Il ministro Boccia ritiene che Gesù Bambino debba nascere quando lo dice lui: il 24 invece del 25 dicembre come accade da secoli. Il governo infatti crede che il Covid si scateni dalle 22, per cui a quell’ora scatta il coprifuoco (ha avvertito la sottosegretaria Sandra Zampa) e la Messa di Natale deve essere perciò anticipata alle 18 o alle 19 del 24 dicembre, quando il virus (secondo le convinzioni del governo) non è ancora uscito di casa.

La Cei sembra obbedire a questa ideona. Del resto a maggio sottoscrisse un Protocollo dove lo Stato indicava perfino come si dovevano svolgere le liturgie e dava prescrizioni addirittura per il numero di celebranti, le modalità del canto sacro e la sospensione dei sacramenti.

Ovviamente la messa alle 18 o alle 19 non è una questione di principio (già in tante parrocchie la si anticipa alle 22), ma è una questione di principio che le decisioni sul culto spettino solo alla Chiesa e non al governo.

Invece da qualche tempo la Chiesa stessa sembra desiderosa di rinunciare alla sua “potestas” per seguire direttive o aspettative esterne, non solo delle autorità politiche, ma perfino dei giornali.

Si potrebbe leggere in questa chiave la vicenda Becciu visto che papa Bergoglio ha frettolosamente preso decisioni drastiche su un importante cardinale, sulla base – a quanto pare – dell’anticipazione di un articolo di un settimanale.

Di questo passo è chiaro che la pressione mediatica sulla Chiesa sarà sempre più forte. Capiterà di tutto. Ha già suscitato sconcerto e clamore, fra i fedeli, il programma di Barbara D’Urso, “Pomeriggio 5”, dove – secondo il sito cattolico “La nuova Bussola”“in un mese sono finiti alla gogna tre preti, ‘rei’ di insegnare dal pulpito la dottrina cattolica su aborto, omosessualità e divorzio”.

Andrea Zambrano nell’articolo esprime la preoccupazione dei credenti per una tv che mette alla berlina un prete e lo rimprovera dicendogli come deve fare le prediche”.

A molti cattolici, tuttavia, pare che la Chiesa stessa non voglia più difendere la propria “libertas” nemmeno nello spazio delle celebrazioni sacre.

Anzi sembra, a tanti, desiderosa solo di compiacere le aspettative mondane. Così suor Alessandra Smerilli, l’economista di papa Bergoglio, ha partecipato a “diMartedì” e, alla domanda sull’emergenza Covid e il Natale, ha risposto: Non voglio sminuire l’importanza del Natale, ma non possiamo allentare adesso. Finito tutto questo magari ci regaleremo una festa nuova, la festa dell’incontro” (la sintesi fatta da La7, via tweet, è stata rilanciata dalla stessa suora).

In sostanza lei, che pure è una religiosa, ha parlato del Natale solo come un rischio sanitario, con gli stessi argomenti che avrebbe usato un non credente. Come se la nascita di Cristo non c’entrasse nulla con la vita degli uomini del nostro tempo e la paura dell’epidemia.

La stessa subalternità all’ideologia dominante si trova in certi testi (molto più importanti) della Chiesa. Per esempio il recente Documento di lavoro della prossima Settimana sociale dei cattolici italiani (21-24 ottobre 2021) che fa capire tutto già dal titolo: “Il pianeta che speriamo. Ambiente, lavoro, futuro. #tuttoèconnesso”.

Le parole chiave del documento sono quelle del “pensiero unico”: l’ecologia integrale, il debito ecologico, la sostenibilità… Ma la chicca, davvero surreale, è quella che collega il Covid-19 ai cambiamenti climatici indotti dall’uomo e al degrado ambientale.

In realtà tra i tre elementi non c’è alcuna correlazione” scrive Stefano Fontana, aggiungendo fra l’altro che “non esistono motivi seri per sostenere che i cambiamenti del clima sono prodotti dall’attività umana”.

Del Covid il documento clericale si occupa solo in questa chiave assurdamente ecologica e non c’è “nessun approfondimento critico sull’origine della pandemia” o “sulla sua gestione da parte del potere politico e scientifico” (Stefano Fontana).

Il Vaticano si guarda bene dal dispiacere alla Cina evocandone le responsabilità per il virus, visto che non sottopone mai a quel regime nemmeno il problema delle persecuzioni contro i cristiani.

In questi giorni è capitato che Bergoglio rammentasse (sia pure molto di sfuggita) le sofferenze di certe minoranze, come gli Uiguri (musulmani)nello Xinjiang, senza nemmeno nominare la Cina. Era la prima volta che il papa argentino osava, ma da Pechino è arrivata subito, egualmente, una bacchettata per questa flebile dichiarazione.

Non accadrà più. Questo pontificato, non vuole dispiacere ai poteri mondani e sembra voler adeguare anche i suoi insegnamenti alle ideologie dominanti.

C’è ora chi lamenta che perfino la liturgia – che è il cuor della Chiesa – venga ritoccata in chiave “politicamente corretta” con il nuovo Messale che viene introdotto da oggi. Ma va detto che alcune piccole modifiche sono migliorative e benvenute. Qualche altra sembra strizzare l’occhio alle idee e agli slogan del momento.

Sul “Fatto quotidiano” ieri Giovanni Valentini esultava perché d’ora in poi si dirà “fratelli e sorelle” e non più solo “fratelli”: lui vede in questo cambiamento un allineamento alla moderna emancipazione femminile(evidentemente conosce poco e male la storia del cristianesimo perché è proprio a partire da Gesù e dal suo Vangelo che la condizione delle donne è radicalmente cambiata).

L’altra “rivoluzione”, secondo Valentini, è la nuova formula del “Padre Nostro” dove “non indurci in tentazione” diventa “non abbandonarci alla tentazione”. E questa è un’infelice traduzione che strizza l’occhio alla mentalità dominante, ma non c’entra con le originarie parole di Gesù nel testo evangelico (del resto ci sono anche altre traduzioni molto discutibilidelle Sacre Scritture nel Messale).

Sul Verbo di Dio prevale la chiacchiera dei giornali. La smania di rincorrere le idee del momento, da parte di chi dovrebbe custodire verità eterne, è disastrosa e porta all’insignificanza.

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Antonio Socci

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Da “Libero”, 29 novembre 2020

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