Oggi è il 35° anniversario dell’abbattimento del Muro di Berlino, evento simbolico che dette il via al crollo dei regimi comunisti dell’Est europeo(segnò di fatto la fine del Novecento). Ma è probabile che sui giornali questo anniversario non trovi grande spazio. E se anche uscirà qualche articolo sarà rievocativo: i partiti, la cultura e i media progressisti continueranno con l’atteggiamento di questi decenni sulla questione “comunismo”.

SAN BERLINGUER

Non a caso in questi mesi è in corso una sorta di canonizzazione laica di Enrico Berlinguer che, insieme a Palmiro Togliatti (il suo padre politico), è il simbolo del Partito Comunista Italiano.

È una santificazione politica sancita dalla scelta della segretaria del Pd, Elly Schlein, di raffigurare Berlinguer nella tessera del partito di quest’anno (ma va detto che il segretario del Pci è sempre stato nel pantheon dei padri del Partito democratico, fin dalla sua nascita, nel 2007).

E poi c’è la canonizzazione cinematografica con il film La grande ambizione, di cui Luciana Castellina ha detto: “non è lui, ma una sua versione ridotta, banalizzata: sembra un dirigente del Partito Liberale” (Il Fatto quotidiano, 8/11).

Per capire quanto Berlinguer fu “liberale” (tralasciando la carriera giovanile nel Pci al tempo di Togliatti e Stalin) si può ricordare ciò scriveva Pierluigi Battistain un saggio: “Lo stesso Berlinguer (…) non disdegnava del resto riconoscimenti alla asserita superiorità etica dei paesi socialisti su quelli dominati dai disvalori borghesi: ‘è quasi universalmente riconosciuto che in questi Paesi esiste un clima morale superiore, mentre le società capitalistiche sono sempre più colpite da un decadimento di idealità e valori etici e da processi sempre più ampi di corruzione e disgregazione’ ”.

Quando il Segretario del Pci pronunciava queste parole era il 1975, i cupi regimi dell’Est erano già in putrefazione, poco prima era stata schiacciata la Primavera di Praga e di lì a poco in Polonia il regime sarebbe stato travolto dalla rivolta operaia anticomunista di Solidarnosc. Per non dire delle cose orribili che accaddero, prima e dopo il 1975, nel comunismo asiatico (prima la Cina e la Corea del Nord, poi Cambogia e Vietnam).

ROSSO FISSO

Quel discorso di Berlinguer è solo un esempio (altri potrebbero essere ricordati). Oggi si sostiene che poi ci fu un’evoluzione, ma non è così. Fu tattica.

Infatti nei primi anni Ottanta il Pci con Berlinguer è contro gli euromissili (la difesa dell’Europa dai missili russi) e alla vigilia del crollo del Muro di Berlino, nel marzo 1989, il segretario del Pci Occhetto, dalla tribuna del Congresso del partito, rispondendo polemicamente a Craxi, tuonava fra gli applausi: “Non si comprende perché dovremmo cambiare nome. Il nostro è stato ed è un nome glorioso che fa rispettato”.

Solo sette mesi dopo, con il crollo del Muro, corse precipitosamente ad annunciare il cambio del “nome glorioso”. Ma sparì solo il nome. Il partito e la sua classe dirigente restarono. Cercarono di adattarsi, con la politica del camaleonte, alle ideologie vincenti, per essere legittimati. Così arrivarono al potere, ma sempre con il tabù di una vera discussione autocritica sul comunismo.

Infatti, quando nel 1997 uscì in Francia il Libro nero del comunismo (una raccolta di saggi, sui diversi regimi rossi, di ricercatori del CNRS, curata dallo storico Stéphane Courtois), che Berlusconi fece pubblicare in Italia nel 1998, la reazione ostile a sinistra fu durissima. L’ennesima occasione persa.

Antonio Socci

Da “Libero”, 9 novembre 2024