Cosa c’è in comune fra don Emilio De Roja e Pier Paolo Pasolini? Anzitutto il Friuli. Don Emilio è morto trent’anni fa e a lui è dedicata una bella mostra attualmente ospitata dal Meeting di Rimini. Pasolini è nato cento anni fa e a lui – e a suo fratello Guido – è dedicato un libro, appena uscito, di Andrea Zannini, “L’altro Pasolini” (Marsilio).

Il fratello partigiano di Pier Paolo, conosceva don Emilio perché il sacerdote udinese faceva parte, come lui, della brigata partigiana Osoppo. Sono due grandi storie purtroppo dimenticate che si intrecciano.

La morte di Guido – generoso e idealista – è stata il grande dolore della vita di Pier Paolo che, sebbene più grande, aveva scelto di non andare con lui in montagna. In una sua poesia del 1966 scriverà: “Piango ancora, ogni volta che ci penso/ su mio fratello Guido,/ un partigiano ucciso da altri partigiani, comunisti”.

Fu ucciso infatti nel febbraio 1945, con altri della Osoppo, nel massacro di Porzûs (dove venne ammazzato anche Francesco De Gregori, ufficiale degli alpini e zio del cantautore). Una tragedia da cui emerge bene che vi furono due Resistenze, molto diverse.

La nascita della formazione partigiana Osoppo era stata ispirata anche dal vescovo di Udine, mons. Nogara il quale – in contatto con il Vaticano – si rendeva conto che in Friuli era necessario, oltre a combattere i nazifascisti, opporsi all’avanzata dei partigiani comunisti titini in territorio italiano.

I gruppi partigiani legati al Pci non erano certo un argine. Così nacque la Osoppo i cui membri erano in gran parte orientati verso la DC, una parte minore era azionista e poi c’erano degli alpini, comunque tutti anticomunisti. Don Emilio teneva i contatti fra i partigiani e il vescovo.

Guido era di idee azioniste e – dal rapporto con le formazioni partigiane comuniste (garibaldine) – ricavò una pessima impressione, come si evince dalla famosa lettera che scrive il 27 novembre 1944 al fratello Pier Paolo:

“I comunisti garibaldini hanno intenzione di costituire la repubblica (armata) sovietica del Friuli: pedina di lancio per la bolscevizzazione dell’Italia!!!… I presidi garibaldini (incontrati per strada) fanno di tutto per demoralizzarci e indurci a togliere le mostrine tricolori. A Mernicco un commissario garibaldino mi punta sulla fronte una pistola perché gli ho gridato che non ha idea di che cosa significhi essere ‘Uomini liberi’ e che ragionava come un federale fascista (…). A fronte alta dichiariamo di essere italiani e di combattere per la bandiera italiana, non per lo ‘straccio rosso’… Dì alla mamma che nel caso avesse qualcosa da mandarmi vi aggiunga un fazzoletto tricolore e uno verde

(il fazzoletto verde e il tricolore erano i simboli della Osoppo). Tre mesi dopo si consuma il massacro durante il quale Guido ha un comportamento eroico e subisce un martirio feroce.

Zannini alza il velo su una tragedia che non può essere ridotta solo al fanatismo di alcuni, ma doveva suscitare una seria riflessione da parte comunista. Che invece non c’è stata. Del resto anche quando il Pci è stato costretto a cambiar nome, dal crollo del Muro di Berlino, la sua classe dirigente – che è rimasta in attività ed anzi è andata al potere – non ha mai veramente guardato in faccia la propria storia.

Infatti lo stesso Walter Veltroni, che firma la presentazione del libro, parla dell’uccisione di Guido, ammazzato per mano di gappisti appartenenti al Pci”, ma non affronta la questione comunismo. Preferisce concentrarsi sull’altro problema approfondito da Zannini: come e perché Pier Paolo, così provato dall’assassinio del fratello, dal 1947 diventa comunista e resterà fedele al Pci.

Veltroni, che da giovane della Fgci, ebbe modo di incontrare più volte Pasolini, la definisce un’“apparente contraddizione”. Perché “apparente”? E’ una delle enormi contraddizioni di Pasolini.

Ma – come dicevo – la Osoppo torna oggi d’attualità anche per la storia di don Emilio De Roja. E se da parte comunista c’è una rimozione, qui siamo di fronte invece all’inspiegabile dimenticanza della propria storia da parte dei cattolici.

Infatti figure come quella di De Roja sono quasi sconosciute. Don Emilio gestì molte situazioni delicate per la brigata Osoppo. Riuscì a far liberare, con uno stratagemma, i comandanti della Osoppo catturati dai tedeschi e fu lui – che conosceva la lingua tedesca – a trattare con le truppe germaniche in ritirata, nell’aprile 1945, per scongiurare violenze e devastazioni.

Nel dopoguerra don Emilio dedicò la sua missione ai poveri del villaggio San Domenico, alla periferia di Udine. Un quartiere di emarginati con problemi enormi, materiali e spirituali.

Avviò la ricostruzione di case dignitose (al posto delle baracche), una scuola professionale per dare lavoro ai giovani. Fondò un convitto per chi veniva da lontano e da lì nacque la “Casa dell’Immacolata” che infine divenne una grande “casa degli ultimi” dedita a recuperare persone con gravi problemi.

Dedicò la vita ai più poveri, infatti ebbe anche la visita di Madre Teresa di Calcutta. Morì il 3 febbraio 1992 in fama di santità. Giovanni Paolo II lo definì “generoso apostolo della Carità, esempio di Buon Samaritano”. Una storia da non dimenticare.

 

Antonio Socci

 

Da “Libero”, 23 agosto 2022

 

 

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