carta e penna. Attendeva la condanna a morte per alto tradimentoe una feroce esecuzione.

Senza alcun risentimento, alla sentenza Moro perdonò tutti e proclamò la libertà della Chiesa. La sua attesa della morte fu in realtà una preparazione al Paradiso.

 

Antonio Socci

 

Da “Libero”, 17 febbraio 2024

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