È passato inosservato un curioso ritorno del tema del comunismo su “Repubblica”. Eppure nell’entusiastico articolo di Francesco Merlo sul patto fra Pd e Calenda (Repubblica 3/8) c’era un passaggio clamoroso:

“Questa neonata grande coalizione è un altro passo, forse quello definitivo, della Bad Godesberg di Enrico Letta, della scelta definitivamente occidentale ed europea che la sinistra italiana insegue da cinquant’anni, dai tempi del ‘Neurocomunismo’ (1976) di Berlinguer, Marchais e Carrillo: 50 anni di mal di testa”.

Dice proprio “Neurocomunismo”. Non è un lapsus perché Merlo lo aveva già scritto il 13 marzo, a proposito della manifestazione di Firenze per l’Ucraina:

“La piazza di Firenze ieri è stata, appunto, il prologo della Bad Godesberg, della scelta definitivamente occidentale che la sinistra italiana insegue da cinquant’anni, dai tempi dell’Eurocomunismo (1976) di Berlinguer, Marchais e Carrillo: 46 anni di mal di testa, dal ‘neurocomunismo’ alla commozione, ieri pomeriggio, di Enrico Letta per Zelensky”.

Però in quell’articolo Merlo precisava:

“nonostante la chiarezza e il vigore di Enrico Letta non suona ancora definitivo l’addio del Pd alla funesta ideologia del ‘K’, che non è solo il famoso ‘fattore K’ che fu evocato da Alberto Ronchey e torna come un destino, visto che nella grande Russia di Putin c’è la stessa violenza del Kommunizm russo che finanziava il Pci e c’è di nuovo il terrore del Kgb. E forse questo K sopravvive nella sinistra italiana proprio perché nel nostro alfabeto non c’è”.

Che ne pensano gli esponenti del Pd che provengono dal comunismo come Putin? Eludono il tema fischiettando e – senza mai rinnegare il loro Pci – oggi si ergono addirittura a maestri di atlantismo. E fanno perfino i giudici.

Il disinvolto compagno Piero Fassino, presidente della Commissione esteri della Camera (e già fondatore del Pd), in una intervista al Qn (22/7), afferma addirittura che questo passaggio elettorale “non è così diverso dal 1948. Di sicuro, come allora, gli elettori dovranno compiere una scelta molto netta: o di qua, o di là”.

L’economista Massimo D’Antoni gli ha fatto notare che a dire il vero “lui è l’erede politico di quella parte che, seguendo la sua logica, nel 1948 stava dalla parte sbagliata”. Ma Fassino evoca le elezioni del 1948 come se non fosse stato il suo Pci la minaccia alla democrazia italiana e alla sua collocazione occidentale.

Ne parla salendo in cattedra come se il suo partito, a quel tempo, fosse stato dalla parte dell’Occidente e della libertà e non dalla parte del totalitarismo e agli ordini di Stalin.

Fassino e compagni non hanno mai detto che avevano ragione gli anticomunisti e che era doveroso combattere il Pci di Togliatti (e del giovane Berlinguer, pupillo di Togliatti). Però oggi impartiscono lezioni di atlantismo al Centrodestra e sempre Fassino sull’Huffington post (25/7) proclama che il Centrodestra rappresenta un pericolo.

Tutti sanno che, dalla sua nascita nel 1994, il Centrodestra è “europeista, liberale e occidentale” e si oppone alla sinistra post-comunista. Ma Fassino quasi evoca una sorta di “fattore k” a rovescio: se dovesse vincere “la destra populista e nazionalista, condannerebbe l’Italia all’isolamento internazionale e alla marginalità in Europa”.

C’è molto di comunista in questo modo disinvolto di girare della frittata. Del resto i compagni oggi sono proni a Washington e Bruxelles come ieri lo erano a Mosca. Sempre sudditanza. Dai tempi del Pci non parlano mai da italiani e da uomini liberi.

 

Antonio Socci

 

Da “Libero”, 6 agosto 2022

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