Scanzonati, irriverenti, sarcastici e buontemponi. E’ questo lo stereotipo dei toscani, alimentato anche da una gran quantità di comici, nati in questa terra e sciamati dovunque, e probabilmente amplificato pure da film come “Amici miei”.

Perciò è sorprendente scoprire ora – dal “Rapporto Osservatorio salute 2017” che la Toscana è la regione dove vengono prescritti (e quindi consumati) più antidepressivi. E a stupire non è solo il primato nazionale, ma anche la proporzione di tale primato: addirittura il 50 per cento in più della media nazionale.

Si poteva pensare – fuorviati da un equivoco letterario – che il male di vivere albergasse specialmente nelle riviere liguri di Montale o nella Torino di Pavese o sulle colline marchigiane di Leopardi. Oppure nelle nebbie della pianura padana dove è nato il cinema di Antonioni.

Invece l’epicentro è la Toscana, la Toscana che tutti avrebbero creduto felice e fortunata. Perché? Non è pensabile che i medici toscani abbiano deciso in blocco di esagerare con tali prescrizioni. Dunque quali sono le ragioni di questo strano fenomeno?

Certo, ciascuno fa storia a sé e i problemi che inducono i medici a prescrivere antidepressivi sono sempre molto personali. Ognuno – per parafrasare – Tolstoj – è infelice a modo suo.

Tuttavia è anche inevitabile che – quando un fenomeno assume certe proporzioni – si vadano a cercare delle cause generali. Si sostiene, per esempio, che possa dipendere dall’invecchiamento della popolazione, dalla crisi economica che impoverisce, dalla disoccupazione.

Tutti problemi che sicuramente incidono molto. Ma se tutto si spiegasse solo così, in cima a quella classifica dovrebbe stare piuttosto il Sud afflitto da antica povertà e penalizzato da mille problemi e drammi.

Invece il Rapporto dice: “I consumi più elevati di farmaci antidepressivi per l’ultimo anno di riferimento (2016) si sono registrati in Toscana, PA di Bolzano, Liguria e Umbria, mentre le regioni del Sud e le Isole, con l’eccezione della Sardegna, presentano i valori più bassi (in particolare, Campania, Puglia, Basilicata, Sicilia e Molise)”.

Dunque il primato spetta a quella Toscana che tutto il mondo considera una terra di sogno, il luogo ideale dove vivere, un autentico paradiso.

In effetti la suggestione è tanto forte che quando Ridley Scott, per il suo film “Il Gladiatore”, ha dovuto cercare delle immagini che dessero l’idea dei Campi Elisi (è la scena finale, quella della morte di Massimo Decimo Meridio), ha scelto un’inquadratura della Val d’Orcia, appena sotto Pienza.

Del resto quattrocento anni prima John Milton, nel suo “Paradise Lost”, per parlare dell’Eden evocherà i boschi dell’Abbazia di Vallombrosa. Sempre in Toscana, sul Pratomagno.

Anche per quel suo poema Vallombrosa entrerà fra le desiderate mete del Grand Tour degli aristocratici e degli intellettuali europei, che già avevano la Toscana come approdo ideale.

Il Grand Tour di un tempo oggi si è trasformato nel fiume ininterrotto di turisti che ogni anno sbarcano a Firenze, Siena, Pisa, Lucca, San Gimignano, Volterra, Arezzo, partecipando alle feste antiche di queste città e girovagando nelle campagne circostanti, dagli eremi del Casentino alle spiagge della Maremma, fra vigne, borghi, torri, chiese, casali e paesaggi favolosi. Gustati insieme al vino sublime di queste colline.

Sembra impossibile che infelicità, ansia, solitudine, depressione e angoscia possano dilagare così tanto fra gli abitanti di questa terra benedetta, in questi borghi e in queste città così a misura d’uomo, dove – come si suole dire – la qualità della vita è al massimo.

Albert Camus, che in anni lontani percorse questa terra, guardando, da Fiesole, la sottostante valle dell’Arno, dominata dalla cupola del Brunelleschi, annotava: “questo paesaggio per me è come il primo sorriso del mondo”.

Poi annota, estasiato, cosa sia, a Siena, trovarsi a dormire accanto a una fontana”, in quella Piazza del Campo “a forma di palmo, come una mano che offre ciò che l’uomo, dopo la Grecia, ha fatto di più grande”.

Questa bellezza non ci parla più? Non ci commuove e non ci muove più? Non ci comunica più il senso della vita delle generazioni passate? Non colma più la nostra solitudine, la nostra infelicità, il nostro male di vivere?

Al di là delle statistiche sul consumo di antidepressivi, di certo c’è stato un traumatico sradicamento spirituale che riguarda tutti e che ha inaridito le sorgenti e fatto smarrire l’anima delle nostre comunità.

Un cataclisma spirituale che ha scavato un abisso fra noi, fra il nostro tempo, e quella Toscana di mistici, artisti, mercanti, banchieri, santi, artigiani e contadini che fecero di questa terra un’unica opera d’arte, un’oasi di prosperità e un inno alla bellezza, alla carità e alla fede.

Certo, poi gli ultimi settant’anni di incontrastato governo comunista, soprattutto per la plumbea ideologia che dal dopoguerra è dilagata nel popolo, hanno assestato il colpo di grazia.

Ma – obiettivamente – quell’inaridimento spirituale era cominciato già prima, infatti i pur belli, ma cupi e angosciosi romanzi di Federico Tozzi (così dostoevskijani), sono ambientati nella Siena di inizio Novecento.

Grande responsabilità è di una Chiesa che per secoli partorì santi, bellezza, genio e grandissime opere e fu l’anima del popolo toscano, ma che poi si è pressoché liquefatta, facendo smarrire il sentiero della tradizione e il vero legame spirituale con le generazioni dei nostri avi.

Però stiamo parlando di una crisi spirituale che è generale, di cui la Toscana – che è stata definita “l’Italia dell’Italia” – è solo l’emblema.

Una crisi spirituale che genera solitudine, ansia, smarrimento e infelicità. Del resto – per tornare allo spunto di partenza – il Rapporto sopra citato ci dice che – per il consumo di antidepressivi – “il trend nazionale (è) in costante aumento su scala nazionale negli ultimi anni”.

E – a sua volta – il caso italiano è emblematico di un fenomeno più globale. Anche per la depressione. Si legge infatti nel Rapporto che le “problematiche legate allo stato di malattia depressiva” sono in “costante aumento, registrato a livello non solo europeo, ma anche dei cosiddetti Paesi delle economie emergenti”.

Al di là dei problemi specifici della depressione possiamo dire senz’altro che oggi siamo più globali, più connessi e più dotati di conoscenze, ma anche più soli e infelici.

.

Antonio Socci

Da “Libero”, 28 aprile 2018

.

Facebook: “Antonio Socci pagina ufficiale”

Twitter. @AntonioSocci1

 

Print Friendly, PDF & Email