Al tempo di Stalin, negli anni Trenta, il Terrore prese di mira anche interi gruppi etnici come i “tedeschi del Volga”. Quasi due milioni di loro furono deportati in Siberia.

Don Paolo Pezzi, nel suo  libro “La piccola Chiesa nella grande Russia” (Ares), racconta: “La maggior parte morì durante il viaggio, poiché questi spostamenti venivano effettuati in inverno e in alcuni casi i treni venivano aperti e i deportati fatti scendere nel nulla, con il villaggio più vicino magari ad alcune decine di chilometri”.

I pochi che sopravvissero costruirono baracche e villaggi che in certi casi divennero vere città. Questa popolazione in parte cattolica ha vissuto decenni senza vedere sacerdoti. Crollato il comunismo, nei primi anni Novanta, alcuni giovani della Fraternità sacerdotale San Carlo Borromeo, vicino a Comunione e Liberazione, partono per quelle terre dove, in inverno, la temperatura giunge anche a meno 35 sotto zero.

UN INCONTRO

“Quando siamo arrivati in Siberia” racconta don Pezzi “abbiamo incontrato spesso queste realtà con alle spalle storie molto commoventi. Ricordo la devozione, la fede delle babushke, le nonne, e il loro stupore nell’accostarsi ai sacramenti dopo decenni in cui non avevano potuto confessarsi e ricevere l’Eucaristia”.

Uno degli episodi più toccanti “mi capitò a Tal’menka, una cittadina al confine tra le regioni di Novosibirsk e dell’Altaj. Vi andai per sostituire il parroco e, arrivando dopo la Messa, le suore che prestavano servizio lì mi dissero che c’era una signora anziana che aveva grandi difficoltà a muoversi, chiedendomi di andare a casa sua per confessarla e portarle l’Eucaristia. Lo feci molto volentieri. Durante il tragitto a piedi, la suora che mi accompagnava mi disse che quella signora aveva sofferto molto, e che le avevano ucciso in casa due figli davanti agli occhi. Io giovane sacerdote un po’ saputello, dopo averla confessata e comunicata, non resistetti e le chiesi che cosa pensasse di Stalin. Questa vecchietta mi guardò negli occhi e mi disse: ‘Cosa penso? Guardi che io l’ho perdonato tanti anni fa, perché se non si perdona non si vive più. E io come avrei potuto continuare a vivere, dopo aver visto uccidere due figli?’. Ricordo che mi misi a piangere e me ne andai zitto zitto con la coda tra le gambe, senza riuscire più a parlare per tutto il giorno. Un’esperienza straordinaria che mi porto nel cuore ancora oggi”.

Il 21 settembre 2007 don Paolo Pezzi fu nominato da Benedetto XVI arcivescovo metropolita della Madre di Dio, a Mosca. Quella cattolica, lassù, è “una comunità piccola però immersa in un territorio sconfinato, grande sette volte l’Italia”.

FOLLIA

In questi giorni terribili di guerra si è sentita più volte, da Mosca, la voce di mons. Pezzi: in consonanza con il Papa ha pronunciato parole luminose in cui riecheggiano storie come quella dell’anziana signora di Tal’menka.

“Nella nostra comunità cattolica e negli incontri” ha detto mons. Pezzi “sottolineo che è importante uscire dalla logica dell’amico/nemico ed entrare invece nella logica di Dio che fa splendere il sole e fa cadere la pioggia per tutti, per i buoni e i cattivi. Può essere paradossale, per alcuni inaccettabile, ma questo è il metodo di Dio. Questa follia si vince con una un’altra follia, che è la follia di Dio, è la follia del perdono, di uno sguardo diverso sull’altro. Il compito che abbiamo in questo momento è quello di rendere accessibile, laddove siamo, questo sguardo e questa follia di Dio. Continuiamo a pregare insieme”.

 

Antonio Socci

 

Da “Libero”, 11 marzo 2022

Photo by Aurelio Amendola, Pietà Vaticana (2014)

 

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